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22 febbraio 2011 - Esteri - Libia - Il Giornale
Secessione ed emirato islamico Ecco l'incubo dei nostri 007
Il regime libico, che sta perdendo pezzi fra ambasciatori e ministri, si ar­rocca attorno agli uomini chiave della sicurezza, ben conosciuti dall’Italia. Il nostro governo fa il possibile per evita­re il peggio e si prepara ai contraccolpi della rivolta in Libia. A cominciare da un flusso migratorio dal Nord Africa «ben più grave rispetto alla crisi in Tuni­sia », secondo fonti del Viminale.
Nel dietro le quinte di queste ore i no­stri servizi segreti segnalano che i fede­lissimi di Muammar Gheddafi fanno quadrato, anche se la sorte del leader al potere da 42 anni è incerta. In televisio­ne hanno mandato il volto umano del clan: Seif al Islam, il figlio moderato del colonnello. Da una parte ha offerto ai rivoltosiil ramoscello d’ulivo del nego­ziato per varare la Costituzione e la cre­azione di una commissione d’inchie­sta sulle violenze. Dall’altra ribadisce che«combatteremo fino all’ultimo uo­mo, all’ultimo proiettile».
All’uso della forza ci pensa il ministro dell'Interno, generale Younis al Obei­di, nonostante la sua polizia abbia com­binato sanguinosi errori nell'affronta­re la protesta. In prima linea è schiera­to anche Abuzed Omar Dorda, nomina­to nel 2009 a capo del servizio segreto esterno. Ex primo ministro fa parte del­la vecchia guardia e ha sostituito Mous­sa Koussa, spregiudicato uomo forte dell’intelligence libica, oggi ministro degli Esteri. Il responsabile della diplo­mazia libica deve tener buona la comu­nità
internazionale, mentre in Libia scorre il sangue. Il vero regista della cu­pola di crisi è l'inossidabile Abdallah Senussi, ex capo dell'intelligence mili­tare e cognato di Gheddafi. In pratica ha un ruolo di «primus inter pares» nel settore sicurezza.
Una fonte di intelligence conferma a Il Giornale: «Stanno facendo quadrato
e prevediamo che scorrerà del sangue in maniera significativa». Non è chiaro, però, se il colonnello faccia parte dell' ultima trincea. Dall'inizio delle prote­ste non si è più visto. Ieri mattina veni­vano segnalate sparatorie attorno alla caserma Bab al Aziziyah, residenza e centro comando di Gheddafi a Tripoli. Per tutta la giornata si sono susseguite voci su una sua fuga all'estero poi smen­tita.
Sul fronte diplomatico il nostro Pae­se lavora dietro le quinte per «la cessa­zione delle violenze da tutte e due le parti. Non si tratta di manifestanti paci­fici contro poliziotti brutali. Azioni san­guinose si registrano da un lato e dall'al­tro della barricata». La Farnesina ap­poggia la linea di Seif al Islam indirizza­ta
ad un processo negoziale politico e al varo della Costituzione. Secondo fon­t­i diplomatiche la maggiore preoccupa­zione «è l'integrità territoriale della Li­bia. Siamo di fronte ad un movimento secessionista in Cirenaica con forti con­notati islamici. Non è accettabile tra­sformare la Libia in uno spezzatino». Fra i rivoltosi non ci sono solo i Fratelli musulmani, ma pure estremisti islami­ci, talvolta infiltrati dai paesi vicini, che si rifanno all'ideologia di Al Qaida. «Si stanno affermando ipotesi di emirati islamici nella Libia orientale a poche decine di chilometri da noi. Sarebbe un fattore di grande pericolosità», ha di­chiarato ieri il ministro degli Esteri Franco Frattini riferendosi alla Cirenai­ca in rivolta. Il responsabile della Farne­sina ha partecipato ieri alla riunione dei Ventisette a Bruxelles sulla crisi libi­ca. Non sono mancati attriti con i finlan­desi, che oltre la condanna delle violen­ze chiedevano dure sanzioni contro Gheddafi, senza conoscere bene il pro­blema.
Oggi Frattini vola al Cairo e poi rien­tra a Roma per partecipare ad un verti­ce a Palazzo Chigi sui rischi di una nuo­va ondata migratoria verso l’Italia. Ol­tre al premier Silvio Berlusconi ci saran­no i ministri dell'Interno, della Difesa e dello Sviluppo economico. «Ci prepa­riamo al peggio. Da soli non saremo in grado di affrontare l'emergenza se crol­lasse la Libia. Si teme un’ondata ben più importante rispetto alla Tunisia», spiega una fonte del Viminale. Il mini­stro Roberto Maroni è sempre più deci­so a chiedere un ulteriore coinvolgi­mento dell’Europa. In Libia la Guardia di Finanza addestrava la guardia costie­ra, che utilizza nostre motovedette per fermare i barconi dei clandestini. I 15 finanzieri hanno lasciato la caserma del nord di Suwarah alla volta dell’am­basciata di Tripoli. Probabilmente ver­ranno rimpatriati. Secondo una fonte d'intelligence «nel caso in cui le autori­tà libiche si sciogliessero si spalanche­ranno le porte per chi preme dal sud del Sahara. Un possibile flusso migrato­rio di decine di migliaia di esseri umani che ci farà impallidire».
(ha collaborato Sergio Bianchi)
[continua]

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Piegare Gheddafi e preparare l'intervento terrestre
Gli americani spingono con insistenza per un maggiore coinvolgimento dell’Italia nel conflitto in Libia, non solo per passare il cerino politico agli europei. L’obiettivo finale è piegare il colonnello Gheddafi e far sbarcare una forza di interposizione in Libia, con ampia partecipazione italiana. Un modello stile ex Yugoslavia, dove il contingente occidentale è arrivato dopo l’offensiva aerea.

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