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03 gennaio 2011 - Esteri - Afghanistan - Il Giornale
Un solo colpo fatale: così è caduto l'alpino eroe
Sulla postazione nel mirino del cec­chino erano in due, come previsto nel te­atro afghano, quando il caporal maggio­re Matteo Miotto è stato colpito a morte. Oggi si terranno i funerali solenni del gio­vane alpino nella chiesa di Santa Maria degli Angeli a Roma, alla presenza del presidente del Consiglio Silvio Berlusco­ni. La prima salma del 2011, dopo le 34 che sono rientrate in patria avvolte nel tricolore dalla dura missione afghana.
Il «coppio» dell’alpino di Thiene, co­me viene chiamato in gergo il compagno di guardia, non dimenticherà mai la fine di Matteo. Tutti e due si saranno abbassa­ti quando hanno sentito i colpi singoli del tiratore scelto, per cercare riparo die­tro i sacchetti di sabbia. Il cecchino ave­va puntato Matteo centrandolo con un colpo solo,come ha confermato l’autop­sia, nel punto in cui non era protetto dal giubbotto antiproiettile. Qualcosa del ge­nere era accaduto al tenente Alessandro Romani, l’incursore ucciso il 18 settem­bre in combattimento. Un colpo secco, probabilmente di un altro cecchino tale­bano, che sparava da un tetto, era entra­to sempre nello spazio limitato non pro­tetto.
Il «coppio» di Matteo deve essere stato il primo a soccorrerlo, ma non c’è stato nulla da fare. Fonti del Giornale assicura­no che era incosciente e in poco tempo l’emorragia interna l’ha portato via.
La piccola base «Snow», dove è morto il caporal maggiore di 24 anni, è un avam­posto in posizione strategica, che domi­n­a un passo nella famigerata valle del Gu­listan,
tenuto da una quarantina di alpi­ni del settimo reggimento di Belluno. Miotto è stato ucciso verso le 15, e poi l’avamposto è tornato sotto attacco, co­me la base «Ice», pochi chilometri più in là, difesa sempre dagli italiani. I caccia bombardieri della Nato sono intervenu­ti, dopo la morte di Miotto, e secondo fon­ti militari «hanno lasciato diversi insorti sul terreno».
La minaccia talebana nel Gulistan, pe­rò, non demorde. Ieri una colonna nella zona di Bakwa ha scoperto due ordigni
esplosivi lungo il tragitto segnalati dai contadini afghani. Il problema è che l’of­fensiva americana nella vicina provincia di Helmand sta facendo ripiegare gli in­sorti verso la zona controllata dagli italia­ni. Per i talebani il Gulistan è sempre sta­to un rifugio sicuro dove leccarsi le ferite. Il feretro del caporal maggiore Miotto è arrivato ieri mattina all’aeroporto ro­mano di Ciampino a bordo di un C 130 dell’aeronautica militare. La madre di Matteo, distrutta dal dolore, è arrivata sulla pista dell’aeroporto sorretta dai mi­litari. Assieme ai familiari c’era anche Giulia, la fidanzata del giovane alpino. «Matteo non ce lo restituisce nessuno ­ha detto il padre del caduto- era orgoglio e speranza per me e mia moglie. Gli man­cavano due settimane e poi sarebbe tor­nato a casa: pensavamo che l’avesse sfan­gata ».
Il ministro della Difesa, Ignazio La Rus­sa, che ha accolto il feretro, ha dichiarato senza mezzi termini: «Sarebbe un insul­to non portare a termine quella missione con la stessa intensità e dedizione, con cui anche Matteo l’affrontava». Ieri il se­gretario nazionale del Prc-Federazione della Sinistra Paolo Ferrero e l’eurodepu­tato Idv Luigi De Magistris hanno chie­sto il ritiro dall’Afghanistan.
Paolo Arbarello, direttore dell’istituto di Medicina legale dell’università La Sa­pienza di Roma ha eseguito l’autopsia sul corpo del militare, confermando che la morte «è stata immediata e causata da un solo colpo» di arma da fuoco. «Per il militare non c’era nessuna possibilità di sopravvivere»ha spiegato il patologo,no­nostante l’equipaggiamento di protezio­ne. Oggi le esequie solenni saranno tra­smesse in diretta dalle 10.30 su Raiuno. «Matteo era un alpino di razza, uno sciatore e un rocciatore. Ha lasciato un grande vuoto, ma resterà sempre vivo nei nostri cuori» ha ricordato il tenente Andrea Trevison del settimo reggimen­to. La salma del caporal maggiore, dopo la cerimonia a Roma, arriverà a Thiene, in provincia di Vicenza, dove sarà sepol­to nel cimitero dei caduti di guerra, co­me Matteo aveva chiesto nel suo testa­mento.

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[continua]

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Kunduz sta cadendo "Inshalla"

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06 settembre 2021 | Quarta Repubblica Rete 4 | reportage
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07 giugno 2010 | Porta a Porta | reportage
Un servizio sulle guerre di pace degli italiani
Le “guerre” di pace degli italiani sono iniziate nel 1982, con la prima importante missione all’estero nel martoriato Libano, dopo il conflitto fra israeliani e palestinesi. Oggi sono quasi diecimila i soldati italiani impegnati nel mondo in venti paesi. Oltre alla baionette svolgiamo un apprezzato intervento umanitario a favore della popolazione. Dall’Africa, ai Balcani, al Medio Oriente, fino all’Afghanistan non sempre è una passeggiata per portare solo caramelle ai bambini. Nel 1991, durante la guerra del Golfo, un caccia bombardiere italiano è stato abbattuto dalla contraerea irachena. Il pilota Gianmarco Bellini ed il navigatore Maurizio Cocciolone sono rimasti per 45 giorni nelle cupe galere di Saddam Hussein. Quella in Somalia, è stata una missione sporca e dura, macchiata da casi isolati di torture e maltrattamenti. Al check point Pasta, a Mogadiscio, i paracadutisti della Folgore hanno combattuto la prima dura battaglia in terra d’Africa dopo la seconda guerra mondiale. Alla fine del conflitto etnico siamo intervenuti a pacificare la Bosnia. Per il Kosovo, nel 1999, l’aeronautica militare ha bombardato i serbi effettuando 3mila sortite. Una guerra aerea di cui non si poteva parlare per opportunità politiche. Dopo l’11 settembre i focolai di instabilità sono diventati sempre più insidiosi, dall’Iraq all’Afghanistan. Nel 2003, con la missione Antica Babilonia a Nassiryah, i nostri soldati sono rimasti coinvolti nelle battaglie dei ponti contro i miliziani sciiti. In sole 24 ore gli italiani hanno sparato centomila colpi. Siamo sbarcati di nuovo in Libano dopo il conflitto fra Israele ed Hezbollah, ma la nostra vera trincea è l’Afghanistan. Con i rinforzi previsti per l’estate arriveremo a 4mila uomini per garantire sicurezza nella parte occidentale del paese, grande come il Nord Italia, al confine con l’Iran. Herat, Bala Murghab, Farah, Bala Baluk, Bakwa, Shindad sono i nomi esotici e lontani dove fanti, alpini, paracadutisti combattono e muoiono in aspri scontri e imboscate con i talebani o attentati. Dal 1982, nelle nostre “guerre” di pace, sono caduti 103 soldati italiani.

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14 luglio 2011 | Nuova Spazio Radio | intervento
Afghanistan
Si può vincere questa guerra?
Dopo la morte in combattimento dell'ultimo parà della Folgore, fino a quanto dovremo restare in Afghanistan? Almeno fino a quando gli afghani riusciranno a garantirsi da soli la sicurezza, altrimenti caliamo le braghe e la diamo vinta ai talebani. Per sconfiggerli non basta la forza delle armi.

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