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Articolo
07 gennaio 2011 - Interni - Italia - Il Giornale |
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Assalto mondiale a Berlusconi: l'ombra di Soros dietro ad un sito |
Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, è finito nel mirino di un’aggressiva comunità globale, nata su internet, che sostiene vantare 6 milioni e mezzo di aderenti sparsi in 193 paesi. Si chiama «Avaaz», che in diverse lingue significa «voce». Pende a sinistra e ha una spiccata tendenza giustizialista, anche se punta a proporsi come la nuova «voce» democratica dei cittadini di un mondo globale. In confronto Beppe Grillo è un dilettante allo sbaraglio. Avaaz.org, che sarebbe stata finanziata dal miliardario George Soros, ha aperto un sito in Italia e raccoglie firme a raffica, on line, contro Berlusconi. L’ultima petizione ha un titolo da Sfida all’Ok Corral: «Corte costituzionale: difendi la nostra democrazia! ». Segue un appello accorato ai giudici costituzionali per bloccare il «legittimo impedimento », ovvero il rinvio dei processi contro il presidente del Consiglio fino a quando sarà in carica. L’obiettivo è registrare 20mila firme, entro la prossima settimana, e al momento ne sono arrivate 15.453. La costola italiana di Avaaz aveva raccolto 340mila firme, contro la cosiddetta legge bavaglio, poi finita in nulla, spacciandola come grande vittoria. Il solito guru della sinistra, Stefano Rodotà, riportato sul sito di Avaaz, aveva annunciato: «È stato aperto un canale fra la politica e i cittadini, una distanza che sembrava incolmabile per un attimo è stata colmata». Tutto virtualmente, con l’appoggio di Facebook e Twitter. Poi la tendenza antiberlusconiana è esplosa. L’Avaaz nostrana ha addirittura chiesto perentoriamente a Berlusconi «niente più bombe nucleari» raccogliendo 49.597 firme, secondo il sito. Nella speranza di dare una spallata al governo lo scorso dicembre, l’ultima frontiera dell’attivismo politico in rete, aveva lanciato una petizione dal titolo inequivocabile: «Nessuna fiducia a Berlusconi». Quando il governo ha incassato la fiducia erano già arrivate 55.173 firme (26mila nelle prime 24 ore). Non paghi gli agit prop in rete hanno invitato il popolo di internet a «inondare i parlamentari con i nostri messaggi », anche dopo la sconfitta. Avaaz.org è nata nel 2007 e ha sede a New York, anche se le prime battaglie virtuali le ha scatenate in Canada. Come Wikileaks lavora grazie a «volontari » sparsi per il mondo (Usa, Inghilterra, Svizzera, Brasile ed Argentina). Nelle elezioni del 2008 il ministro canadese, John Baird, ha bollato la comunità in rete come «un’ombrosa organizzazione straniera » collegata al miliardario George Soros. Un filantropo che negli ultimi anni ha investito milioni di dollari in varie cause a favore della democrazia spostandosi sempre più a sinistra. La «voce» in rete è sorta grazie a MoveOn.org, un’associazione americana finanziata da Soros. Sul sito di Avaaz si ribadisce che i soldi arrivano dalle singole donazioni dei membri, che sono milioni. La «voce» della rete si è battuta per cause ambientaliste globali, come il surriscaldamento del pianeta. In Canada si è registrata come movimento politico e ha contribuito a non far rieleggere alcuni parlamentari conservatori. Alcune campagne tuttavia non erano solo sinistrorse, come quella per la libertà del Tibet, la democrazia in Birmania e la battaglia a favore di Sakineh, la donna condannata alla lapidazione in Iran. Dallo scorso anno sembra che Avaaz stia svoltando lungo un percorso meno bipartisan. Nel marzo 2010 ha lanciato la campagna giustizialista a favore del magistrato spagnolo Baltasar Garzon, raccogliendo 135.795 firme. In giugno la comunità virtuale si è scatenata contro gli israeliani per la sanguinosa vicenda della flottiglia filopalestinese diretta a Gaza. Ogni 24 ore raccoglieva 200mila firme online. L’8 dicembre ha lanciato una «gigantesca» petizione in appoggio a Wikileaks e le sue rivelazioni, con il dichiarato intento di impedirne il blocco. I virtuali agitatori globali non si fermano alla raccolta di firme e scendono in campo con valanghe di messaggi alle autorità, campagne stampa o rivelazioni per raggiungere l’obiettivo via internet. L’ultima battaglia è contro la nascita in Canada di una televisione di destra. A quando una campagna contro le tv italiane influenzate da Berlusconi? www.faustobiloslavo.eu |
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07 aprile 2020 | Tg5 | reportage
Parla il sopravvissuto al virus
Fausto Biloslavo
TRIESTE - Il sopravvissuto sta sbucciando un’arancia seduto sul letto di ospedale, come se non fosse rispuntato da poco dall’anticamera dell’inferno. Maglietta grigia, speranza dipinta negli occhi, Giovanni Ziliani è stato dimesso mercoledì, per tornare a casa. Quarantadue anni, atleta e istruttore di arti marziali ai bambini, il 10 marzo ha iniziato a stare male nella sua città, Cremona. Cinque giorni dopo è finito in terapia intensiva. Dalla Lombardia l’hanno trasferito a Trieste, dove un tubo in gola gli pompava aria nei polmoni devastati dall’infezione. Dopo 17 giorni di calvario è tornato a vivere, non più contagioso.
Cosa ricorda di questa discesa all’inferno?
“Non volevo dormire perchè avevo paura di smettere di respirare. Ricordo il tubo in gola, come dovevo convivere con il dolore, gli sforzi di vomito ogni volta che cercavo di deglutire. E gli occhi arrossati che bruciavano. Quando mi sono svegliato, ancora intubato, ero spaventato, disorientato. La sensazione è di impotenza sul proprio corpo. Ti rendi conto che dipendi da fili, tubi, macchine. E che la cosa più naturale del mondo, respirare, non lo è più”.
Dove ha trovato la forza?
“Mi sono aggrappato alla famiglia, ai valori veri. Al ricordo di mia moglie, in cinta da otto mesi e di nostra figlia di 7 anni. Ti aggrappi a quello che conta nella vita. E poi c’erano gli angeli in tuta bianca che mi hanno fatto rinascere”.
Gli operatori sanitari dell’ospedale?
“Sì, medici ed infermieri che ti aiutano e confortano in ogni modo. Volevo comunicare, ma non ci riuscivo perchè avevo un tubo in gola. Hanno provato a farmi scrivere, ma ero talmente debole che non ero in grado. Allora mi hanno portato un foglio plastificato con l’alfabeto e digitavo le lettere per comporre le parole”.
Il momento che non dimenticherà mai?
“Quando mi hanno estubato. E’ stata una festa. E quando ero in grado di parlare la prima cosa che hanno fatto è una chiamata in viva voce con mia moglie. Dopo tanti giorni fra la vita e la morte è stato un momento bellissimo”.
Come ha recuperato le forze?
“Sono stato svezzato come si fa con i vitellini. Dopo tanto tempo con il sondino per l’alimentazione mi hanno somministrato in bocca del tè caldo con una piccola siringa. Non ero solo un paziente che dovevano curare. Mi sono sentito accudito”.
Come è stato infettato?
“Abbiamo preso il virus da papà, che purtroppo non ce l’ha fatta. Mio fratello è intubato a Varese non ancora fuori pericolo”.
E la sua famiglia?
“Moglie e figlia di 7 anni per fortuna sono negative. La mia signora è in attesa di Gabriele che nascerà fra un mese. Ed io sono rinato a Trieste”.
Ha pensato di non farcela?
“Ero stanco di stare male con la febbre sempre a 39,6. Speravo di addormentarmi in terapia intensiva e di risvegliarmi guarito. Non è andata proprio in questo modo, ma è finita così: una vittoria per tutti”.
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18 ottobre 2010 | La vita in diretta - Raiuno | reportage
L'Islam nelle carceri
Sono circa 10mila i detenuti musulmani nelle carceri italiane. Soprattutto marocchini, tunisini algerini, ma non manca qualche afghano o iracheno. Nella stragrande maggioranza delinquenti comuni che si aggrappano alla fede per sopravvivere dietro le sbarre.
Ma il pericolo del radicalismo islamico è sempre in agguato.
Circa 80 detenuti musulmani con reati di terrorismo sono stati concentrati in quattro carceri: Macomer, Asti, Benevento e Rossano.
Queste immagini esclusive mostrano la preghiera verso la Mecca nella sezione di Alta sicurezza 2 del carcere sardo di Macomer. Dove sono isolati personaggi come il convertito francese Raphael Gendron arrestato a Bari nel 2008 e Adel Ben Mabrouk uno dei tre tunisini catturati in Afghanistan, internati a Guantanamo e mandati in Italia dalla Casa Bianca.
“Ci insultano per provocare lo scontro dandoci dei fascisti, razzisti, servi degli americani. Una volta hanno esultato urlando Allah o Akbar, quando dei soldati italiani sono morti in un attentato in Afghanistan” denunciano gli agenti della polizia penitenziaria.
Nel carcere penale di Padova sono un centinaio i detenuti comuni musulmani che seguono le regole islamiche guidati dall’Imam fai da te Enhaji Abderrahman
Fra i detenuti comuni non mancano storie drammatiche di guerra come quella di un giovane iracheno raccontata dall’educatrice del carcere Cinzia Sattin, che ha l’incubo di saltare in aria come la sua famiglia a causa di un attacco suicida.
L’amministrazione penitenziaria mette a disposizione degli spazi per la preghiera e fornisce il vitto halal, secondo le regole musulmane.
La fede nell’Islam serve a sopportare la detenzione. Molti condannano il terrorismo, ma c’è anche dell’altro....
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16 febbraio 2007 | Otto e Mezzo | reportage
Foibe, conflitto sulla storia
Foibe, conflitto sulla storia
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03 gennaio 2011 | Radio Capodistria - Storie di bipedi | intervento |
Italia
Gli occhi della guerra
Le orbite rossastre di un bambino soldato, lo sguardo terrorizzato di un prigioniero che attende il plotone di esecuzione, l’ultimo rigagnolo di vita nelle pupille di un ferito sono gli occhi della guerra incrociati in tanti reportage di prima linea.
Dopo l’esposizione in una dozzina di città la mostra fotografica “Gli occhi della guerra” è stata inaugurata a Trieste. Una collezione di immagini forti scattate in 25 anni di reportage da Fausto Biloslavo, Gian Micalessin e Almerigo Grilz, ucciso il 19 maggio 1987 in Mozambico, mentre filmava uno scontro a fuoco. La mostra, che rimarrà aperta al pubblico fino al 20 gennaio, è organizzata dall’associazione Hobbit e finanziata dalla regione Friuli-Venezia Giulia. L’esposizione è dedicata a Grilz e a tutti i giornalisti caduti in prima linea. Il prossimo marzo verrà ospitata a Bruxelles presso il parlamento europeo.Della storia dell'Albatross press agency,della mostra e del libro fotografico Gli occhi della guerra ne parlo a Radio Capodistria con Andro Merkù.
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