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06 febbraio 2011 - Cronache - Italia - Il Giornale
Le onerificenze del Quirinale a tiranni e genocidi
Il maresciallo Tito, perse­cutore degli italiani dell' Istria, di Fiume e della Dalma­zia alla fine della seconda guerra mondiale con le foibe e l'esodo, oltre ad un'accolita di suoi fedelissimi, sono anco­ra oggi insigniti delle più alte onorificenze del nostro pae­se. Gli esuli istriani lo hanno scoperto e sono scesi sul pie­de di guerra in vista del 10 feb­braio, la Giornata del ricordo del dramma patito. Josep Broz Tito è stato decorato nel 1969, dall'allora presidente Giuseppe Saragat, come «Ca­valiere di Gran Croce Ordine al Merito della Repubblica Ita­liana » con l'aggiunta del Gran cordone, il più alto riconosci­mento previsto. Nessuno ha mai pensato di levargli questa onorificenza per «indegnità», come è previ­sto dalla legge. Non solo: spul­ciando nel sito del Quirinale, Il Giornale ha scoperto che go­dono tutt'oggi, delle più alte decorazioni, dittatori scom­parsi, come la coppia Ceause­scu o Mobutu, comandanti ti­tini accusati di crimini di guer­ra e personaggi discutibili del calibro di Yasser Arafat.
«È disgustoso che lo Stato ri­conosca il dramma delle foi­be ed allo stesso tempo anno­veri tra i suoi più illustri insi­gniti proprio chi ordinò i mas­sacri
e la pulizia etnica degli italiani d'Istria» ha dichiarato Massimiliano Lacota, presi­dente dell'Unione degli istria­ni, una delle associazioni dell' esodo. Il 10 febbraio, Giorna­ta del Ricordo, il presidente Giorgio Napolitano, accoglie­rà al Quirinale gli esuli, i loro rappresentanti ed i familiari degli infoibati. L'Unione degli istriani ha inviato venerdì mattina un telegramma al ca­po dello Stato per chiedere «l' annullamento immediato del titolo di cavaliere di gran cro­ce decorato di gran cordone dell'Ordine al Merito della Re­pubblica Italiana (...) conferi­to il 2 ottobre 1969 al mare­sciallo jugoslavo Tito, allora presidente della Repubblica Socialista Federativa di Jugo­slavia, diretto responsabile e mandante della feroce puli­zia etnica attuata nei confron­ti dei nostri connazionali dal 1943».
In caso contrario «l'Unione degli istriani non parteciperà alla cerimonia al Quirinale» annuncia Lacota. «A Callisto Tanzi, per il crac Parmalat, hanno levato le onorificenze in 20 giorni per 'indegnità' ­fa notare il presidente dell'as­sociazione
- Era peggio di Ti­to? ». La stessa legge che con­cede le alte decorazioni preve­de la revoca. Da notare che l'onorificenza a gente come Tito viene concessa anche «per fini filantropici e umani­tari ».
Oltre a Tito, nel 1969, sono stati insigniti di decorazioni
varie una trentina di persona­lità jugoslave. Sul sito del Qui­rinale è ancora oggi certifica­to che l'Italia considera Mitja Ribicic, Cavaliere di Gran Cro­ce, anche se nel 1945 era un alto ufficiale della polizia se­greta di Tito, particolarmente attiva contro gli italiani. Non solo: a Lubiana, nel 2005, ven­ne aperta un'inchiesta a suo carico per crimini di guerra. A distanza di 60 anni è stato im­possibile trovare le prove.
Un altro decorato dall'Italia è l'ex ammiraglio jugoslavo Franjo Rustja. Peccato che nei terribili 40 giorni dell'occu­pazione di Trieste, nel maggio­giugno 1945, era primo assi­stente
al comando del IX Cor­pus. L'unità di Tito che depor­tò e fece sparire per sempre molti italiani.
L'aspetto più imbarazzante è che il Quirinale, nel corso de­gli anni, ha consegnato le alte onorificenze a diversi perso­naggi stranieri, che poi sono stati condannati dal loro po­polo
e dalla storia. E nessuno ha mai pensato di revocarle. Il presidente Giovanni Leone ha nominato il 21 maggio 1973 Cavaliere di Gran Croce, Elena Ceausescu. Al marito Nicolae è stato concesso an­che il Gran cordone. Nel 1989 la coppia Ceausescu venne fu­cilata dopo aver dominato la Romania con il pugno di fer­ro.
Leone ha pensato bene di decorare pure il padre-padro­ne dello Zaire, Mobutu Sese Seko, che scappò con la cassa lasciando il suo paese in rovi­na.
Un'altra onorificenza con Gran cordone, almeno discu­tibile, è stata concessa dal pre­sidente Oscar Luigi Scalfaro, nel 1999, a Yasser Arafat. Il lea­der palestinese, che tutta la vi­ta ha usato a suo piacimento il kalashnikov.
La decorazione più impor­tante del nostro paese è stata curiosamente concessa an­che a Juan Domingo Peron, il conducator argentino e all'im­peratore giapponese Hirohi­to. Il presidente Napolitano, l'11 marzo 2010, ha decorato con il Gran cordone Bashar Al Assad, il giovane presidente della dinastia siriana. Speria­mo che gli porti bene, con que­sti venti di rivolta in Medio oriente che rischiano di soffia­re
pure a Damasco.
www.faustobiloslavo.eu
[continua]

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05 ottobre 2010 | La vita in diretta - Raiuno | reportage
Islam, matrimoni forzati e padri assassini
Nosheen, la ragazza pachi­stana, in coma dopo le spranga­te del fratello, non voleva spo­sarsi con un cugino in Pakistan. Il matrimonio forzato era stato imposto dal padre, che ha ucci­so a colpi di mattone la madre della giovane di 20 anni schiera­ta a fianco della figlia. Se Noshe­e­n avesse chinato la testa il mari­to, scelto nella cerchia familia­re, avrebbe ottenuto il via libera per emigrare legalmente in Ita­lia. La piaga dei matrimoni com­binati nasconde anche questo. E altro: tranelli per rimandare nella patria d’origine le adole­scenti dove le nozze sono già pronte a loro insaputa; e il busi­ness della dote con spose che vengono quantificate in oro o migliaia di euro. Non capita solo nelle comuni­tà musulmane come quelle pa­chistana, marocchina o egizia­na, ma pure per gli indiani e i rom, che sono un mondo a par­te.

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06 giugno 2017 | Sky TG 24 | reportage
Terrorismo da Bologna a Londra
Fausto Biloslavo "Vado a fare il terrorista” è l’incredibile affermazione di Youssef Zaghba, il terzo killer jihadista del ponte di Londra, quando era stato fermato il 15 marzo dello scorso anno all’aeroporto Marconi di Bologna. Il ragazzo nato nel 1995 a Fez, in Marocco, ma con il passaporto italiano grazie alla madre Khadija (Valeria) Collina, aveva in tasca un biglietto di sola andata per Istanbul e uno zainetto come bagaglio. Il futuro terrorista voleva raggiungere la Siria per arruolarsi nello Stato islamico. Gli agenti di polizia in servizio allo scalo Marconi lo hanno fermato proprio perché destava sospetti. Nonostante sul cellulare avesse materiale islamico di stampo integralista è stato lasciato andare ed il tribunale del riesame gli ha restituito il telefonino ed il computer sequestrato in casa, prima di un esame approfondito dei contenuti. Le autorità inglesi hanno rivelato ieri il nome del terzo uomo sostenendo che non “era di interesse” né da parte di Scotland Yard, né per l’MI5, il servizio segreto interno. Il procuratore di Bologna, Giuseppe Amato, ha dichiarato a Radio 24, che "venne segnalato a Londra come possibile sospetto”. E sarebbero state informate anche le autorità marocchine, ma una fonte del Giornale, che ha accesso alle banche dati rivela “che non era inserito nella lista dei sospetti foreign fighter, unica per tutta Europa”. Non solo: Il Giornale è a conoscenza che Zaghba, ancora minorenne, era stato fermato nel 2013 da solo, a Bologna per un controllo delle forze dell’ordine senza esiti particolari. Il procuratore capo ha confermato che l’italo marocchino "in un anno e mezzo, è venuto 10 giorni in Italia ed è stato sempre seguito dalla Digos di Bologna. Abbiamo fatto tutto quello che si poteva fare, ma non c'erano gli elementi di prova che lui fosse un terrorista. Era un soggetto sospettato per alcune modalità di comportamento". Presentarsi come aspirante terrorista all’imbarco a Bologna per Istanbul non è poco, soprattutto se, come aveva rivelato la madre alla Digos “mi aveva detto che voleva andare a Roma”. Il 15 marzo dello scorso anno il procuratore aggiunto di Bologna, Valter Giovannini, che allora dirigeva il pool anti terrorismo si è occupato del caso disponendo un fermo per identificazione al fine di accertare l’identità del giovane. La Digos ha contattato la madre, che è venuta a prenderlo allo scalo ammettendo: "Non lo riconosco più, mi spaventa. Traffica tutto il giorno davanti al computer per vedere cose strane” ovvero filmati jihadisti. La procura ha ordinato la perquisizione in casa e sequestrato oltre al cellulare, alcune sim ed il pc. La madre si era convertita all’Islam quando ha sposato Mohammed il padre marocchino del terrorista che risiede a Casablanca. Prima del divorzio hanno vissuto a lungo in Marocco. Poi la donna è tornata casa nella frazione di Fagnano di Castello di Serravalle, in provincia di Bologna. Il figlio jihadista aveva trovato lavoro a Londra, ma nella capitale inglese era entrato in contatto con la cellula di radicali islamici, che faceva riferimento all’imam, oggi in carcere, Anjem Choudary. Il timore è che il giovane italo-marocchino possa essere stato convinto a partire per la Siria da Sajeel Shahid, luogotenente di Choudary, nella lista nera dell’ Fbi e sospettato di aver addestrato in Pakistan i terroristi dell’attacco alla metro di Londra del 2005. "Prima di conoscere quelle persone non si era mai comportato in maniera così strana” aveva detto la madre alla Digos. Il paradosso è che nessuna legge permetteva di trattenere a Bologna il sospetto foreign fighter ed il tribunale del riesame ha accolto l’istanza del suo avvocato di restituirgli il materiale elettronico sequestrato. “Nove su dieci, in questi casi, la richiesta non viene respinte” spiega una fonte del Giornale, che conosce bene la vicenda. Non esiste copia del materiale trovato, che secondo alcune fonti erano veri e propri proclami delle bandiere nere. E non è stato possibile fare un esame più approfondito per individuare i contatti del giovane. Il risultato è che l’italo-marocchino ha potuto partecipare alla mattanza del ponte di Londra. Parenti e vicini cadono dalle nuvole. La zia acquisita della madre, Franca Lambertini, non ha dubbi: “Era un bravo ragazzo, l'ultima volta che l'ho visto mi ha detto “ciao zia”. Non avrei mai pensato a una cosa del genere".

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03 febbraio 2012 | UnoMattina | reportage
Il naufragio di nave Concordia e l'allarme del tracciato satellitare


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03 gennaio 2011 | Radio Capodistria - Storie di bipedi | intervento
Italia
Gli occhi della guerra
Le orbite rossastre di un bambino soldato, lo sguardo terrorizzato di un prigioniero che attende il plotone di esecuzione, l’ultimo rigagnolo di vita nelle pupille di un ferito sono gli occhi della guerra incrociati in tanti reportage di prima linea. Dopo l’esposizione in una dozzina di città la mostra fotografica “Gli occhi della guerra” è stata inaugurata a Trieste. Una collezione di immagini forti scattate in 25 anni di reportage da Fausto Biloslavo, Gian Micalessin e Almerigo Grilz, ucciso il 19 maggio 1987 in Mozambico, mentre filmava uno scontro a fuoco. La mostra, che rimarrà aperta al pubblico fino al 20 gennaio, è organizzata dall’associazione Hobbit e finanziata dalla regione Friuli-Venezia Giulia. L’esposizione è dedicata a Grilz e a tutti i giornalisti caduti in prima linea. Il prossimo marzo verrà ospitata a Bruxelles presso il parlamento europeo.Della storia dell'Albatross press agency,della mostra e del libro fotografico Gli occhi della guerra ne parlo a Radio Capodistria con Andro Merkù.

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