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Articolo
28 luglio 2010 - Esteri - Afghanistan - Il Giornale |
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Svelati i segreti dell'Italia al fronte Cosi si trattò per Mastrogiacomo |
La bomba dei rapporti segreti del Pentagono sulla guerra in Afghanistan pubblicati da Wikileaks riguarda anche l’Italia e la dura missione dei nostri soldati: ci sono resoconti di riservati incontri diplomatici, minacce terroristiche e azioni di guerra. Emergency e gli Usa Uno dei documenti «diplomatici » più interessanti descrive l’incontro a Washington fra l’ambasciatore italiano, Giovanni Castellaneta, e il vice segretario di Stato americano John Negroponte. L’incontro avviene il 30 marzo 2007, una decina di giorni dopo la liberazione di Daniele Mastrogiacomo, inviato di Repubblica catturato dai talebani, in cambio di cinque talebani scarcerati da Kabul. Si legge che Negroponte «sollecita Roma a usare la sua influenza per fermare la minaccia dell’ong Emergency di chiudere i suoi ospedali in Afghanistan fino a quando il loro dipendente, Ramatullah Hanefi, non sarà rilasciato dalle autorità afghane». Hanefi era il responsabile logistico dell’ospedale di Lashkar Gah, che ha trattato con i talebani lo scambio di prigionieri. Nelle mani dei rapitori c’è ancora l’interprete di Mastrogiacomo, Adjmal Nashkbandi, decapitato una settimana dopo. Secondo l’ambasciatore, «Emergency ha chiesto al governo italiano di intervenire per liberare più terroristi». Sembra di capire che servirebbero a far liberare Hanefi, ma è sicuramente un errore di trascrizione o di esposizione. In realtà i talebani avevano inizialmente chiesto il rilascio di 15 loro commilitoni. La famiglia di Adjmal era certa che liberando altri tagliagole il giovane traduttore sarebbe tornato a casa, ma nessuno lo voleva fare. Nel rapporto Castellaneta spiega che «l’Italia è contraria a qualsiasi nuovo scambio». L’ambasciatore chiede comunque aiuto agli americani per far visitare Hanefi in galera. Il caso Calipari Uno dei punti di discussione riguarda il caso di Mario Lozano sotto processo in Italia, che ne chiede l’estradizione. Il soldato americano ha ucciso per errore a Bagdad il numero due dei servizi segreti italiani, Nicola Calipari, durante la liberazione della giornalista Giuliana Sgrena, presa in ostaggio. Per Negroponte il caso è chiuso. Il vicesegretario chiede con durezza al «governo italiano di risolvere la questione comunicando alla corte che le azioni in zona di guerra sono fuori dalla sua giurisdizione». Castellaneta assicura che informerà D’Alema e suggerisce «una visita a Washington del ministro dell’Interno, Giuliano Amato, per discutere del caso». Prodi e Bush L’ultimo punto all’ordine del giorno ha un titolo che è tutto un programma: «Potus (il presidente Usa, nda ) - Primo ministro Prodi: mancato incontro comincia a essere un problema politico». L’ambasciatore sottolinea che a Roma la questione è molto sentita «in particolare dopo un anno dell’elezione di Prodi». Castellaneta, pur di far incontrare Prodi con Bush, fa sapere che«l’Italia è flessibile sul luogo (Washington o Roma) e sui tempi». Agenti iraniani Il 28 settembre 2009 l’intelligence Usa segnala che 7 arabi e 4 iraniani sono stati segnalati nella provincia di Herat. Gli arabi, collegati ad Al Mansour, uno dei vice di Osama bin Laden, sono incaricati di eseguire attacchi suicidi contro truppe americane ed italiane (....)». Gli iraniani, invece, «fanno parte di un’unità di intelligence dei Sepah e Pasdaran (i Guardiani della rivoluzione, nda ) ». Il gruppo ha raggiunto il movimento armato di Ghulam Yahya Akbary, comandante degli insorti nella zona sotto controllo italiano. Il 17 febbraio 2009 Akbary è ucciso in un raid. Trappole esplosive Numerosi file segreti descrivono gli attentati contro gli italiani, «con 100 chilogrammi di esplosivo nascosti sotto un ponte», o il ritrovamento delle trappole esplosive grazie «alla Humint intelligence», informatori sul terreno. La descrizione asettica dei Tic, l’acronimo usato per indicare scontri e battaglie, non mancano. Il 4 ottobre, americani e italiani si sono trovati sotto il fuoco talebano a Nord di Herat. «Nelle ultime 24 ore ci sono state altre tre battaglie - si legge - Tutte nell’area di 3-5 chilometri». In altri casi gli italiani chiedono l’appoggio aereo, come il 20 agosto 2009 con due cacciabombardieri Mirage. In novembre il rapporto B/ 2-321 descrive l’ennesima battaglia a Bala Murghab sul fronte Nord dello schieramento italiano. «Gli italiani hanno 23 soldati al castello - scrivono gli americani - e la Forza di reazione rapida è in stato di allerta». Si combatte vicino alla nuova moschea, il bazar è deserto. Alla fine arrivano gli elicotteri Mangusta.
Tra i 92mila documenti classificati resi pubblici da Wikileaks e pubblicati su «New York Times », «Guardian» e «Der Spiegel » anche informazioni sulla missione italiana in Afghanistan D’Alema Il 5 aprile 2007 l’ambasciatore Usa, Spogli e il ministro degli Esteri D’Alema si incontrano. Per un dispaccio dell’ambasciata, D’Alema sostiene che «non pensa di poter o dover controllare ( Emergency, nda ) che minaccia la chiusura dei suoi ospedali in Afghanistan». I due parlano del caso Abu Omar e della possibile chiusura di Guantanamo. D’Alema dice che l’Italia potrebbe accogliere alcuni terroristi. Noi e i civili Rapporti segreti riguardano le operazioni della Tf-45, Task force dei corpi speciali italiani di base a Farah e i feriti subiti. I nostri militari sono precisi nel riportare incidenti con i civili, che non si fermano al passaggio dei convogli. Sparano in aria o al motore delle vetture sospette e non si registrano vittime. Invece le operazioni speciali americane nell’area sotto comando italiano provocano spesso perdite civili. Fuoco amico Luglio 2008 nell’est, i servizi afghani «confermano che un ufficiale italiano ha sparato a un responsabile logistico dell’intelligence ( di Kabul)». Militari italiani sono arrestati e rilasciati. Aprile 2008, addestratori italiani «riportano che nel distretto di Adraskan (ovest) un ufficiale di polizia prende mazzette dai camionisti ».L’esercito afghano bastona l’agente. Fra polizia e soldati scoppia «un conflitto a fuoco». Elicotteri colpiti Lo scorso anno si intensificano i rapporti che segnalano attacchi con armi automatiche agli elicotteri italiani. In particolare sul fronte Nord a Bala Murghab. Il 27 maggio 2009 un AB-212 atterra alla base avanzata Columbus a Bala Murghab. L’elicottero «è osservato e ingaggiato da 7 colpi». Il 10 giugno i talebani ci riprovano con un altro elicottero «che appoggia le truppe sul terreno». |
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28 ottobre 2012 | TGCOM | reportage
Così sono saltato in aria in aria su una trappola esplosiva con i soldati italiani in Afghanistan
L’esplosione è improvvisa, quando meno te l’aspetti, lungo una pista arida, assolata e deserta, che si infila fra le montagne. Non hai neppure il tempo di capire se sei vivo o morto, che la polvere invade il super blindato Cougar fatto apposta per resistere alle trappole esplosive. E’ come se la mano del Dio talebano afferrasse il bestione da 14 tonnellate in movimento fermandolo come una macchinina giocattolo. “Siano saltati, siamo saltati” urla alla radio il tenente Davide Secondi, che conduce la missione per stanare gli Ied, le famigerate trappole esplosive. E poi sbotta: “Porco demonio”.
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19 novembre 2001 | Studio Aperto - Italia 1 | reportage
Uccisa Maria grazia Cutuli e altri tre giornalisti
Uccisa Maria grazia Cutuli e altri tre giornalisti
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20 maggio 2007 | Terra! | reportage
I due che non tornarono
Due “fantasmi” resteranno legati per sempre alla brutta storia del sequestro e della liberazione di Daniele Mastrogiacomo.
I fantasmi degli ostaggi afghani, gli ostaggi di serie B, il cui sangue pesa meno di quello di un giornalista italiano, come ci hanno detto fra le lacrime i loro familiari ed in tanti a Kabul (…) Gente comune, interpreti ed autisti del circo mediatico che ha invaso per qualche settimana l’Afghanistan e si è dissolto quando il giornalista di Repubblica è tornato a casa sano e salvo.
I due fantasmi di questa brutta storia si chiamano Sayed Agha e Adjmal Naskhbandi, i compagni di sventura afghani di Mastrogiacomo che non sono più tornati a casa. I tagliagole talebani non hanno avuto un briciolo di pietà a tagliare loro la testa in nome del Jihad, la guerra santa. (…) Non si capisce cosa aveva da esultare il giornalista italiano, il 20 marzo, quando è sceso dalla scaletta dell’aereo che lo aveva riportato in patria, alzando le braccia al cielo come se avesse vinto un incontro di pugilato all’ultimo round. Alle spalle, sul campo di battaglia, aveva lasciato sia i vivi che i morti: Sayed il suo autista decapitato quattro giorni prima e Adjmal l’interprete rimasto vivo, ma ancora nelle grinfie dei talebani. (…) Purtroppo con il destino già segnato di una condanna a morte che servirà solo a seminare ulteriore zizzania politica in Italia ed in Afghanistan.
Fin dal 5 marzo, quando sono stati inghiottiti in tre nella palude talebana della provincia di Helmand, i riflettori erano puntati solo sull’ostaggio eccellente, Daniele Mastrogiacomo. (…) Una prassi nei casi di sequestro dove chi ha il tuo stesso passaporto vale di più dei disgraziati locali che si trascina dietro. Loro se la cavano, si pensa spesso, ma in questo caso non è stato così. Il miraggio di guadagnare un pugno di dollari accompagnando un giornalista straniero a caccia dello scoop l’hanno pagato con la vita.
Sayed aveva 25 anni e quattro figli, di cui il più grande Atifah ha solo sei anni. L’ultimo, il quinto che la moglie rischiava di perdere quando ha saputo del sequestro del marito, è nato un giorno prima del funerale del padre.
Sayed faceva l’autista e pensava che non fosse tanto rischioso portare in giro Mastrogiacomo in una zona che conosceva come le sue tasche, perché c’era nato e ci viveva. Invece non aveva fatto i conti giusti con i talebani che per vecchie ruggini familiari e con l’accusa di spionaggio l’hanno processato secondo la legge islamica e condannato a morte. (…)
Il 16 marzo i tagliagole hanno detto ai tre ostaggi che andavano a fare un giro, ma Sayed doveva sentire che era arrivata la sua ultima ora. Quando l’hanno fatto inginocchiare, a fianco di Mastrogiacomo, nella sabbia, in tunica bianca e con una benda rossa sugli occhi, non si agitava, sembrava rassegnato. Il giudice islamico ha letto una sbrigativa sentenza in nome di Allah ed il boia al suo fianco ha buttato il poveretto nella polvere, di traverso, per decapitarlo meglio. Nella mano destra del boia è apparso un coltellaccio ricurvo per segargli il collo. Sul corpo inanimato della vittima, come se fosse un burattino sena fili i tagliagole solitamente appoggiano la testa e si fanno riprendere soddisfatti.
Ci sono voluti 11 giorni ai familiari per recuperare la salma, senza testa, perché nessuno gli ha dato una mano. (…) “Tutto il mondo ci ha dimenticato e si è occupato solo del rilascio del giornalista italiano in cambio di cinque criminali. Sayed e Adjmal lavoravano con lo straniero. Lui è stato liberato e per gli afgani cosa si è fatto?” ci ha detto amaramente Mohammed Dawood il fratello dell’autista ucciso.
Adjmal aveva 23 anni e si era sposato da poco. Faceva il giornalista, non solo l’interprete e nelle zone talebane c’era già stato. Non abbastanza per salvarsi la pelle ed evitare di finire in una trappola assieme all’inviato di Repubblica. Con Mastrogiacomo ha diviso le catene ed i dolori del sequestro. (…) Nello scambio con cinque prigionieri talebani detenuti nelle carceri afghane era previsto sia Mastrogiacomo che Adjmal. A tutti e due il capobastone dei tagliagole che li tenevano prigionieri aveva detto “siete liberi”. Invece qualcosa è andato storto e Adjmal non è più tornato a casa. Quando la sua anziana madre ha capito che era ancora ostaggio dei talebani ha avuto un infarto. (…)
Per non turbare il successo a metà della liberazione di Mastrogiacomo la grancassa di Repubblica aveva annunciato anche la liberazione di Adjmal e gran parte dei media hanno abboccato all’amo, ma non era vero. Qualche giorno dopo, quando Adjmal mancava tristemente all’appello, sempre Repubblica ha cercato di accreditare la teoria che era stata la sicurezza afghana a farlo sparire per interrogarlo. Anche questa volta non era così. (…) I talebani volevano sfruttare ancora un po’ il povero interprete per tenere sulla graticola il governo di Kabul e quello di Roma, che a parole ha chiesto la liberazione di tutti, ma nei fatti si è portato a casa solo il giornalista italiano.
“Sono felice per la liberazione di Daniele, perché la vita di un uomo è stata salvata da un pericolo mortale. Allo stesso tempo sono arrabbiato, perché non ci si è occupati con la stessa attenzione di mio fratello” ci diceva Munir Naskhbandi assieme ad amici e cugini quando il giovane interprete era ancora vivo.
Tutti, però, sapevano che il governo del presidente afghano Hamid Karzai non avrebbe più liberato un solo talebano in cambio dell’ostaggio.
Per non lasciarsi testimoni afgani alle spalle a dare un’ultima scossa i tagliagole hanno condannato a morte anche Adjmal. La decapitazione di rito è avvenuto un giorno qualsiasi per loro, ma ancora più amaro per noi, la domenica di Pasqua e resurrezione.
Attorno ai fantasmi e all’unico sopravissuto di questa storia non mancano le zone d’ombra, che prima o poi andranno chiarite. Rahmattulah Hanefi, l’uomo di fiducia di Emergency, che ha fatto da mediatore è stato arrestato dai servizi segreti afghani il giorno dopo la liberazione di Mastrogiacomo. (…) Il fratello di Sayed Agha, l’autista decapitato, aveva puntato subito il dito contro di lui. Amrullah Saleh il capo dei servizi di Kabul è ancora più duro e dice: “Abbiamo le prove che Hanefi è un facilitatore dei talebani, se non addirittura un loro militante travestito da operatore umanitario”. (…) L’uomo di Emergency avrebbe fatto cadere in una trappola Mastrogiacomo, sarebbe stato una quinta colonna dei tagliagole e avrebbe abbandonato Adjmal al suo destino. Le prove, però, non si vedono e fino a quando non verranno rese note non sapremo se si tratta di una ritorsione contro Emergency troppo blanda con i talebani, oppure un’innominabile verità che schizzerebbe fango su tutti, compreso il governo italiano.
Un’altra ombra di questa vicenda è il canale parallelo di mediazione ingaggiato da Repubblica fin dalle prime ore del sequestro. Uno strano free lance italo inglese, Claudio Franco e la sua spalla afgana, hanno mediato per la liberazione. (…) Gino Strada, fondatore di Emergency, sente puzza di servizi segreti e non vuole averne a che fare. La strana coppia rispunta nell’area riservata dell’aeroporto militare di Kabul, quando arriva Mastrogiacomo appena liberato ed in viaggio verso l’Italia. Qualcuno della Nato li ha appena “estratti” dal sud dell’Afghanistan. Franco scatta foto esclusive di Mastrogiacomo mentre sale sul Falcon della presidenza del Consiglio, che lo riporterà a casa. Le immagini non vengono mai pubblicate e sul canale parallelo di mediazione viene steso un velo di silenzio.
C‘è voluto un negoziato per avere questa fotografia di Sayed Agha con tre dei suoi cinque bambini. Nell’immagine c’era pure la moglie, ma i familiari, da buoni pasthun, non potevano farla vedere a degli stranieri (…) per di più infedeli. Alla fine hanno tagliato via la moglie e sono rimasti i bambini. Non vedranno più loro padre, morto nella provincia di Helmand, in Afghanistan, (…) per fare l’autista ad un giornalista italiano, Noi preferiamo ricordarlo così, (…) da vivo, con i suoi figli.
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25 novembre 2010 | Nuova Spazio Radio | intervento |
Afghanistan
Il talebano impostore ai segretissimi colloqui di pace
“Tu Vuo' Fa' O' Talebano” era il divertente tormentone musicale che prendeva in giro Osama bin Laden nel 2001, ma questa volta in Afghanistan la farsa ha superato l’immaginazione. Un impostore si è presentato al segretissimo tavolo della pace con il governo afghano spacciandosi per il numero due di mullah Omar, il leader guercio dei talebani. Nella sceneggiata tragicomica ci è cascata anche la Nato, che ha prelevato con i suoi aerei il truffatore in Pakistan scortandolo in Afghanistan.
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19 aprile 2010 | SBS Australia | intervento |
Afghanistan
Liberati i tre operatori di Emergency
Svolta nella ultime ore dopo una settimana di passione.
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18 agosto 2010 | SBS | intervento |
Afghanistan
Vittime civili e negoziati con i talebani
Dall’inizio dell’anno vengono uccisi in Afghanistan una media di 6 civili al giorno e 8 rimangono feriti a causa del conflitto. Lo sostiene Afghanistan rights monitor (Arm), che registra le vittime della guerra. Nel 2010 sono stati uccisi 1047 civili e altri 1500 feriti. Un incremento del 13% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Oltre il 60% delle vittime civili sono responsabilità degli insorti (661), che secondo il rapporto di Arm “dimostrano scarso o nessun rispetto per la sicurezza e la protezione dei non combattenti”. Le trappole esplosive hanno ucciso fino ad oggi 282 civili, più di ogni altra minaccia seguito da 127 morti a causa degli attacchi suicidi.
Le truppe della coalizione internazionale hanno ridotto considerevolmente le perdite provocate fra i civili grazie alle restrizioni imposte sugli interventi aerei. L’Arm sostiene che dall’inizio dell’anno 210 civili sono morti per colpa della Nato. Altri 108 sono stati uccisi dalle forze di sicurezza afghane.
Lo scorso anno, secondo le Nazioni Unite, sono stati uccisi in Afghanistan 2.412 civili, il 14% in più rispetto al 2008. Però il 70% dei morti era responsabilità dei talebani. Non solo: le 596 vittime attribuite alle forze Nato e di Kabul segnano un calo del 28% rispetto al 2008. Un segnale che gli ordini ferrei del comando Nato in Afghanistan, tesi ad evitare perdite fra i civili, sono serviti a qualcosa.
La propaganda talebana, però riesce a far credere in Afghanistan, ma pure nelle fragili opinioni pubbliche occidentali che i soldati della Nato sono i più cattivi o addirittura gli unici responsabili delle vittime civili a causa dei bombardamenti.
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13 aprile 2010 | SBS Radio Italian Language Programme | intervento |
Afghanistan
Mistero Emergency
La Radio per gli italiani d'Australia intervista Strada, ma i misteri di Emergency cominciano con il rapimento del free lance Gabriele Torsello nel 2006 e dell'inviato di Repubblica, Daniele Mastrogiacomo, l'anno dopo, sempre nella provincia di Helmand.
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18 maggio 2010 | SBS Australia | intervento |
Afghanistan
Trappola esplosiva uccide due alpini
L’Afghanistan è la nostra trincea, dove 3300 soldati italiani combattono i talebani e portano aiuti e sviluppo alla popolazione. Dal 2001 abbiamo perso 22 uomini per cercare di garantire sicurezza al paese. Gli ultimi due caduti sono il sergente Massimiliano Ramadù ed il caporal maggiore Luigi Pascazio. La mattina del 17 maggio sono saltati in aria su una trappola esplosiva lungo la “strada maledetta”. Una pista in mezzo alle montagne di sabbia che porta da Herat, il capoluogo dell’Afghanistan occidentale, a Bala Murghab, dove i soldati italiani tengono con le unghie e con i denti una base avanzata. I caduti fanno parte del 32° reggimento genio guastatori della brigata Taurinense. Due loro commilitoni, il primo caporal maggiore Gianfranco Scirè ed il caporale Cristina Buonacucina sono rimasti feriti dall’esplosione che ha sconquassato il blindato Lince su cui viaggiavano. L’alpina è la seconda donna soldato ferita in Afghanistan.
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