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Reportage
19 marzo 2011 - Il Fatto - Libia - Il Giornale
Tripoli aspetta l’Apocalisse: «Pronti al martirio»
Fausto Biloslavo Tripoli «Crediamo nel paradi­so di Allah e se ci bombarde­ranno siamo pronti a morire per il nostro leader, la nostra gloria, Muammar Gheddafi». Sembra infervorato Abdul Aziz, 32 anni, uno dei fan del colonnello nella piazza Ver­de, al centro di Tripoli, che canta e balla per sfatare la pa­ura dell'attacco dal cielo. Tut­ti pensano che sia imminente e devastante. «Tripoli verrà colpita come nei raid ameri­cani del 1986» si sussurra, ma nessuno sa veramente cosa accadrà.
Fin dalla notte scorsa, po­chi minuti dopo la risoluzio­ne dell'Onu che ha imposto la
no fly zone sulla Libia, la situa­zione è diventata paradossa­le. Il simpatico e un po' cicciot­tello Khalid Kaim, vicemini­stro degli Esteri, ha buttato giù dal letto i giornalisti all' una di notte per un'improvvi­sata conferenza stampa. «Noi rispettiamo le Nazioni Unite, la risoluzione ha qualche aspetto positivo. Stiamo per decidere una tregua e forse ar­r­iveranno anche gli osservato­ri delle Nazioni Unite per far­la rispettare » ha detto il diplo­matic­o con il suo perenne sor­riso sulle labbra, anche quan­do le domande lo mettono in croce. Sul primo momento ci sembrava di sognare o di ave­re le allucinazioni. Poche ore prima ci aveva dato la buona notte il colonnello Gheddafi promettendo un bagno di san­gue a Bengasi, roccaforte dei ribelli e poi salta fuori la ver­sione rose e fiori. Il sogno è durato poco. Un centinaio di fazzoletti verdi, i giovani fan del colonnello, hanno invaso l'hotel che ospi­ta la stampa internazionale ululando contro americani e inglesi con vecchi slogan anti coloniali. Uno brandiva un machete, ma la guardia all'in­gresso lo ha sequestrato. Il sorridente ministro degli Esteri si è ritrovato pure lui tra­v­olto dai sostenitori del colon­nello. Il solito slogan: «Allah, Muammar, la Libia e basta» faceva l'eco nel salone dell'al­bergo. Nonostante l'irruenza anti occidentale nessuno, pe­rò, ci ha torto un capello e nep­pure spintonato.
La prima notte di no fly zone non abbiamo praticamente
chiuso occhio discutendo se darcela a gambe, quando ab­biamo capito che l'ambascia­ta italiana chiudeva i battenti, o aspettare le bombe annun­ciate dai francesi. La mattina dopo ci siamo ri­trovati «prigionieri» in alber­go, durante il primo venerdì di preghiera con la minaccia dei raid. «Gli shabab (i giova­ni filo Gheddafi, nda ) sono un po' nervosi e dicono che dovremmo sbattervi fuori a calci nel sedere. É meglio la­sciarli sbollire. Vi identifica­no con il nemico che ci vuole attaccare» racconta Abdul Ja­lil, uno degli interpreti assol­dati dal ministero dell'Infor­mazione libico per tenerci a bada.
Grazie a gente coraggiosa che ci aiuta a capire cosa suc­cede veramente si scopre che quasi tutte le moschee sono presidiate, a cominciare da quella di piazza Algeria, nel centro, dove erano già scop­piate
contestazioni contro Gheddafi. I kataeb , le milizie scelte del colonnello con il grilletto facile, pigiati in mac­chine civili, sono piazzati in forze davanti ai luoghi di cul­to: «Così sai che per ogni paro­la, ogni slogan contro Ghed­dafi ti aspetta una pallottola» dichiara un oppositore.
Girano voci di scontri a Suq al Gumah, uno dei quartieri ri­belli della capitale e a Tajo­rua, il sobborgo caldo di Tri­poli. In realtà, i Fratelli musul­mani, che puntano da setti­mane alla rivolta nella capita­le, non ce la fanno a sfidare la repressione. Molti giovani sa­r­ebbero stati arrestati il giove­dì e rilas­ciati sabato per evita­re che il giorno di preghiera or­ganizzino cortei.
Da ieri i Fratelli musulmani stanno indicando sul sito del­la rivolta libica gli obiettivi che verranno colpiti dagli alle­ati invitando a stare lontani.
Nel primo pomeriggio, sem­pre in attesa delle bombe, al­tro colpo di scena con l'asceti­co Mussa Koussa, che per 30 anni ha guidato i servizi segre­ti libici. Oggi fa il ministro de­gli Esteri. Capelli brizzolati, giacca chiara e camicia abbot­tonata senza cravatta legge un comunicato e annuncia a sorpresa: «La Libia dichiara un immediato cessate il fuo­co e ferma tutte le operazioni militari». Come il gatto e la volpe, Gheddafi poche ore prima aveva annunciato che scatenerà l'inferno contro chi osa bombardare, compresa l'Italia.
I ribelli ribattono che la tre­gua è un bluff. Misurata, 180 chilometri ad est di Tripoli, che stanno perdendo, è sotto bombardamento governati­vo dal mattino. La terza città del paese potrebbe diventare
il primo banco di prova dell' intervento aereo alleato. Lo stesso Koussa ammette: «Ab­biamo segnali che ci attacche­ranno ». Come nel 1986 quando gli ameri­cani punirono Gheddafi per aver flirtato con i terro­risti. Il cuore della cittadella fortifica­ta di Bab al Azizya, al centro di Tripo­li, era ridotta ad un cumulo di mace­rie. La figlioletta adottiva del colon­nello, Hana, di 16 mesi non era sopravvissuta. «Hanno colpito la mia casa. Fino a quando avrò vita non smette­rò di lottare contro americani e inglesi. Vorrei uccidere i pi­loti che hanno sganciato le bombe con le mie mani» urla­va la moglie di Gheddafi fra le macerie. Ferita lievemente pure lei, agitava le stampelle davanti alle telecamere.
A Bab al Azizya il copione potrebbe ripetersi, ma pochi sanno che dopo i raid Usa due Mig libici scesero in picchiata sui resti del fortino di Ghedda­fi. Uno esplose in volo colpito dalla contraerea e l'altro fuggì via. Alcuni reparti si erano am­mutinati, ma Gheddafi, sep­pure ferito e portato a Shaba, nel deserto del sud, riuscì a re­stare
in sella. Questa volta ha il mondo contro. I suoi lo sanno, ma giu­rano di non voler mollare. La sede, vuota, dell'Onu a Tripo­li, vicino all'ambasciata italia­na, è presidiata da rinforzi di polizia. I fazzoletti verdi devo­no aver cercato di prenderla d'assalto. Sul portone blu so­no rimasti attaccati i manife­sti del colonnello in alta uni­forme.
www.faustobiloslavo.eu
PAURA
Nella capitale sono tutti convinti: «Ci bombarderanno come venticinque anni fa» DURI In città chi si ribella è avvertito: «Ogni parola contro il raìs merita una pallottola»
[continua]

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26 aprile 2011 | Radio 101 | intervento
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Con Luxuria bomba e non bomba
Il governo italiano, dopo una telefonata fra il presidente americano Barack Obama ed il premier Silvio Berlusconi, annuncia che cominciamo a colpire nuovi obiettivi di Gheddafi. I giornali titolano: "Bombardiamo la Libia". E prima cosa facevamo? Scherzavamo con 160 missioni aeree dal 17 marzo?

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18 marzo 2011 | Radio Capodistria | intervento
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