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Articolo
10 luglio 2010 - Cronache - Italia - Il Giornale |
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L'ultima dei narcos: usare le mucche per portare la droga |
Corse clandestine di cavalli, traffico di fauna esotica e mucche usate come corrieri delle droga sono solo alcuni aspetti dello sfruttamento degli animali da parte della criminalità organizzata. Lo denuncia il rapporto 2010 sulla Zoomafia della Lega antivivisezione ( Lav). Il maltrattamento degli animali o il loro commercio illegale frutta un giro d’affari di 3 miliardi di euro. Il ramo delle corse clandestine di cavalli, nonostante sia in continua crescita, ha visto una diminuzione delle azioni repressive nel 2009. Il business è stimato sul miliardo di euro, ma lo scorso anno sono state solo 5 le corse bloccate per l’intervento delle forze dell’ordine. Un’unica inchiesta ha portato al sequestro di 56 cavalli e alla denuncia di 88 persone (10 delle quali arrestate). Invece sarebbero in calo i combattimenti fra cani, anche se in rete immagini e video prolificano. Lo scorso anno è stato chiuso un social network che si intitolava «Sì al combattimento fra cani». La lotta fra animali veniva descritta come «sport estremo ». «Nel corso degli anni gli scenari e i traffici criminali a danno degli animali si sono trasformati, ma resta alta la pericolosità sociale dei fenomeno zoomafioso », sostiene Ciro Troiano, responsabile dell’Osservatorio della Lav e autore della ricerca. Secondo il rapporto appare stabile il giro d’affari legato alla gestione dei canili «illegali » e al business dei randagi. Le stime parlano di 500 milioni di euro l’anno (compreso il traffico dei cuccioli), grazie a convenzioni con le amministrazioni locali per la gestione dei canili. Nel 2009 i carabinieri hanno svolto 1.649 controlli sfociati in 565 denunce e il sequestro di 5.900 animali. L’azione preventiva delle forze dell’ordine ha assestato un duro colpo all’importazione illegale di cuccioli dall'Est Europa con il sequestro di 886 bestiole e la denuncia di 41 persone fra trasportatori, allevatori e commercianti. Il traffico illecito di fauna esotica, assieme al bracconaggio, produce un business di circa 500 milioni di euro all’anno. Il commercio avviene anche via internet e coinvolge leoni, tigri, serpenti boa o varani del Nilo. Un boss della criminalità organizzata ha utilizzato addirittura un coccodrillo per spaventare i rivali. Per non parlare degli accessori in vendita sulla rete realizzati con pelli di specie protette come i giubbotti di procione o le borse in pitone. «La criminalità organizzata arriva persino a imporre gusti e scelte dei cittadini - spiega Troiano- e a mettere in pericolo la loro salute con il controllo della produzione e della venditadi sostanze alimentari di origine animale adulterate». Il rapporto Zoomafia 2010 lancia l’allarme sulla cosiddetta «Cupola del bestiame». Fra truffe all’erario o all’Unione europea, furti di animali di allevamento e commercializzazione di carni di animali malati vengono fatturati circa 400 milioni di euro. Lo scorso anno 11 veterinari sono stati denunciati, 4 dei quali arrestati in diverse inchieste. Il bracconaggio, invece, frutta 250mila euro l’anno ed esistono dei mercati abusivi di fauna selvatica, come quello di Ballarò a Palermo e a Sant’Erasmo a Napoli. Troiano, estensore del rapporto, sottolinea pure «quelle condotte zoomafiose che vengono percepite come un pericolo diretto per le persone, quali l’uso di cani per commettere rapine, il problema della pericolosità dei cani da combattimento, il rischio per la sicurezza stradale dovuto alle corse clandestine di cavalli». Dal 50% delle Procure interpellate dalla Lav sono giunte informazioni sui procedimenti giudiziari. Nel 2009 si registrano 1 .693 procedimenti per maltrattamento, uccisione e detenzione incompatibile di animali. Un dato «che rappresenta solo una parte minima delle migliaia di segnalazioni» giunte alla Lega antivivisezione. Uno degli aspetti più incredibili è l’utilizzo degli animali, vivi o morti, per il traffico di stupefacenti. «La droga è stata nascosta nell’apparato riproduttivo di alcune mucche » si legge nel rapporto della Lav. Non solo: i trafficanti hanno occultato la cocaina tra calamari congelati, nelle confezioni di carne in vendita sui banchi frigo dei supermercati o nascosta tra scatole di mangime per cani e gatti. |
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18 ottobre 2010 | La vita in diretta - Raiuno | reportage
L'Islam nelle carceri
Sono circa 10mila i detenuti musulmani nelle carceri italiane. Soprattutto marocchini, tunisini algerini, ma non manca qualche afghano o iracheno. Nella stragrande maggioranza delinquenti comuni che si aggrappano alla fede per sopravvivere dietro le sbarre.
Ma il pericolo del radicalismo islamico è sempre in agguato.
Circa 80 detenuti musulmani con reati di terrorismo sono stati concentrati in quattro carceri: Macomer, Asti, Benevento e Rossano.
Queste immagini esclusive mostrano la preghiera verso la Mecca nella sezione di Alta sicurezza 2 del carcere sardo di Macomer. Dove sono isolati personaggi come il convertito francese Raphael Gendron arrestato a Bari nel 2008 e Adel Ben Mabrouk uno dei tre tunisini catturati in Afghanistan, internati a Guantanamo e mandati in Italia dalla Casa Bianca.
“Ci insultano per provocare lo scontro dandoci dei fascisti, razzisti, servi degli americani. Una volta hanno esultato urlando Allah o Akbar, quando dei soldati italiani sono morti in un attentato in Afghanistan” denunciano gli agenti della polizia penitenziaria.
Nel carcere penale di Padova sono un centinaio i detenuti comuni musulmani che seguono le regole islamiche guidati dall’Imam fai da te Enhaji Abderrahman
Fra i detenuti comuni non mancano storie drammatiche di guerra come quella di un giovane iracheno raccontata dall’educatrice del carcere Cinzia Sattin, che ha l’incubo di saltare in aria come la sua famiglia a causa di un attacco suicida.
L’amministrazione penitenziaria mette a disposizione degli spazi per la preghiera e fornisce il vitto halal, secondo le regole musulmane.
La fede nell’Islam serve a sopportare la detenzione. Molti condannano il terrorismo, ma c’è anche dell’altro....
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03 febbraio 2012 | UnoMattina | reportage
Il naufragio di nave Concordia e l'allarme del tracciato satellitare
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14 marzo 2015 | Tgr Friuli-Venezia Giulia | reportage
Buongiorno regione
THE WAR AS I SAW IT - L'evento organizzato dal Club Atlantico giovanile del Friuli-Venezia Giulia e da Sconfinare si svolgerà nell’arco dell’intera giornata del 10 marzo 2015 e si articolerà in due fasi distinte: MATTINA (3 ore circa) ore 9.30 Conferenza sul tema del giornalismo di guerra Il panel affronterà il tema del giornalismo di guerra, raccontato e analizzato da chi l’ha vissuto in prima persona. Per questo motivo sono stati invitati come relatori professionisti del settore con ampia esperienza in conflitti e situazioni di crisi, come Gianandrea Gaiani (Direttore responsabile di Analisi Difesa, collaboratore di diverse testate nazionali), Fausto Biloslavo (inviato per Il Giornale in numerosi conflitti, in particolare in Medio Oriente), Elisabetta Burba (firma di Panorama), Gabriella Simoni (inviata Mediaset in numerosi teatri di conflitto, specialmente in Medio Oriente), Giampaolo Cadalanu (giornalista affermato, si occupa di politica estera per La Repubblica). Le relazioni saranno moderate dal professor Georg Meyr, coordinatore del corso di laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche dell’Università di Trieste. POMERIGGIO (3 ore circa) ore 14.30 Due workshop sul tema del giornalismo di guerra: 1. “Il reporter sul campo vs l’analista da casa: strumenti utili e accorgimenti pratici” - G. Gaiani, G. Cadalanu, E. Burba, F. Biloslavo 2. “Il freelance, l'inviato e l'addetto stampa in aree di crisi: tre figure a confronto” G. Simoni, G. Cuscunà, cap. B. Liotti
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24 maggio 2010 | Radio Padania Libera | intervento |
Italia
Proselitismo islamico dietro le sbarre
“Penso che sia giusto se alcuni musulmani combattono la guerra santa contro gli americani in paesi che non sono la loro terra”. Dopo un lungo girarci attorno Kamel Adid sorprende un po’ tutti, quando sputa il rospo. La domanda riguardava i mujaheddin, i musulmani pronti a morire per Allah, contro l’invasore infedele. Tre soldati della guerra santa, arrivati un paio di mesi fa da Guantanamo, sono rinchiusi poco più in là, nel reparto di massima sicurezza del carcere di Opera, alle porte di Milano.
Adid è un giovane marocchino di 31 anni con barbetta islamica d’ordinanza e tunica color noce. Nel carcere modello di Opera fa l’imam dei 44 musulmani detenuti, che frequentano una grande sala adibita a moschea. Un predicatore fai da te, che di solito parla un linguaggio moderato e ti guarda con occhioni apparentemente timidi.
Deve scontare ancora due mesi di pena per un reato legato alla droga e da pochi giorni è stato trasferito in un altro istituto. “Quelli che si fanno saltare in aria subiscono il lavaggio del cervello – si affretta a spiegare l’autonominato imam – Noi abbiamo riscoperto la fede in carcere. Pregare ci da conforto, ci aiuta ad avere speranza”.
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25 maggio 2010 | Spazio Radio - Radio 1 | intervento |
Italia
L'Islam nelle carceri italiane
In Italia su oltre 23mila detenuti stranieri, 9840 risultano musulmani, secondo i dati ufficiali. Almeno seimila, però, non si sono dichiarati. Il rapporto di 364 pagine, “La radicalizzazione jihadista nelle istituzioni penitenziarie europee”, realizzato dall’esperto di Islam nella carceri, Sergio Bianchi, ne indica 13mila.
In Italia ci sono circa 80 islamici dietro le sbarre per reati connessi al terrorismo. Dal 2009 li hanno concentrati in quattro istituti di pena: ad Asti, Macomer, Benevento e Rossano. Nel carcere di Opera, invece, sono arrivati Adel Ben Mabrouk, Nasri Riadh e Moez Abdel Qader Fezzani, ex prigionieri di Guantanamo. Chi li controlla ogni giorno racconta che parlano in italiano. La guerra santa in Afghanistan l’hanno abbracciata dopo aver vissuto come extracomunicatori nel nostro paese. Non si possono incontrare fra loro e vivono in celle singole. Pregano regolarmente con molta devozione e hanno mantenuto i barboni islamici.
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