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14 ottobre 2010 - Esteri - Serbia - Il Foglio
Cristo e botte: Ecco il mantra degli ultras di Belgrado
Kosovo je Srbija. Il Kosovo è serbo. E’ il grido degli hooligan serbi durante le partite di calcio. Per loro la ferita della provincia ribelle, indipendente da due anni, non si rimarginerà mai. Martedì sera, a Genova, bruciavano l’odiata bandiera rossa con l’aquila nera degli albanesi. Gli ultras serbi sono giovani, spesso minorenni, studenti e disoccupati, che passano facilmente dalle curve alle manifestazioni di piazza. Acerrimi nemici negli stadi, si alleano per protestare contro il governo che vuole portarli in Europa. Gli ultranazionalisti all’opposizione cavalcano la tigre. Nel 2008, dopo la dichiarazione di indipendenza del Kosovo, attaccarono l’ambasciata americana a Belgrado. Grazie ad un cappellino di lana con la scritta Srbija chi scrive si mescolò fra i facinorosi. Molti portavano orgogliosi la bustina dei cetnici, i partigiani monarchici, che durante la seconda guerra mondiale combattevano contro i nazisti ed i comunisti di Tito.
Alla fine del balcone al primo piano dell’ambasciata presa d’assalto sventolava la bandiera nera con il teschio e le tibie incrociate. Lo stesso simbolo cetnico stampato sulla maglietta di Ivan il terribile, al secolo Ivan Bodganovic, 29 anni. Il disoccupato serbo che con il volto mascherato e le braccia coperte da tatuaggi, comprese delle croci ortodosse, ha scatenato l’inferno a Genova.
Gli ultras più famosi sono i Delje, i “coraggiosi” della Stella Rossa di Belgrado, assieme ai Grobari, i “becchini” del Partizan. Negli ultimi tempi è saltato fuori il nocciolo duro degli Ultra boys, che si sono distinti a Genova e la Forza unita della terza squadra di Belgrado. La Stella rossa è il club calcistico con il più alto numero di dirigenti arrestati per collusione con la mafia balcanica. Ai tempi di Tito era la squadra di riferimento dei poliziotti ed il Partizan lo era dell’esercito.
Zeliko Raznatovic, il famigerato Arkan, l’immortale, è diventato la leggenda nera degli ultrà serbi. Una delle scintille della sanguinosa disgregazione jugoslava scoppiò nel 1990 con la colossale zuffa alla partita fra la Dinamo di Zagabria, di Zvonomir Boban e la Stella Rossa. Arkan cominciò ad arruolare i tifosi più violenti trasformandoli nelle Tigri che in Croazia, Bosnia e Kosovo non facevano prigionieri. L’ “immortale” è stato eliminato da una sventagliata di mitra nel 2000, in un grande albergo di Belgrado.
Dopo la sua morte la tifoseria serba è stata manipolata dagli ultranazionalisti. In alcune squadre del campionato i manager sono vicini agli oppositori del partito Radicale di Tomislav Nikolic. Il suo predecessore era Vojislav Seselj, dietro le sbarre a L’Aja con l’accusa di crimini di guerra.
Fra gli ultrà non mancano i giovani estremisti del gruppo di estrema destra Obraz (Onore), che difende i criminali di guerra serbi, come l’ultimo super latitante, Ratko Mladic. Gli stessi che domenica scorsa, con la tacita benedizione dell’ala dura dei pope ortodossi, hanno preso d’assalto il Gay pride a Belgrado. Una foto diffusa dalle agenzie mostra un padre ortodosso che benedice le squadracce prima dei raid.
Non a caso gli slogan preferiti dagli hooligan attaccano il presidente serbo Boris Tadic. Un convinto europeista, che ha stretto un’alleanza di ferro con l’Italia. Roma punta a far entrare la Serbia nell’Unione europea nel 2014, un secolo dopo l’attentato di Sarajevo che segnò l’inizio della prima guerra mondiale. Gli ultranazionalisti, che guardano ancora a Mosca, mettono i bastoni fra le ruote. Il sottosegretario agli Esteri, Alfredo Mantica, in questi giorni a Belgrado, non ha dubbi: “Le violenze di Genova sono un atto premeditato per danneggiare l’ingresso della Serbia in Europa”.
Fausto Biloslavo



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13 ottobre 2010 | Porta a porta | reportage
Le tigri serbe non fanno prigionieri
“Kosovo je Srbija” (il Kosovo è serbo) gridano gli hooligan di Belgrado durante le partite di calcio. Per loro la ferita della provincia albanese indipendente rimarrà sempre aperta. Giovani, spesso minorenni, studenti o disoccupati, passano facilmente dalle curve degli stadi alle manifestazioni di piazza. Ed il tifo si trasforma in cieca violenza. Sfasciano i Mac Donald, simbolo americano e se la prendono con il governo di Belgrado che vuole entrare in Europa. Nel 2008, dopo la dichiarazione di indipendenza del Kosovo, attaccano l’ambasciata Usa a Belgrado. Dal balcone al primo piano fanno sventolare la bandiera nera con il teschio e le tibie incrociate. Un simbolo che si rifà ai cetnici, i partigiani anti nazisti e anticomunisti, durante la seconda guerra mondiale. Lo stesso simbolo sulla maglietta indossata dal capo degli ultrà serbi calati a Genova. I più famosi sono i Delje, i “coraggiosi” della Stella Rossa di Belgrado, assieme ai Grobari, i “becchini” del Partizan. Acerrimi rivali negli stadi, durante le manifestazioni di piazza si alleano per sfasciare tutto. La Stella rossa è il club calcistico con il più alto numero di dirigenti collusi con la mafia balcanica. La leggenda nera degli ultrà serbi è Zeliko Raznatovic. Il famigerato Arkan, l’immortale, ucciso nel 2000 a Belgrado a raffiche di mitra. Durante la guerra etnica che distrugge la Jugoslavia arruola i tifosi più violenti. Le Tigri, che non fanno prigionieri, come spiega lo stesso Arkan: “Li ammazziamo subito, con un colpo di pistola alla testa,”. Dopo la sua morte la tifoseria continua a venir pilotata. I manager di alcune squadre sono vicini agli oppositori ultranazionalisti di Tomislav Nikolic. Il successore di Vojislav Seselj, dietro le sbarre a L’Aja, con l’accusa di crimini di guerra. Fra gli ultrà non mancano gli estremisti di destra del gruppo Onore, che difende i criminali di guerra serbi, come l’ultimo super latitante, Ratko Mladic. Gli stessi che domenica scorsa si scatenano a Belgrado contro il Gay pride. Non è un caso che gli ultrà attaccano a colpi di slogan soprattutto il presidente serbo Boris Tadic. Europeista convinto, ha voltato pagina con le tragedie della pulizia etnica ed è grande amico del nostro paese. Dallo scorso anno Italia e Serbia sono alleati strategici nei Balcani e Roma spinge per l’ingresso di Belgrado nell’Unione europea. I nostalgici del passato fomentano i giovani tifosi per impedirlo.

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