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Reportage
17 marzo 2011 - Fatti - Libia - Panorama
Doppio contrattacco
«Per riprendere il controllo del paese, il governo libico sta usando la forza militare con l’ordine di evitare bagni di sangue e il dialogo attraverso le
tribù per convincere i giovani a consegnare le armi» spiega a Panorama mussa Ibrahim, il portavoce voluto da Saif alIslam, figlio «moderato» del colonnello muammar Ghed-
dafi. L’occidente lo aveva dato per spacciato e invece il padre padrone della Libia, da 42 anni, è ancora in sella e punta a ribaltare i pronostici.
La strategia si basa su un misto di bastone e carota: carri armati e sparizioni notturne degli oppositori assieme a soldi e prebende per comprarsi il consenso. Il primo obiettivo è riconquistare le città in mano agli «zuwar», i ribelli, nella Libia occidentale, come alZawia e misurata. oltre che riprendere il controllo degli snodi petroliferi di ras Lanuf e marsa al-Brega, per garantirsi il forziere dell’oro nero nella Sirte con i suoi 37 miliardi di barili. poi si potrà pensare a un cessate il fuoco per convincere i ribelli dell’est a scendere a patti evitando la seces-
sione della Cirenaica. al-Zawia è la spina nel fianco
del regime, 40 chilometri a sudovest di Tripoli, conquistata nei primi giorni della rivolta. Dal 6 marzo i baschi rossi comandati da Khamis, il figlio con le stellette di Gheddafi, sono avanzati a cannonate. Gli zuwar, pronti a morire piuttosto che arrendersi, hanno gioco facile nella guerriglia fra le palme e un dedalo di vicoli con 30 mila abitanti. Gran parte dei ribelli fa
parte della cabila awlad Sager, la tribù di al-Zawia, che sta trattando con gli emissari di Gheddafi per evitare il bagno di sangue. «Garantiamo l’amnistia a chi abbandona le armi» spiega Ibrahim, il portavoce «e attraverso la cabila ascoltiamo le richieste della gente offrendo posti di lavoro, case, aiuti».
Un sistema che non sempre funziona e sarà ben più lungo e laborioso a misurata. La terza città del paese, 180 chilometri a ovest di Tripoli, è in mano ai ribelli. L’8 marzo una colonna di carri armati che avanzava verso il centro è stata respinta. anche in questo caso si trattava di unità della 32a brigata aviotrasportata, comandata da Khamis Gheddafi: l’unico reparto veramente operativo e fedele al Colonnello, che conta 7-10 mila uomini.
I morti di queste battaglie non sono centinaia, come viene propagandato, ma poche decine. Il problema è che l’80 per cento delle famiglie di misurata ha legami di clan e familiari con Bengasi, la roccaforte dei ribelli. Il grosso dei combattimenti avviene sulla strada costiera, l’ex Balbia, dal nome del gerarca fascista Italo Balbo. nella Sirte, terra d’origine di Gheddafi, corre la prima linea.
I governativi, dopo aver cacciato i ribelli da Bin Jawed, vogliono riprendersi ras Lanuf e marsa al-Brega. Due snodi strategici, dove le consociate dell’Eni hanno costruito impianti e raffinerie. Il bacino della Sirte è fra i più ricchi di petrolio del mondo, con riserve stimate di 37 miliardi di barili. L’obiettivo di Gheddafi è spostare il fronte verso Bengasi, riprendendo il controllo dei giacimenti, in parte ancora da sfruttare, concessi alle grandi compagnie mondiali compresa l’Eni.
Le diserzioni nelle forze armate hanno convinto Gheddafi a mobilitare le Guardie popolari: i miliziani, con la fascia verde al braccio o usata come bandana, che seminano il terrore. Di notte, con la polizia segreta, fanno sparire i sospetti oppositori da quartieri e sobborghi della capitale, come Fashlun, Sharm Ben ashur e Tajoura. non solo, dal 6 marzo è iniziata la distribuzione di kalashnikov ai civili. Il Colonnello ha minacciato di armare da 1 a 3 milioni di libici in vista del temuto intervento americano e della nato.
ma per sconfiggere l’insurrezione, il regime non usa solo il pugno di ferro. A ogni famiglia, nelle aree governative, vengono garantiti 500 dinari (330 euro) ogni mese. Lo stato elargisce prestiti di 40 mila euro in valuta locale senza interessi. La martellante propaganda fa il resto. La tv libica manda in onda di continuo le folle di manifestanti che gridano «Allah, Muammar, la Libia e basta»; dice che gli insorti sono aizzati da Al Qaeda. «Da Derna oltre 200 giovani sono andati a combattere in Iraq e alcuni sono finiti a Guantanamo. I terroristi guidano la rivolta a cominciare dall’emiro Abdel Hakim Hussadi» accusa l’ex capo dei servizi segreti libici per 15 anni, Moussa Koussa, nominato nel 2009 ministro degli Esteri.
Ma il regime cerca anche di trattare con l’opposizione: e i negoziati avvengono anche all’estero, in Egitto, Grecia e Austria, come hanno mostrato il 9 marzo alcuni misteriosi voli degli emissari di Gheddafi. Nonostante le smentite, anche in Libia sono già partite le trattative attraverso le tribù e i legami familiari. Il mediatore nominato da Gheddafi è l’ex premier Jadallah Azzouz Talhi, cugino del ministro della Giustizia, Mustafa Abdel Jalil, che è diventato il capo del Consiglio nazionale degli insorti.
Fonti di Panorama a Tripoli affermano che sarebbe pronto a tornare alla ribalta Abd al-Salam Jallud, amico di Gheddafi e numero due nel colpo di stato contro la monarchia nel 1969. Agli inizi degli anni Novanta cadde in disgrazia perché criticava il leader. Oggi la sua cabila ha tirato fuori le armi con l’ordine di non schierarsi. Qualche mese fa era stato offerto a Jallud il posto di vicepresidente, ma lui ha rifiutato. In molti credono che sia una delle pedine per uscire dalla crisi e dallo spettro della secessione della Cirenaica. Il tarchiato Osama, che accompagna i giornalisti (ma non è una semplice guida), ribadisce: «Spartizione della Libia? Nemmeno in un milione di anni». (www.faustobiloslavo.eu)  

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Il governo italiano, dopo una telefonata fra il presidente americano Barack Obama ed il premier Silvio Berlusconi, annuncia che cominciamo a colpire nuovi obiettivi di Gheddafi. I giornali titolano: "Bombardiamo la Libia". E prima cosa facevamo? Scherzavamo con 160 missioni aeree dal 17 marzo?

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