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Articolo
24 luglio 2010 - Prima - Serbia - Il Giornale |
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Il Paese dove un operaio guadagna 444 euro al mese |
Belgrado è la capitale della nuova movida dei Balcani, l'80% della popolazione vuole entrare nell'Europa unita, anche se teme i sacrifici. E i giovani serbi amano i cantanti, la moda e la lingua italiana. La Serbia non è più il Paese messo al bando dell'ex Jugoslavia e con il passato di guerra etnica ha chiuso. La nuova sfida è sull'economia e sul futuro europeo. A maggio lo stipendio medio lordo era di 46.454 dinari, ovvero 444,5 euro. Questa è la paga di un operaio, mentre un salario alto si aggira sui duemila. Il costo della vita, però, è un quinto rispetto all'Italia, anche se varia molto da Belgrado alla provincia. In Serbia vivono oltre 8 milioni di persone e 2,4 nella sola capitale. «Tutto costa di più a Belgrado, ma ci sono stipendi più alti. E non manca una grande vitalità» raccontano i giovani serbi. La movida della capitale serba ha ripreso ritmo, dopo dieci anni di guerra e altri di embargo, sui barconi ristoranti e discoteche sul Danubio e sulla Sava. I caffè sono sempre affollati, anche se una tazzina può costare oltre 1 euro a Belgrado e la metà nell'entroterra. «Idem per una birra media: 140 dinari nella capitale e 100 in provincia. In pratica costa tutto un 30-40% in più» racconta Nikola, che vive a Belgrado ma ha trovato lavoro a Kragujevac. I giovani amano la nostra moda e «se vuoi far colpo su una ragazza la porti in un locale italiano». Quando arriva a Belgrado qualche star, come Eros Ramazzotti, il concerto si riempie e tutti cantano nella nostra lingua. Chi guadagna 400 euro al mese (320 netti) arrotonda con un altro lavoro. I fortunati con un piccolo pezzo di terra lo sfruttano per fare la rakia, la micidiale grappa locale, o raccogliere la frutta per venderla. In molti, per risparmiare, comprano la stoffa e si fanno i vestiti su misura dal sarto di provincia, che costa meno. «Se acquisti un paio di jeans di marca nei grandi magazzini come Zara o Benetton li paghi più o meno come in Italia. Invece il prodotto alla buona o taroccato ti costa 20 euro» racconta Nikola. A Kragujevac, dove la Fiat ha già assunto 1000 operai della vecchia fabbrica Zastava e arriverà a 2.400, i taxi sono i più economici d'Europa. Nell'ex capitale serba, sede universitaria, sono state prodotte 22mila Punto Classic. L'investimento del Lingotto in Serbia si aggira sul miliardo. Secondo l'ambasciatrice di Belgrado a Roma, Sanda Raskovic Ivic, «lo Stato serbo ha previsto incentivi per gli investitori stranieri, come ad esempio l'esenzione delle tasse per 10 anni, oppure un finanziamento pubblico fino a 10mila euro per ogni operaio assunto». Per i serbi l'automobile è uno status symbol. Molti si indebitano per sfoggiare un fiammante ultimo modello. Le vetture tedesche vanno per la maggiore, ma quelle italiane sono di moda. Gran parte dei serbi compra macchine di seconda mano, magari dall'estero. A Belgrado si può trovare una vecchia Yugo, che ancora cammina, a 1000 euro. «L'80% della popolazione (secondo i sondaggi, nda ) vuole entrare in Europa. Questo è un Paese che ha una grande voglia di aprirsi dopo la “chiusura”della guerra.Il mito della nazione guerriera che spara e ammazza non riflette la realtà odierna della Serbia», spiega l'ambasciatore. Belgrado ha voltato pagina con il passato di sangue e stragi consegnando 43 dei 46 criminali di guerra ricercati dal tribunale dell'Aia. L'unico pezzo grosso che manca all' appello è il generale Ratko Mladic accusato della strage di ottomila musulmani bosniaci a Srebrenica. I serbi si sentono mutilati dall'indipendenza del Kosovo, ma preferiscono pensare a dove passare le vacanze. Anche se i risparmi scarseggiano dallo scorso dicembre possono viaggiare liberamente in Europa senza visto, non più pecore nere dei Balcani. www.faustobiloslavo.eu |
[continua] |
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13 ottobre 2010 | Porta a porta | reportage
Le tigri serbe non fanno prigionieri
“Kosovo je Srbija” (il Kosovo è serbo) gridano gli hooligan di Belgrado durante le partite di calcio. Per loro la ferita della provincia albanese indipendente rimarrà sempre aperta. Giovani, spesso minorenni, studenti o disoccupati, passano facilmente dalle curve degli stadi alle manifestazioni di piazza. Ed il tifo si trasforma in cieca violenza. Sfasciano i Mac Donald, simbolo americano e se la prendono con il governo di Belgrado che vuole entrare in Europa.
Nel 2008, dopo la dichiarazione di indipendenza del Kosovo, attaccano l’ambasciata Usa a Belgrado. Dal balcone al primo piano fanno sventolare la bandiera nera con il teschio e le tibie incrociate. Un simbolo che si rifà ai cetnici, i partigiani anti nazisti e anticomunisti, durante la seconda guerra mondiale. Lo stesso simbolo sulla maglietta indossata dal capo degli ultrà serbi calati a Genova.
I più famosi sono i Delje, i “coraggiosi” della Stella Rossa di Belgrado, assieme ai Grobari, i “becchini” del Partizan. Acerrimi rivali negli stadi, durante le manifestazioni di piazza si alleano per sfasciare tutto. La Stella rossa è il club calcistico con il più alto numero di dirigenti collusi con la mafia balcanica.
La leggenda nera degli ultrà serbi è Zeliko Raznatovic. Il famigerato Arkan, l’immortale, ucciso nel 2000 a Belgrado a raffiche di mitra. Durante la guerra etnica che distrugge la Jugoslavia arruola i tifosi più violenti. Le Tigri, che non fanno prigionieri, come spiega lo stesso Arkan: “Li ammazziamo subito, con un colpo di pistola alla testa,”.
Dopo la sua morte la tifoseria continua a venir pilotata. I manager di alcune squadre sono vicini agli oppositori ultranazionalisti di Tomislav Nikolic. Il successore di Vojislav Seselj, dietro le sbarre a L’Aja, con l’accusa di crimini di guerra.
Fra gli ultrà non mancano gli estremisti di destra del gruppo Onore, che difende i criminali di guerra serbi, come l’ultimo super latitante, Ratko Mladic. Gli stessi che domenica scorsa si scatenano a Belgrado contro il Gay pride.
Non è un caso che gli ultrà attaccano a colpi di slogan soprattutto il presidente serbo Boris Tadic. Europeista convinto, ha voltato pagina con le tragedie della pulizia etnica ed è grande amico del nostro paese. Dallo scorso anno Italia e Serbia sono alleati strategici nei Balcani e Roma spinge per l’ingresso di Belgrado nell’Unione europea. I nostalgici del passato fomentano i giovani tifosi per impedirlo.
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