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Reportage
28 marzo 2011 - Esteri - Libia - Il Giornale
L’armata del raìs sotto le bombe batte in ritirata in tutto il Paese
SirteL’alta colonna di fumo nero si alza verso il cielo a fianco dell’aeroporto internazionale di Tripoli chiuso dall’inizio dall’attacco alleato sulla Libia. Gli aerei commerciali sono bloccati sulla pista. Il fumo sullo sfondo sale da uno degli obiettivi colpiti dai cacciabombardieri dei «crociati», come ci chiamano da queste parti. Un pugno di giornalisti, a bordo di tre pulmini con la scorta e le guide governative si avventura verso Sirte, 440 chilometri ad est di Tripoli. La città natale di Muammar Gheddafi, che il colonnello è pronto a trasformare nella sua linea del Piave. I ribelli, che stanno conquistando i centri petroliferi lungo la strada costiera, avanzano verso ovest con l’appoggio aereo alleato. Il loro obiettivo è proprio Sirte, dove si gioca la spartizione della Libia: l’ovest a Gheddafi e l’est agli insorti. Fuori Tripoli si susseguono, ogni cinque chilometri i posti di blocchi ai El Jis, l’esercito regolare libico. I soldati indossano le divise verde oliva, non l’abbigliamento eterogeneo dei miliziani di Gheddafi che presidiano le contraeree piazzate in grandi trincee rinforzate da cumuli di terra rossa.
Lungo la strada il Kataeb, l’armata Brancaleone di volontari del colonnello, utilizza per spostarsi delle macchine civili mimetizzate per assomigliare al colore del deserto. Ci riescono cospargendo la carrozzeria di olio per far appiccicare la sabbia, come una vernice. Due miliziani in mimetica sono appena arrivati dalla battaglia di Ajdabya, la città ad un incrocio strategico conquistata nelle ultime ore dai ribelli. Sfiniti dagli scontri raccontano che «i bombardamenti aerei sono stati pesantissimi. Non ci hanno dato tregua. Abbiamo combattuto contro i ribelli, ma nelle loro file c’erano pochi libici e tanti yemeniti, egiziani e algerini». La macchina rossa usata per il viaggio della disfatta è stata sequestrata a un gruppo di «stranieri», che devono aver fatto una brutta fine: «Li abbiamo beccati con armi a bordo, telefoni satellitari e computer portatili» racconta Mohammed Ali, uno dei miliziani. L’incubo vero è «tayara, tayara», il nome in arabo dei cacciabombardieri che martellano da oltre una settimana le postazioni governative.
L’autista del nostro pulmino si chiama Tareq. Suo fratello Salah Mansur, è un poliziotto fatto prigioniero dai ribelli per tre settimane, proprio ad Ajdabya. «Lo hanno tenuto in un buco assieme ad altri tre agenti. All’inizio sono stati trattati bene, ma poi hanno cominciato a temere di fare una brutta fine» racconta il paffuto Tareq, che ha potuto riabbracciare il fratello solo ieri. «Salah e gli altri prigionieri hanno allargato un buco nella feritoia che dava all’esterno della loro cella - racconta Tareq - purtroppo uno di loro era grasso e non è riuscito ad infilarsi per fuggire perché il buco era troppo stretto». Ai prigionieri avevano tolto gli anfibi ed il fratello di Tareq ha marciato nel deserto con le piaghe sotto i piedi per ore. Fino a quando non ha trovato i governativi che stavano avanzando. Il suo compagno di cella ciccione, che non era riuscito a fuggire, è stato sgozzato.
Più avanti, verso Bani Walid a sud di Tripoli, i posti di blocco sono presidiati da sbarbatelli con il kalashnikov a tracolla. Giovani della tribù Warfalla, la più importante del paese, che conta su due milioni di persone e sarebbe, almeno in parte, ancora fedele a Gheddafi. Bani Walid è la «capitale» dei Warfalla che controllano, armi in pugno, tutti gli accessi. Davanti ai distributori di benzina si formano lunghe code di automobili, perché il carburante scarseggia. Gli autisti delle cisterne hanno paura di venir centrati dai caccia alleati. Khaled Ali, uno studente che fa pazientemente la fila per il pieno, ammette: «Hanno distribuito le armi leggere ai civili, ma noi combatteremo solo per difenderci. Spero che i ribelli accettino di negoziare con le tribù, invece di attaccarci, altrimenti finirà male».
Sirte ci accoglie al tramonto. All’ingresso della città i berretti rossi, le truppe di élite della 32ª brigata, sorridono vedendo i giornalisti e alzano i kalashnikov verso il cielo, in attesa dei prossimi bombardamenti alleati. Lungo le strade, dai fuoristrada scoperti zeppi di Kataeb, i miliziani sparano in aria. Forse festeggiano l’assalto governativo sull’enclave ribelle di Misurata, ma da est sta piombando verso Sirte una lunga colonna di insorti decisi a conquistarla.
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[continua]

video
19 marzo 2011 | Studio Aperto | reportage
Diario dalla Libia in fiamme
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05 aprile 2011 | TG4 | reportage
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27 marzo 2011 | TG5 | reportage
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radio

26 aprile 2011 | Radio 101 | intervento
Libia
Con Luxuria bomba e non bomba
Il governo italiano, dopo una telefonata fra il presidente americano Barack Obama ed il premier Silvio Berlusconi, annuncia che cominciamo a colpire nuovi obiettivi di Gheddafi. I giornali titolano: "Bombardiamo la Libia". E prima cosa facevamo? Scherzavamo con 160 missioni aeree dal 17 marzo?

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10 marzo 2011 | Panorama | intervento
Libia
Diario dalla Libia
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29 aprile 2011 | Spazio Radio | intervento
Libia
Piegare Gheddafi e preparare l'intervento terrestre
Gli americani spingono con insistenza per un maggiore coinvolgimento dell’Italia nel conflitto in Libia, non solo per passare il cerino politico agli europei. L’obiettivo finale è piegare il colonnello Gheddafi e far sbarcare una forza di interposizione in Libia, con ampia partecipazione italiana. Un modello stile ex Yugoslavia, dove il contingente occidentale è arrivato dopo l’offensiva aerea.

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12 maggio 2011 | Nuova spazio radio | intervento
Libia
Che fine ha fatto Gheddafi?
Il colonnello Gheddafi è morto, ferito oppure in perfetta forma, nonostante le bombe, e salterà fuori con la sua ennesima e prolissa apparizione televisiva? Il dubbio è d’obbligo, dopo i pesanti bombardamenti di Tripoli. Ieri è ricomparaso brevemente in un video girato durante un incontro, all'insaputa dei giornalisti, nell'hotel di Tripoli che ospita la stampa internazionale.

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18 marzo 2011 | Radio Capodistria | intervento
Libia
IL vaso di pandora
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