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Reportage
22 settembre 2010 - Dossier - Slovenia - Oggi
Benvenuti a Krsko Comune supernuclearizzato
Krsko (Slovenia), settembre “Viviamo con la centrale nucleare in casa fin da piccoli. Siamo immuni dalle radiazioni, a parte i pomodori giganti e le mele grosse come angurie”, ridacchia Saso Rabic, 34 anni, davanti a una birra del Lokal, un bar alla moda di Krsko.  “Non fare quella faccia. é uno scherzo. Tutti credono che gli abitanti di questa città siano omini verdi radioattivi, ma noi non abbiamo paura della centrale e ci ridiamo sopra”, spiega Primoz Pirc, 30 anni. Occhiali griffati, battuta pronta, i giovani tifosi delle squadre di Krsko, dal calcio alla pallavolo, non hanno scelto a caso il loro nome da ultrà: Nuclear power boys (“i ragazzi dell’energia nucleare”). E il simbolo è quello a spicchi gialli e neri che segnala “pericolo radiazioni”.
Questa cittadina di 26 mila anime convive dal 1983 con una centrale atomica. La Nuklearna, come la chiamano qui, garantisce oltre un quarto del fabbisogno energetico sloveno e un quinto di quello della vicina Croazia. L’enorme cilindro in cemento armato del reattore si staglia con colori tenui, in un ambiente bucolico sulla sponda del fiume Sava. A un chilometro da qui i contadini sembrano più preoccupati degli insetti che flagellano i frutteti, che delle radiazioni.
Un caschetto arancione da cantiere è l’unico segnale evidente che stiamo entrando in un’area off limits. Ci lavorano 600 persone e tutto è asettico come in un ospedale. Se il reattore è il cuore di un impianto nucleare, la centrale di comando e controllo è il cervello. Un bunker tecnologico con un’infinità di pannelli, computer, allarmi. Se si accende la luce gialla a intermittenza scatta un segnale simile a una sveglia, che segnala un problema. Quella verde indica la normalità. Con un semplice joystick si tiene sotto controllo la temperatura del reattore, che viaggia sui 330 gradi.
“Se non ho paura di volare, tantomeno mi preoccupo di lavorare in una centrale nucleare con una tecnologia sicura al 100 per cento”, sorride Barbara Grobelnik. A 27 anni, laurea in fisica è la prima donna che lavora nel “cervello” della centrale, fino allo scorso gennaio riservato ai maschi. A fianco del reattore un edificio basso e anonimo è il deposito delle scorie. Duemila metri cubi, a livello del terreno, immerse nel cemento armato e chiuse in 13 mila barili. Bisogna trovare un nuovo sito, specie in vista del raddoppio del reattore.
Franc Pribozic è un veterano che ha visto nascere la centrale, con tecnologia americana, ai tempi di Tito. Addestra i giovani a tenere sotto controllo il reattore. “Si simula di tutto, anche la fuoriuscita di radioattività”, spiega. “Gli scenari sono 200, compresi i peggiori, ma vi garantisco che un disastro come Chernobyl non capiterà più”. In passato Krsko ha subito diversi malfunzionamenti, con relativi blocchi del reattore. L’ultimo allarme, ingigantito dal sistema d’allerta europeo è scattato nel 2008. Una valvola difettosa ha provocato la fuoriuscita di liquido radioattivo.
“Ho ordinato alla mia squadra di entrare nell’edificio del reattore, con tute e maschere, per controllare il livello di radioattività”, ricorda Predrag Sirola, il direttore tecnico. Il mondo non ha corso alcun pericolo. Però le notizie ingigantite hanno creato un tale panico, che a Trieste c’era già chi consigliava di tappare le finestre e non uscire di casa.
A Krsko è difficile trovare qualcuno contro il nucleare. Un negozio di stoffe si chiama addirittura Atom. “Ho avuto paura solo per la nuvola radioattiva di Chernobyl. Neppure ci penso che vivo a fianco di una centrale”, osserva la proprietaria, Vlatka Stroij. Matej Molan, 28 anni, laureato in filosofia, è uno dei pochi controcorrente. “Viviamo nel 21° secolo è assurdo non utilizzare energia pulita come quella solare o eolica”, dice Matej . “Da anni nessuno protesta. Spero che le coscienze si risveglino col progetto del secondo reattore”. I suoi nonni, che amano la campagna, dominano la centrale da una casetta in mezzo al verde. Non si sono mai preoccupati, ma per il raddoppio pensano “sia meglio fare un referendum”.
Chi non ha dubbi sulla centrale è il sindaco Franc Bogovic. “Mai avuto incubi stile Chernobyl. Da noi la percentuale di tumori è del 20 per cento in meno rispetto al resto della Slovenia”, spiega. “Rischio di più a fare ogni anno 50mila chilometri in auto”. Bogovic snocciola cifre: 4-5 milioni di euro all’anno di tasse del nucleare nelle casse del comune, la centrale e l’indotto danno lavoro a un migliaio di persone, 40 milioni di euro sono stati investiti nella sicurezza.
Nei sotterranei del municipio è stata ricavata la centrale operativa della protezione civile, sempre pronta in caso di emergenza. Un monitor controlla i livelli della radioattività in tutta l’area di Krsko. In caso di pericolo suona l’allarme ondulatorio con una sirena anti aerea. 32 ex militari esperti di scenari nucleari, batteriologici e chimici hanno tute e maschere in casa pronte all’uso; 250 volontari possono sopravvivere in un bunker atomico tre metri sotto terra, fra le case della Krsko antica. Un’enorme porta spessa oltre un metro di cemento armato e acciaio sigilla tutto. All’interno: brande, tute anti radiazioni, filtri per l’aria...
“In caso di contaminazione il piano prevede di evacuare 10 mila persone in un raggio di tre chilometri dalla centrale. Nel secondo cerchio di 10 chilometri abbiamo 32 rifugi in scuole, banche ed edifici pubblici”, spiega Branko Petan, capo della Difesa civile. Ex ufficiale dell’Armjia jugoslava, garantisce che ci sono scorte di farmaci anti radiazioni per 21mila persone. Ogni abitante di Krsko riceve un opuscolo con le istruzioni per l’emergenza, compresi semplici fumetti per i bambini. Un sistema speciale permette di lanciare messaggi sulla Tv di tutte le case e ogni due anni si organizzano grandi esercitazioni.
A Krsko pure l’Associazione degli studenti ha adottato il simbolo per l’allarme radiazioni. La Gen, società della centrale, li coccola sponsorizzando iniziative culturali e sportive. Rok Umek, 24 anni, “l’unico effetto negativo è quello visivo. Zero paura. Era più pericolosa la fabbrica di cloro vicino al centro città”.
Fausto Biloslavo

IL SECONDO REATTORE PARLERA’ ITALIANO?
Secondo Stane Rozman, boss della centrale nucleare slovena, il reattore 1 può andare avanti fino al 2040. Ma il Parlamento di Lubiana affronterà presto il dibattito sulla costruzione di un secondo reattore. “Costerà due miliardi di euro, ci vorranno sette anni per metterlo in linea: siamo aperti a investitori stranieri, Italia compresa”, dice Rozman.
Un’idea cullata da tempo da Renzo Tondo (foto), governatore del centrodestra in Friuli-Venezia Giulia. “Mi sembra semplice buon senso partecipare al raddoppio di Krsko. Così non servirebbero nuove centrali nel Nord Est”, conferma Tondo a Oggi.
L’interesse è ricambiato  dal sindaco di Krsko, Franc Bogovic: “Per il secondo reattore, la Slovenia dovrebbe chiedere all’Italia di investire”.
F.Bil.