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Reportage
10 marzo 2011 - Fatti - Libia - Panorama
Diario dalla capitale divisa
ATripoli, con il caffè del mattino, ti può capitare di sobbalzare per tre esplosioni contemporanee, che scuotono la capitale. Scatti fuori dall’albergo dorato che accoglie la stampa internazionale e noti le colonne di fumo nero che si innalzano da zone diverse della città. La più vicina appesta l’aria a 800 metri di distanza dall’hotel, su un ponte, dove brucia un camion cisterna. Correndo trafelato verso il luogo dell’esplosione, mentre sfrecciano ambulanze e i mezzi dei vigili del fuoco pensi a un attacco multiplo di al Qaeda. poi noti che il camion cisterna non è polverizzato come capita negli attentati veri. attorno non ci sono cadaveri e tantomeno pezzi di terrorista suicida. Qualche poliziotto sostiene addirit- tura che l’autista della cisterna si sia salvato. Ti ricordi che il 2 marzo è l’anniversario della Jamahirya, la Libia fondata da muammar Gheddafi. E allora sorge il dubbio se siano finti attentati, strani incidenti contemporanei o provocazioni per aumentare la tensione.
Il sospetto diventa realtà quando si mate- rializza dal nulla un gruppo di una ventina di ragazzotti armati di poster e bandiere, che inneggiano a Gheddafi mentre il camion cisterna brucia sullo sfondo. Un’ottima scena da Tripoli per le telecamere delle tv di mezzo mondo.
Soprattutto se un’ora dopo portano il circo dei media nel salone dove si riunisce una specie di assemblea dei rappresentanti popolari. La sede di quella vera è stata data alle fiamme dai manifestanti anti Gheddafi. E arriva il colonnello in mezzo a un corteo di fuoristrada bianchi. In costume tradizionale con il turbante color sabbia è alla guida di una minicar elettrica, allo scoperto, con un sorriso smagliante per i fotografi. Sembra il teatro dell’assurdo nel paese incendiato dalla rivolta.
Il tripolino medio ha altri problemi quoti- diani da risolvere. In gran parte i negozi sono chiusi e tutti si ingegnano a riempire la di- spensa. nei quartieri periferici come Fashlun e ras Hasan, dove gli scontri fra rivoltosi e milizie pro Gheddafi sono stati duri, i pochi forni aperti si notano per le lunghe file di gente in attesa di assicurarsi la pagnotta. altri libici riempiono a dismisura il bagagliaio di provviste, cominciando con l’immancabile tè, dal negozio dell’amico aperto apposta. altre code si formano fin dal primo mattino da- vanti alle banche. Il colonnello ha promesso 500 dinari per ogni famiglia, l’equivalente di circa 300 euro. «Sono i dividendi della ven- dita del petrolio» spiega in stentato italiano un signore di mezza età, ma forse ci crede poco pure lui. Gheddafi cerca di comprarsi il consenso per calmare gli animi di fronte all’aumento dei prezzi.
Sebbene la Libia sia un forziere dell’oro nero, ai distributori di benzina si formano sempre code di automobili. Tutti sono preoccupati del totale blocco dei cantieri. Le gru ferme e i palazzoni in costruzione sul lungomare deserto riflettono la fuga in massa degli immigrati africani, sia clandestini sia regolari, impiegati come manodopera. Centomila sono già scappati, ma in Libia vivevano oltre 2 milioni di immigrati.
Dall’inizio della rivolta è cominciata la caccia «al nero». Gli africani sono accusati di combattere come mercenari per Gheddafi. In realtà molti libici delle forze di sicurezza hanno la pelle scurissima, ma è pure vero che diversi nigeriani clandestini sono stati arruolati a forza dal regime. nel sobborgo di Fashlun un avvocato di colore ferma la macchina e agitato ci intima: «Dite ad al Jazeera che esistono libici neri e non sono mercenari».
Il clima è tale che migliaia di disperati si ammassano all’aeroporto di Tripoli nella spe- ranza di trovare un volo per fuggire. Lo scalo è rimasto per giorni un girone dantesco. Tutti gli stranieri, compresi gli italiani, dovevano ungere le guardie con 300 dinari, circa 180 euro, per mettersi in salvo. I libici sono scon- volti da queste scene da caravanserraglio, che non avevano mai visto prima nella capitale. Il regime sostiene che le scuole sono aperte, ma le famiglie preferiscono tenere a casa i figli per timore che scoppino manifestazioni spontanee. molti fra gli oppositori di Ghed- dafi, che si annidano a Tripoli, non vanno al lavoro per paura di venire prelevati e fatti sparire per sempre. Una coraggiosa ribelle, che parla italiano, giura: «Vanno a    prendere i feriti degli scontri negli ospedali. Il personale sanitario per salvarli li traveste da infermieri».
Il quartier generale della sicurezza è an- nerito dalle fiamme della rivolta scattata il 17 febbraio. per contrastarla ogni venerdì i fedeli di Gheddafi si riuniscono nella vicina piazza Verde, il centro della capitale, al grido di «allah, muammar, la Libia e basta». però, dopo la preghiera dell’ora di pranzo, escono dalle moschee gli oppositori del colonnello che inneggiano alla sua caduta: «Gheddafi ne- mico di allah, il popolo ti abbatterà». Queste manifestazioni durano poco. Gli irriducibili miliziani dei comitati rivoluzionari con la fa- scia verde al braccio piombano sui cortei con i fuoristrada scoperti e cominciano a sparare. prima in aria e poi ad altezza d’uomo, se la folla non si disperde.
passato il venerdì di passione, entrano in gioco gli spazzini, che cercano di ridare un volto pulito alla città scopando via anche i bossoli dei fucili mitragliatori. ogni tanto resta qualche automobile carbonizzata nei vicoli usata come barricata. La rivolta infuria in tutta la Libia, ma la capitale vive in un clima di calma apparente durante i giorni feriali, a parte i posti di blocco dei miliziani che prendono a ceffoni pure i giornalisti. nel pomeriggio il traffico scompare e tutti si chiudono in casa. Lo stesso vescovo di Tripoli, Giovanni martinelli, conferma che di notte si apre la caccia ai ribelli: «Li fanno fuori attorno a Tripoli in aree come Fashlun, Sharm Ben ashur e forse a Tajoura per frenare la rivolta».
Il giorno dopo la vita ricomincia, ma l’an- tico bazar nel centro città ha tutte le serrande abbassate. agli angoli dei viottoli si notano gli agenti in borghese del mukabarat, la polizia segreta. Solo un negozietto è sempre aperto. non a caso vende valigie, per fuggire dall’inferno libico. (www.faustobiloslavo.eu)

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23 marzo 2011 | Pomeriggio Cinque | reportage
Diario dalla Libia in fiamme
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20 marzo 2011 | TG5 | reportage
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12 marzo 2011 | TG4 | reportage
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18 marzo 2011 | Radio Capodistria | intervento
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26 aprile 2011 | Radio 101 | intervento
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Con Luxuria bomba e non bomba
Il governo italiano, dopo una telefonata fra il presidente americano Barack Obama ed il premier Silvio Berlusconi, annuncia che cominciamo a colpire nuovi obiettivi di Gheddafi. I giornali titolano: "Bombardiamo la Libia". E prima cosa facevamo? Scherzavamo con 160 missioni aeree dal 17 marzo?

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06 marzo 2011 | Panorama | intervento
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