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10 agosto 2010 - Esteri - Ruanda - Il Foglio
Morbido fuori e tiranno dentro, Kagame si riprende il Ruanda
Sette anni fa i ruandesi l’hanno eletto presidente con oltre il 90 per cento dei voti. Per il secondo mandato di Paul Kagame, padre padrone della piccola nazione africana – ma è la più popolosa per densità d’abitanti –, c’è soltanto l’incertezza sulla percentuale della riconferma. Il Ruanda ha aperto ieri le urne con un risultato scontato. Oltre cinque milioni di elettori hanno scelto fra l’ex ribelle tutsi che guida il paese dal 1994, dopo la tragedia del genocidio, e tre candidati di facciata. Quest’ultimi fanno parte del governo e si sono fatti vedere poco in campagna elettorale. Invece l’opposizione è stata tagliata fuori con accuse e arresti arbitrari, misteriosi omicidi e chiusure di giornali non graditi al presidente.
Il problema è che l’autocrate Kagame ha l’abilità di mascherare la deriva poco democratica e molto dispotica in cui sta scivolando da tempo il Ruanda snocciolando indubbi successi. L’economia ha fatto passi da gigante con una crescita che sfiora il 10 per cento negli ultimi anni. Il paese punta soprattutto sulle esportazioni di caffè e tè, ma ha aperto alle privatizzazioni e agli investimenti. Il governo di Kigali investe anche sul turismo grazie all’indubbia stabilità garantita da Kagame e dai suoi soldati, ex guerriglieri tutsi del Fronte patriottico, che assieme agli ugandesi sono i prussiani dell’equatore.

Kagame è riuscito ad abbindolare soprattutto gli europei
con la storiella della “riconciliazione” dopo il genocidio. Nel 1994 gli hutu massacrarono 800 mila tutsi, che poi presero il potere con il Fronte patriottico guidato da lui e passarono alla rappresaglia. Adesso l’ordine tassativo è dichiararsi ruandese: se invece ti qualifichi come hutu o tutsi, le due etnie del paese, rischi la galera. Ottima idea soprattutto per i tutsi, che sono il 15 per cento della popolazione, ma hanno quasi sempre dominato il Ruanda essendo guerrieri di origine, a differenza dei contadini hutu. Quest’ultimi con Kagame si sentono tagliati fuori dal potere più che mai.

Però ci sono nuovi ospedali, addirittura un’assicurazione sanitaria nazionale e milioni di dollari di investimenti dall’estero. Parte dei tecnocrati del governo sono rientrati dopo il genocidio dagli Stati Uniti. Il presidente, che rimarrà al potere incontrastato per altri sette anni (in tutto saranno 23), è un uomo moderno: usa Twitter, oltre ad avere portato Internet nel paese delle mille colline e sposato l’economia verde. Durante i comizi elettorali folle di 100 mila persone gridavano “E’ lui, è lui”, come se si trattasse del Messia. Peccato che i giornalisti della stampa inglese hanno scoperto che spesso la polizia obbligava la gente ad andare alle manifestazioni pro Kagame. E chi non si registra per votare subisce pressioni dagli amministratori locali, perché il trucco a uso e consumo degli occidentali in tempo di elezioni deve funzionare perfettamente.

L’opposizione vera, invece, va cancellata.
Victoire Ingabire è una hutu rientrata dall’Olanda in gennaio per partecipare alle presidenziali con il partito Fdu-Inkingi. In aprile l’hanno arrestata e adesso è in attesa di processo accusata di essere una filo genocida e in combutta con i tagliagole hutu nel Congo. “Kagame non è pronto ad accettare un’opposizione” ha sentenziato la candidata costretta a non presentarsi al voto.
Andre Kagwa Rwisereka, uno degli esponenti più in vista dei Verdi ruandesi, che pure non si sono potuti presentare, è stato brutalmente ucciso lo scorso mese. Frank Habineza, il leader del partito, ha dichiarato visibilmente scosso: “Il Fronte patriottico (del presidente nda) porterà mai la democrazia in Ruanda?”. Pure Charles Kabanda, candidato tutsi, non è riuscito a partecipare alle elezioni, reo di aver abbandonato gli uomini di Kagame negli anni Novanta accusandoli di essere “spietati”. Due giornali privati sono stati chiusi e il direttore di una delle testate, Jean-Bosco Gasasira, è fuggito temendo per la sua vita. In giugno il suo vice è stato ucciso sulla porta di casa.

Kagame è stato ufficiale dell’intelligence,
fin dai tempi in cui era al fianco del capo guerriglia Yoweri Museveni, poi diventato presidente per sempre dell’Uganda. Quello che teme di più è una fronda militare. Non tutti i tutsi al potere concordano con la sua linea da padre padrone, ma se provano a ribellarsi finisce male. Durante i mondiali di calcio è stato quasi ucciso in un attentato in Sud Africa il generale Faustin Kayumba Nyamwasa, ex capo di stato maggiore ruandese, che in febbraio aveva lasciato il paese. Un giornalista investigativo che seguiva la vicenda è stato ucciso con un proiettile in testa subito dopo aver pubblicato su Internet il suo articolo. Il segretario generale dell’Onu, Ban Ki Moon, ha chiesto un’inchiesta sulla violenza politica in Ruanda incontrando Kagame.

Difficile che qualcuno si muova a livello internazionale. Il presidente ruandese si è ritagliato un ruolo strategico, assieme all’Uganda, come alleato degli Stati Uniti nella regione. Il paese è entrato nel Commonwealth lo scorso anno con l’aiuto di Tony Blair consulente di Kagame. A fine mese farà tappa a Kigali il sottosegretario agli Esteri, Alfredo Mantica, per una tappa prima di una missione in Mozambico. Pure con la Francia, antica rivale filo hutu, l’affabile presidente ha ricucito. Nel 2006 Kigali aveva rotto le relazioni diplomatiche con Parigi. Il giudice Jean-Louis Bruguière accusava il presidente di avere fatto abbattere nel 1994 l’aereo dell’allora capo di stato Juvènal Habyarimana. L’attentato fece scattare il genocidio. Il 2 marzo la vedova di Habyarimana, rifugiata in Francia assieme ad altri membri del vecchio regime, è stata arrestata e poi rilasciata in attesa di processo. Il presidente francese Nicolas Sarkozy era volato a Kigali il 25 febbraio per riappacificarsi con Kagame l’inossidabile.





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