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Articolo
17 febbraio 2011 - Esteri - Libia - Il Giornale
Ecco perché Gheddafi non deve cadere
Adesso tocca alla Libia, ma il colonnello Gheddafi è ben più saldo al potere rispet­to all’ex presidente tunisino Ben Alì e l’ultimo faraone, Ho­sni Mubarak, disarcionato in Egitto. A Bengasi, fra martedì e mercoledì sono scoppiati vio­lenti scontri.
Almeno 14 perso­ne, in gran parte delle forze del­l’ordine, sarebbero rimaste fe­rite. Notizie non confermate parlano di uno o due morti. E oggi l’opposizione clandesti­na al regime ha lanciato la pri­ma giornata della collera. Gheddafi sta giocando d’anti­cipo e pure i suoi Comitati rivo­luzionari scenderanno in piaz­za a Tripoli, come hanno già fatto ieri in diverse città del pa­ese inneggiando al colonnel­lo. La situazione, però, rimane incandescente con il figlio più noto di Gheddafi, Seif el Islam, che da tempo critica il padre e chiede maggiori aperture de­mocratiche.
L’allarme ci riguarda da vici­no. Se crollasse il regime, co­me in Tunisia ed Egitto, la Li­bia potrebbe ridiventare il principale punto di partenza dei clandestini di mezza Africa verso l’Italia e l’Europa.
Bengasi è la seconda città li­bica, nel nord est del paese, sto­rica roccaforte anti Gheddafi,
fin dal colpo di stato del 1969 che lo portò al potere. Sembra che la scintilla delle manifesta­zi­oni di protesta sia stato l’arre­sto di Fathi Tarbal, attivista dei diritti umani che da sempre si batte per rendere giustizia ai 1.200 prigionieri del carcere di Abu Salim a Tripoli massacrati nel 1996. Molti parenti delle vittime vivono a Bengasi e so­no scesi in piazza per protesta. Il vento di rivolta che soffia dal­la vicina Tunisia e dall’Egitto ha fatto il resto. L’attivista dei diritti umani sarebbe stato rila­sciato, ma la folla è rimasta in piazza e sono scoppiati gli inci­denti. Delle immagini girate con un telefonino fanno vede­re i manifestanti che urlano contro il regime. Poi si sente una fitta sparatoria. E subito dopo un giovane insanguina­to e privo di sensi viene porta­to via a braccia.
Gran parte delle notizie su­gli incidenti sono state pubbli­cate da Qurina, il giornale vici­no a Seif Al Islam, il figlio mi­gliore di Gheddafi. Lo scorso anno, incontrando una giorna­­lista di Time , ha ribadito il biso­gno
urgente di riforme dopo 41 anni di potere del padre. «Il mondo intero sta attraversa­n­do una fase di maggiore libertà e democrazia - ha dichiarato Seif Al Islam- . Noi vogliamo ve­d­ere questi cambiamenti ades­so, invece che tra 10 o 15 anni». Non è un caso che proprio il rampollo ribelle abbia cataliz­zato attorno a sé, gli ex del Gruppo islamico combattente libico, costola di Al Qaida, che hanno deciso di abbandonare la lotta armata. Uno di questi è il loro leader, Noman Benot­man, che combattè in Afghani­stan. Proprio ieri dovevano ve­nir liberati gli ultimi 110 com­battenti islamici dal carcere di Tripoli nel quadro dell’accor­do di pacificazione ideato da Seif Al Islam. E guarda caso molti degli ex guerriglieri sono originari di Bengasi e dintorni. Dal 5 febbraio circola su in­ternet l’appello per la «giorna­ta della collera» convocata og­gi per «mettere da parte Ghed­dafi, tutti i membri della sua fa­miglia e avviare le riforme». Tra i firmatari dell’appello ci sono gruppi d’opposizione ri­fugiati all’estero o clandestini come il partito Repubblicano per la democrazia e la giustizia sociale, il Fronte nazionale per la salvezza della Libia ed il Movimento islamico.
La destabilizzazione della Li­bia rischia di riaprire il flusso di clandestini vero l’Italia. Lo stesso Gheddafi, pochi mesi fa, aveva chiesto 5 miliardi di euro all’Ue, per «fermare» i clandestini altrimenti «un al­tro continente si riverserà in Europa». Da Bruxelles, l’euro­parlamentare del Pdl, Marco Scurria, teme che «le sommos­se popolari di questi giorni in
Tunisia, Egitto e da ieri anche in Libia» possano riversare «al­tre decine di migliaia di profu­ghi sulle coste siciliane».
Lunedì scorso si è riunito al Viminale il Comitato naziona­le per l’ordine e la sicurezza pubblica. Nessuno avrebbe in­colpato il governo libico di tra­mare per favorire i nuovi arrivi dei clandestini, come ha scrit­to ieri
Repubblica . I nostri ser­vizi segreti, invece, temono «un esodo (verso l’Italia nda) di proporzioni difficilmente sostenibili», se il regime libico venisse travolto come quello in Tunisia ed Egitto.
www.faustobiloslavo.eu
[continua]

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19 marzo 2011 | TG5 | reportage
Diario dalla Libia in fiamme
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07 aprile 2011 | TG5 | reportage
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21 marzo 2011 | TG5 | reportage
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29 aprile 2011 | Spazio Radio | intervento
Libia
Piegare Gheddafi e preparare l'intervento terrestre
Gli americani spingono con insistenza per un maggiore coinvolgimento dell’Italia nel conflitto in Libia, non solo per passare il cerino politico agli europei. L’obiettivo finale è piegare il colonnello Gheddafi e far sbarcare una forza di interposizione in Libia, con ampia partecipazione italiana. Un modello stile ex Yugoslavia, dove il contingente occidentale è arrivato dopo l’offensiva aerea.

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09 marzo 2011 | Panorama | intervento
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02 marzo 2011 | Panorama | intervento
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Una nube nera su tutta Tripoli

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06 marzo 2011 | Panorama | intervento
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26 aprile 2011 | Radio 101 | intervento
Libia
Con Luxuria bomba e non bomba
Il governo italiano, dopo una telefonata fra il presidente americano Barack Obama ed il premier Silvio Berlusconi, annuncia che cominciamo a colpire nuovi obiettivi di Gheddafi. I giornali titolano: "Bombardiamo la Libia". E prima cosa facevamo? Scherzavamo con 160 missioni aeree dal 17 marzo?

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