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25 novembre 2010 - Fatti - Serbia - Panorama
L'Europa val bene la testa di Mladic
Lunedì 15 novembre a Belgrado è arri- vato il procuratore capo del tribunale internazionale per i massacri nell’ex Iu- goslavia, Serge Brammertz. Vuole rac- cogliere informazioni sulla caccia agli ultimi latitanti e sancire il fatto che la Serbia non è più la pecora nera dei Balcani: dei 46 accu- sati di crimini di guerra richiesti dalla corte dell’Aia, Belgrado ne ha consegnati 43. Uno non è stato estradato perché si è suicidato al momento dell’arresto. Così all’appello man- cano due soli ricercati. Uno è Goran Hadzic, pesce piccolo ma non meno feroce degli al- tri, accusato di crimini di guerra in Croazia. L’altro è il generale Ratko Mladic, il «macel- laio» di Srebrenica, dove nell’estate del 1995 ordinò l’esecuzione di 8 mila bosniaci mu- sulmani. Sulla sua testa pende una taglia che lo scorso ottobre è stata portata da 1 a 10 mi- lioni di euro perché il presidente serbo Bo- ris Tadic, deciso a traghettare il paese nell’Ue, vuole scovarlo: «Il governo sta facendo tutto ciò che è in suo potere per localizzarlo. È mio dovere chiudere questo capitolo di storia. La sua cattura è solo questione di tempo».
Nella visita a Belgrado, Brammertz ha fatto il punto della situazione con l’Action team, un gruppo ristretto incaricato dal go- verno serbo di dare la caccia ai superlati- tanti presieduto da Vladimir Vukcevic, pro- curatore speciale per i crimini di guerra, del quale fanno parte anche i capi delle forze di sicurezza e dei servizi segreti. Fra i suc- cessi del gruppo, il fiore all’occhiello è sen- z’altro l’arresto (nel 2008) di Radovan Ka- radzic, ex capo politico dei serbi di Bosnia, che si nascondeva a Belgrado.
Nel gruppo d’azione il più deciso a farla finita con Mladic è Sasa Vukadinovic, che gui- da la Bia, l’intelligence civile. Classe 1972, si è fatto le ossa come poliziotto nella lotta al crimine organizzato. Uomo di fiducia di Ta- dic, ha sostituito Rade Bulatovic tre giorni prima dell’arresto di Karadzic. Si temeva che il suo predecessore, legato agli ambienti na- zionalisti dell’ex premier Vojislav Kostunica, facesse saltare l’operazione. «Nel 2006 ave- vamo una buona possibilità di trovare Mla- dic, ma venne commesso un errore: fare scat- tare la rete sulla cerchia ristretta che lo aiuta- va nella latitanza» ha spiegato a Panorama il procuratore Vukcevic. Ad arrestare i suoi fian- cheggiatori, mettendo così sull’avviso l’ex ge- nerale dei serbi di Bosnia, fu proprio Bulato- vic. «Oggi, però, nella caccia a Mladic l’Ac- tion team lavora a stretto contatto con una squadra dell’Fbi presente in Serbia» rivela una fonte occidentale a Belgrado.
Dell’A-team fanno parte anche i dirigen- ti della Voa, il servizio segreto militare. In passato hanno coperto la fuga di alcuni im- portanti latitanti, ma adesso sono sotto il controllo del ministro della Difesa, Dragan Sutanovac, «la voce più filo Nato dell’ese- cutivo» dicono nella capitale serba. E sotto- linea l’ambasciatore italiano Armando Var- ricchio: «Belgrado ha dimostrato di fare la propria parte nella caccia ai criminali di guerra». E certo una spinta in questa dire- zione è venuta dall’accordo di partnership strategica siglato con l’Italia nel 2009.
Dei 43 accusati di crimini di guerra, sono finiti dietro le sbarre del carcere di Scheve- ningen all’Aia due presidenti della repubbli- ca, un primo ministro, tre capi di stato mag- giore delle forze armate, un responsabile dei servizi segreti e diversi generali dell’esercito e della polizia. Nel 2001 venne estradato al- l’Aia Slobodan Milosevic, lo zar serbo respon- sabile delle sanguinose guerre degli anni No- vanta. Il suo ministro degli Esteri, Milan Mi- lutinovic, consegnatosi su pressione del go- verno di Belgrado, nel 2009 è stato rimanda- to a casa, perché «non aveva alcun controllo sull’esercito iugoslavo».
Il generale Nebojsa Pavkovic, detto il Na- poleone dei Balcani durante il conflitto in Kosovo, è stato invece condannato a 22 an- ni di carcere. Vojislav Seselj, il capo degli ul- tranazionalisti serbi all’opposizione in par- lamento, è ancora sotto processo all’Aia.
Ma non ci sono soltanto gli arresti, lo scor- so anno la Serbia ha soddisfatto quasi tutte le 1.825 richieste di assistenza giunte dal tri- bunale, dalla consegna di documenti riser- vati su Mladic alla protezione dei testimoni. La procura di Belgrado ha inoltre condotto indagini su 383 presunti criminali di guerra, compresi quelli che hanno fatto strage di ser- bi: 127 sono in attesa di processo, 23 hanno subito una condanna di primo grado e 12 una sentenza definitiva. Nell’aula 2 (dedica- ta a Giovanni Falcone) dell’edificio protetto della capitale serba dove si svolgono i pro- cessi ai criminali di guerra, tuttavia, non tut- ti i processi si sono conclusi con sentenze esemplari. Le più criticate hanno riguardato i fiancheggiatori di Mladic e gli Skorpion, un gruppo paramilitare che fece strage di prigio- nieri inermi a Srebrenica.
Il 25 ottobre, quando Bruxelles ha dato via libera al cammino per l’ingresso della Serbia nell’Unione Europea, è stata aggiunta anche una clausola non scritta: che Mladic venga catturato entro la fine del 2011. E così il cer- chio si sta stringendo attorno al generale di 68 anni (latitante da 15) che molti serbi an- cora oggi considerano un «patriota».
I suoi familiari puntano a ottenere una di- chiarazione di morte presunta per scongela- re i 50 mila dollari di pensione arretrata del- l’ex ufficiale e alcuni beni sequestrati. «Ma per dichiararne la morte dovremmo trovare il corpo e mostrarne le prove al mondo» ha detto a Panorama Dusan Ignjatovic, diretto- re dell’ufficio serbo per la cooperazione con il tribunale internazionale.
L’ultima segnalazione risale al 2008, quan- do Mladic si nascondeva in un palazzone anonimo di Novi Beograd, quartiere popo- lare della capitale, ma il 3 novembre a Belgra- do e dintorni è scattata una raffica di perqui- sizioni nelle proprietà di Goran Radivojevic, un discusso uomo d’affari. Il giorno dopo il presidente Tadic si è recato a Vukovar, la Sta- lingrado croata messa a ferro e fuoco dai ser- bi nel 1991, «per chiedere scusa, dimostran- do di condividere i valori europei». Un per- corso iniziato lo scorso luglio con la presen- za del capo dello stato serbo all’anniversario del massacro di Srebrenica e la condanna del- la strage. (www.faustobiloslavo.eu)
[continua]

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13 ottobre 2010 | Porta a porta | reportage
Le tigri serbe non fanno prigionieri
“Kosovo je Srbija” (il Kosovo è serbo) gridano gli hooligan di Belgrado durante le partite di calcio. Per loro la ferita della provincia albanese indipendente rimarrà sempre aperta. Giovani, spesso minorenni, studenti o disoccupati, passano facilmente dalle curve degli stadi alle manifestazioni di piazza. Ed il tifo si trasforma in cieca violenza. Sfasciano i Mac Donald, simbolo americano e se la prendono con il governo di Belgrado che vuole entrare in Europa. Nel 2008, dopo la dichiarazione di indipendenza del Kosovo, attaccano l’ambasciata Usa a Belgrado. Dal balcone al primo piano fanno sventolare la bandiera nera con il teschio e le tibie incrociate. Un simbolo che si rifà ai cetnici, i partigiani anti nazisti e anticomunisti, durante la seconda guerra mondiale. Lo stesso simbolo sulla maglietta indossata dal capo degli ultrà serbi calati a Genova. I più famosi sono i Delje, i “coraggiosi” della Stella Rossa di Belgrado, assieme ai Grobari, i “becchini” del Partizan. Acerrimi rivali negli stadi, durante le manifestazioni di piazza si alleano per sfasciare tutto. La Stella rossa è il club calcistico con il più alto numero di dirigenti collusi con la mafia balcanica. La leggenda nera degli ultrà serbi è Zeliko Raznatovic. Il famigerato Arkan, l’immortale, ucciso nel 2000 a Belgrado a raffiche di mitra. Durante la guerra etnica che distrugge la Jugoslavia arruola i tifosi più violenti. Le Tigri, che non fanno prigionieri, come spiega lo stesso Arkan: “Li ammazziamo subito, con un colpo di pistola alla testa,”. Dopo la sua morte la tifoseria continua a venir pilotata. I manager di alcune squadre sono vicini agli oppositori ultranazionalisti di Tomislav Nikolic. Il successore di Vojislav Seselj, dietro le sbarre a L’Aja, con l’accusa di crimini di guerra. Fra gli ultrà non mancano gli estremisti di destra del gruppo Onore, che difende i criminali di guerra serbi, come l’ultimo super latitante, Ratko Mladic. Gli stessi che domenica scorsa si scatenano a Belgrado contro il Gay pride. Non è un caso che gli ultrà attaccano a colpi di slogan soprattutto il presidente serbo Boris Tadic. Europeista convinto, ha voltato pagina con le tragedie della pulizia etnica ed è grande amico del nostro paese. Dallo scorso anno Italia e Serbia sono alleati strategici nei Balcani e Roma spinge per l’ingresso di Belgrado nell’Unione europea. I nostalgici del passato fomentano i giovani tifosi per impedirlo.

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