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Reportage
13 aprile 2011 - Esteri - Libia - Il Giornale
Il ribelle affiliato ad Al Qaida "Entro in Italia coi clandestini"
Tripoli «Temo di andare in Ita­lia. È sicuro?» chiede al cellula­re­un ribelle che secondo il mi­nistero dell’Interno libico sa­rebbe legato ad Al Qaida. L’uo­mo in fuga è scappato da Zawia, la spina nel fianco di Gheddafi, 45 chilometri a sud ovest di Tripoli, riconquistata dai governativi a metà marzo, dopo feroci combattimenti. Il suo interlocutore, un coman­dante dell’ala estremista degli insorti garantisce: «Sì, adesso è sicuro, la situazione in Italia è migliorata per noi». Grazie a quest’assicurazione il ribelle in fuga si imbarca con un grup­po d­i clandestini partito da Zu­warah e diretto a Lampedusa. La telefonata è stata intercet­tata una decina di giorni fa e confermerebbe i timori espressi dal ministro dell’In­terno, Roberto Maroni, «sul ri­schio di infiltrazioni di Al Qai­da » nella crisi libica.
A rivelare a Il Giornale l’inter­cettazione che riguarda l’Ita­lia è Moftah H., chiamato con deferenza colonnello. Un in­callito fumatore con gli occhi a fessura e lo sguardo di ghiac­cio, che guida la famigerata centrale di interrogatori di Tri­poli, dove rinchiudono i so­spetti terroristi.
Le informazio­ni del colonnello vanno prese con le pinze, ma il suo dossier «L’organizzazione di Al Qaida in Libia» è voluminoso. Negli ultimi anni proprio Seif el Islam, il figlio di Gheddafi, ave­va insistito per far rilasciare 705 affiliati al Gruppo islami­co comb­attente libico e ai Fra­telli musulmani accusati di ter­rorismo.
Fra questi Abdel Hakim al Hasidi conosciuto come l’emiro di Derna, che ai tempi della guerra in Irak re­clutò 25 volontari spediti a Ba­gdad. Oggi è un comandante dei ribelli e ammette, che alcu­ni di questi veterani combatto­no contro Gheddafi.
Gli stessi americani aveva­no scoperto che almeno 700 li­bici, provenienti soprattutto dalla Cirenaica, erano arrivati in Irak. E il regime di Gheddafi
li aveva pure aiutati.
Secondo la sicurezza di Tri­poli proprio a Brega, conteso centro petrolifero con investi­menti italiani, sarebbe stato ucciso Abdul Atif al Tarouni,
un ex volontario libico della guerra in Afghanistan. Sem­pre a Derna, roccaforte dei ri­belli, Ibrahim Sufyan Bin Qu­mu, ex autista di Osama bin Laden, sta addestrando i gio­vani ribelli. Nel 2001 era stato catturato in Afghanistan e rin­chiuso per sei anni a Guanta­namo. Sul fronte della Cire­naica sarebbero almeno 300 gli estremisti islamici fra le fi­la dei ribelli.
Il dossier su Al Qaida denun­cia che nella Libia occidenta­le, quasi completamente sot­to controllo di Gheddafi,
il refe­rente dei terroristi è Abu Obei­di.
Un pezzo grosso della guer­ra santa che emette fatwe dal­l’Egitto. Durante una conver­sazione intercettata il 22 feb­braio Taher Husein Taher al Khadhrawy, «propulsore del­l’ideologia estremista salafita che ha combattuto a Zawia», chiede lumi ad Obeidi sulla sorte dei prigionieri catturati. La risposta è senza appello: «Giustiziateli con un colpo di pistola in testa».
Un altro capo cellula della guerra santa internazionale è Murad Musa Salim Zakry, nel­la zona sud occidentale di Na­lut. Specializzato in contrab­bando, è stato intercettato la scorsa settimana, mentre par­lava «dell’arrivo di addestrato­ri dall’Algeria». Il sospetto è che si tratti di veterani di Al Qaida nel Maghreb. Secondo il presidente del Ciad, Idriss Deby Itno, la costola di Bin La­den nel nord Africa, avrebbe già «acquistato armi, compre­si missili terra aria, depredati dai ribelli negli arsenali libici». A Zintan, nella Tripolitania, non demordono altri coman­danti jihadisti, come Moftah Mohammad al Alim Giul­ghum, che secondo il dossier di Tripoli avrebbe catturato «100 africani che tornavano ai loro paesi d’origine accusan­doli di essere mercenari, per costringerli ad arruolarsi nelle bande ribelli».
Il colonnello della sicurezza interna, che da anni si occupa di Al Qaida, spiega: «Dopo la sconfitta del Gruppo islamico combattente in Libia nel 1996, molti sono fuggiti in Europa». La loro base principale è sem­pre stata l’Inghilterra, ma in collaborazione con i Fratelli musulmani hanno trovato ri­fugio pure in Olanda, Canada, Stati Uniti, Australia e soprat­tutto Svizzera. Non a caso da Ginevra il 17 febbraio è partito l’appello via internet che ha in­nescato la rivolta in Libia.

www.faustobiloslavo.eu
[continua]

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