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Intervista
15 ottobre 2010 - Esteri - Serbia - Il Giornale
"Schengen sempre più largo Controlli sempre più difficili"
Alfredo Mantica, sottosegre­tario agli Esteri, ha vissuto l’esplo­sione di violenza degli ultrà serbi a Genova da Belgrado, dove si trovava per sottolineare l’amici­zia dell’Italia.
Chi c’è dietro questi hooli­gans?
«Il vice primo ministro serbo ha spiegato che gli ultrà della Stel­la rossa e del Partizan ( le squadre più importanti della capitale, nda ) si rifanno storicamente al mito di Arkan (un defunto signo­re della guerra serbo, nda ). È un mondo che rifiuta la politica di in­tegrazi­one europea del presiden­te Boris Tadic, che vuole il rientro del Kosovo nella patria serba. Per questa gente la Grande Serbia ri­mane ancora un sogno. Secondo il governo gli scontri di domenica scorsa contro il Gay pride a Bel­grado e la violenza di Genova so­no collegati.
Fanno parte di un di­segno preciso, di matrice politi­ca, in vista del 25 ottobre, quando il Consiglio d'Europa dovrebbe decidere sulla candidatura della Serbia».
Qualcuno rema contro l’in­gresso della Serbia nell'Ue for­temente
appoggiato dall'Ita­lia?
«La road map che Belgrado de­ve­rispettare non prevede di evita­re incidenti alle partite. È ovvio, però, che l'immagine della Ser­bia ne esce abbastanza acciacca­ta. Nel paese e pure in parlamen­to c’è una minoranza radicale che mesta nel torbido. L'obietti­vo è fermare, attraverso esplosio­ni di violenza negli stadi e non so­lo, il progetto politico che porterà la Serbia in Europa».
Si è parlato di difetti di comu­nicazione fra polizie e servizi segreti. Cosa è accaduto?
«Forse si è verificata sia una mancata comunicazione, che una sottovalutazione. L'incontro fra Italia e Serbia è stato affronta­to come una normale partita, sen­za immaginare che poteva avere un preciso significato politico».
In passato le forze di polizia ed i servizi serbi erano infiltra­ti dagli ultranazionalisti....
«Qualche collusione c’era an­che negli anni settanta in Italia. Non ho elementi concreti, ma neppure posso escludere che nell'apparato dello stato in Ser­bia ci sia qualcuno contento che capitino questi incidenti».
Dallo scorso anno i serbi pos­sono entrare nei paesi della Comunità europea senza vi­sto. È un problema?
«Dal primo gennaio 2011 an­che la Bosnia-Erzegovina godrà della liberalizzazione dei visti. È chiaro che non aiuta i controlli».
Ma non è possibile sospende­re temporaneamente gli in­gressi nello spazio Schengen?
«Per la sospensione devi avere informazioni e motivazioni preci­se. Si poteva immaginare che i ti­fosi di Belgrado si fossero ubriaca­ti scatenando un tifo acceso, ma non che si sarebbero messi a bru­ciare la bandiera albanese».
Il famoso Ivan il terribile può diventare un esempio per gli ultrà italiani?
«Se questa domanda la fate al presidente della Lazio, Claudio Lotito, che ammiro per aver smantellato frange estreme nella sua tifoseria, potrebbe racconta­re dei tanti Ivan che ha incontra­to. Non penso, però, che in Italia ci siano gruppi con una carica po­­litica così forte e violenta. Anche se non occorre andare troppo lontano per trovare gli ultrà del Li­vorno, che al momento del minu­to di­silenzio per i caduti in Afgha­nistan si sono messi a fischiare».
www.faustobiloslavo.eu

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13 ottobre 2010 | Porta a porta | reportage
Le tigri serbe non fanno prigionieri
“Kosovo je Srbija” (il Kosovo è serbo) gridano gli hooligan di Belgrado durante le partite di calcio. Per loro la ferita della provincia albanese indipendente rimarrà sempre aperta. Giovani, spesso minorenni, studenti o disoccupati, passano facilmente dalle curve degli stadi alle manifestazioni di piazza. Ed il tifo si trasforma in cieca violenza. Sfasciano i Mac Donald, simbolo americano e se la prendono con il governo di Belgrado che vuole entrare in Europa. Nel 2008, dopo la dichiarazione di indipendenza del Kosovo, attaccano l’ambasciata Usa a Belgrado. Dal balcone al primo piano fanno sventolare la bandiera nera con il teschio e le tibie incrociate. Un simbolo che si rifà ai cetnici, i partigiani anti nazisti e anticomunisti, durante la seconda guerra mondiale. Lo stesso simbolo sulla maglietta indossata dal capo degli ultrà serbi calati a Genova. I più famosi sono i Delje, i “coraggiosi” della Stella Rossa di Belgrado, assieme ai Grobari, i “becchini” del Partizan. Acerrimi rivali negli stadi, durante le manifestazioni di piazza si alleano per sfasciare tutto. La Stella rossa è il club calcistico con il più alto numero di dirigenti collusi con la mafia balcanica. La leggenda nera degli ultrà serbi è Zeliko Raznatovic. Il famigerato Arkan, l’immortale, ucciso nel 2000 a Belgrado a raffiche di mitra. Durante la guerra etnica che distrugge la Jugoslavia arruola i tifosi più violenti. Le Tigri, che non fanno prigionieri, come spiega lo stesso Arkan: “Li ammazziamo subito, con un colpo di pistola alla testa,”. Dopo la sua morte la tifoseria continua a venir pilotata. I manager di alcune squadre sono vicini agli oppositori ultranazionalisti di Tomislav Nikolic. Il successore di Vojislav Seselj, dietro le sbarre a L’Aja, con l’accusa di crimini di guerra. Fra gli ultrà non mancano gli estremisti di destra del gruppo Onore, che difende i criminali di guerra serbi, come l’ultimo super latitante, Ratko Mladic. Gli stessi che domenica scorsa si scatenano a Belgrado contro il Gay pride. Non è un caso che gli ultrà attaccano a colpi di slogan soprattutto il presidente serbo Boris Tadic. Europeista convinto, ha voltato pagina con le tragedie della pulizia etnica ed è grande amico del nostro paese. Dallo scorso anno Italia e Serbia sono alleati strategici nei Balcani e Roma spinge per l’ingresso di Belgrado nell’Unione europea. I nostalgici del passato fomentano i giovani tifosi per impedirlo.

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