image
Reportage
21 marzo 2011 - Il Fatto - Libia - Il Giornale
I fedelissimi del Colonnello tra minacce e grandi bluff
Fausto Biloslavo Tripoli Il tremendo concerto co­mincia
con la contraerea e le sue raffiche ritmate, che rom­pono i timpani. I proiettili trac­cianti di grosso calibro fendo­no il buio della notte. Poi arriva l’esplosione di un missile o di una bomba, anticipata da un bagliore bianco e alla fine ros­so. La guerra alla Libia colpisce Tripoli, roccaforte del regime, da due notti di seguito. Ed i suoi soldatini, che
il Giornale ha incontrato ai funerali dei commilitoni rimasti uccisi sot­to le bombe, descrivono quan­to sia scarsa la difesa. «Non fa­cevamo in tempo a sparare che i caccia sparivano e poi torna­vano colpendoci di nuovo » rac­conta un giovane caporale.
Verso le 19 italiane di ieri ab­biamo sentito per la prima vol­ta il rombo dei jet a reazione che si tuffavano in picchiata da qualche parte nella periferia della città, seguito dal rumore più sordo delle bombe che esplodono. Più tardi un forte botto ha fatto tremare l’alber­go che ospita la stampa interna­zionale.
Non sono raid massic­c­i e continui come l’attacco del­la Nato contro i serbi a Belgra­do, ma lampi di guerra che du­rano sui venti minuti.
L’aspetto più fastidioso è una batteria antiaerea molto vi­cina all’hotel. Quando spara sembra che tiri raffiche sotto le nostre stanze. Non sai se chiu­derti in bagno, il vano più sicu­ro­essendo interno e senza fine­stre. Oppure scavalcare il bal­cone per raggiungere il tetto, dove puoi osservare la guerra in diretta.
Il nostro albergo è ad un chi­l­ometro e mezzo da Bab al Aziz­ya, la cittadella fortificata del colonnello.
L’aspetto più paradossale è che durante gli attacchi alleati il fragore della contraerea e del­l­e esplosioni si mescola al caro­sello di macchine e allo strom­bazzare dei clacson dei fan di Gheddafi. Un sistema per far sapere a tutti che non mollano, neppure sotto le bombe. Un serpentone di automobili cor­re subito a circondare come una catena umana Bab al Aziz­ya. «È incredibile. Siamo l’uni­co paese al mondo che festeg­gia quando ci attaccano» sus­surra un oppositore del regime che fa finta di inneggiare a Gheddafi. Dopo la prima notte di attacco su Tripoli sono subi­to rimbombate le urla di Allah o Akbar, Dio è grande, dei soste­nitori del colonnello che han­no ballato e cantato davanti al nostro hotel per ore.
Dalla prima notte di guerra i giornalisti occidentali vengo­no considerati mezzi collabo­razionisti dei «nemici crocia­ti », come la propaganda bolla gli aggressori della Libia. Pure il simpatico e giovane cuoco dell’albergo comincia a guar­darci storto. «Andrò a combat­tere e vorrei ammazzare so­prattutto i francesi che hanno insistito per attaccarci» mi con­fessa a bassa voce guardando
di traverso un gruppetto di gior­nalisti d’Oltralpe.
Con la decisione di Gheddafi
di aprire gli arsenali e distribui­re i kalashnikov ai civili, non è più salutare girare a Tripoli da soli sfuggendo al controllo del ministero dell’Informazione. Il regime, per ora, non ci porta a vedere i risultati dei bombar­damenti, che vengono abil­mente filtrati e trasmessi dalla televisione libica. Secondo fon­ti a Tripoli sarebbero state col­pite diverse caserme attorno al­la capitale, compresi i centri della 32˚ brigata. I noti baschi rossi guidati da Khamis, il figlio militare di Gheddafi, che si so­no distinti nelle offensive anti ribelli prima dell’intervento al­leato. Un altro obiettivo colpito dovrebbe essere l’aeroporto militare di Mitiga, sul lungoma­re di Tripoli, non molto distan­te­dall’ambasciata italiana ora­mai chiusa.
Depositi ed installazioni mili­tari sono stati centrati anche a Tajoura, un sobborgo di Tripo­li dove cova la rivolta contro Gheddafi. Ai funerali di massa delle 48 vittime ufficiali della capitale e dintorni, nel primo giorno di raid, vogliono farci pensare che si tratta solo di civi­li. Attorno a due file parallele di una ventina di fosse, appena scavate per accogliere le sal­me, ci sono diversi giovani in di­visa. Il caporale Hussein Mohammed, 25 anni, è in uni­forme verde di El Jis, l’esercito
libico. Arruolato in un reparto contraereo ci racconta, con uno sguardo infinitamente tri­ste, come è scampato all’infer­no. «Su Tajoura sono arrivate due ondate. Non facevamo in tempo a sparare che ci aveva­no già colpito ed erano spariti. Poi sono tornati per bombar­darci di nuovo ed il copione si è ripetuto» spiega il caporale. «Sono venuto a salutare per l’ultima volta chi è caduto al mio fianco- sottolinea Moham­med- Anche se non li conosce­vo­tutti li considero come fratel­li ». La sua unità, i depositi e la caserma di Tajoura sono stati colpiti duramente con missili e bombe. «Sono orgoglioso di combattere per il mio Paese, anche se non dimenticherò mai il lago di sangue dei miei commilitoni fatti a pezzi. Ab­biamo cercato di soccorrerli sotto il bombardamento, ma sono morti in tanti» rivela il sol­datino libico. Al funerale di massa nel cimi­tero di Shati Alhinsheer, sulla spiaggia fra Tripoli e Tajoura, si sono raccolte oltre mille per­sone. Tutti inneggiano alla guerra santa contro l’Occiden­te e gridano in coro «Sarkozy nemico di Allah» riferendosi al presidente francese, che ha for­temente voluto i raid. Lo stesso ritornello tocca all’inquilino della Casa Bianca, Barack Oba­ma.
Sulla spiaggia-cimitero di Tripoli pregano e sparano in aria in onore ai «martiri» e se la prendono con le bugie dei me­dia sulla guerra in Libia. Fra le prime vittime delle bombe alle­ate ci sono anche dei civili. Ra­madan Abdul Saleh Alzurgani, 31 anni, stava tornando a casa dopo aver accompagnato la so­rella in ospedale. Al volante del­la sua automobile è passato nel momento sbagliato vicino ad uno degli obiettivi militari col­piti a Tajoura. «Hanno visto una specie di palla di fuoco che avvolgeva tutto, compresa la macchina di mio cugino» rac­conta Mohammed Alzurgani. Faccia da moderato ha appena finito di stringere mani per le condoglianze. Davanti alla ter­ra fresca della tomba di Rama­dan ci scongiura: «Per favore di­te al nostro governo e alla co­munità internazionale, che vo­gliamo solo vivere in pace».

www.faustobiloslavo.eu

RAID
Da due notti di seguito vengono bersagliate le postazioni nevralgiche del regime SCONTRO TOTALE La decisione di Gheddafi di distribuire kalashnikov ai civili crea scompiglio
[continua]

video
12 marzo 2011 | TG4 | reportage
Diario dalla Libia in fiamme
Diario dalla Libia in fiamme

play
30 marzo 2011 | TG5 | reportage
Diario dalla Libia in fiamme
Diario dalla Libia in fiamme

play
04 aprile 2011 | TGCOM | reportage
Da qui partono i clandestini
Da qui partono i clandestini

play
[altri video]
radio

09 marzo 2011 | Panorama | intervento
Libia
Diario dalla Libia
Diario dalla Libia

play

06 marzo 2011 | Panorama | intervento
Libia
Diario dalla Libia
Diario dalla Libia

play

02 marzo 2011 | Panorama | intervento
Libia
Diario dalla Libia
Una nube nera su tutta Tripoli

play

22 marzo 2011 | Panorama | intervento
Libia
Diario dalla Libia
Diario dalla Libia

play

29 aprile 2011 | Spazio Radio | intervento
Libia
Piegare Gheddafi e preparare l'intervento terrestre
Gli americani spingono con insistenza per un maggiore coinvolgimento dell’Italia nel conflitto in Libia, non solo per passare il cerino politico agli europei. L’obiettivo finale è piegare il colonnello Gheddafi e far sbarcare una forza di interposizione in Libia, con ampia partecipazione italiana. Un modello stile ex Yugoslavia, dove il contingente occidentale è arrivato dopo l’offensiva aerea.

play

[altri collegamenti radio]




fotografie







[altre foto]