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Reportage
03 aprile 2011 - Esteri - Libia - Il Caffè
"Ci mancano il pane e la benzina, gran parte dei negozi sono chiusi"
“Con i primi raid della Nato siamo rimasti stupefatti. Non è suonata neppure una sirena d’allarme. I caccia hanno colpito con precisione una base militare trasformandola in una palla di fuoco. Ad ogni bomba le pareti, le finestre, le porte della nostra casa tremavano come fuscelli”. Bashir al Gadhi, 35 anni, ha vissuto così l’inizio dell’attacco alleato sulla Libia. Assieme ai genitori ed ai fratelli vive a Tajoura, un sobborgo di Tripoli zeppo di obiettivi militari, ma dove cova la rivolta anti Gheddafi. “Qualche giorno prima del 17 febbraio, quando erano state annunciate le manifestazioni di protesta, tutti sono corsi a comprare generi di prima necessità per crearsi una scorta in casa racconta Al Gadhi Noi possiamo sopravvivere per due mesi”. Alto come un lampione è un ex pivot della nazionale di pallacanestro, poi riciclato come guida turistica: “Ho accompagnato tanti svizzeri sui siti archeologici lungo la costa”.
La vita di ogni giorno dei libici nella capitale e dintorni è sempre più difficile. “Gran parte dei negozi sono chiusi. Per il pane puoi fare la fila anche tre quarti d’ora. I generi di consumo li trovi, ma le scorte stanno diminuendo ed i prezzi aumentano dal 50 al 60%” spiega Al Gadhi. Nell’ultima settimana i distributori hanno cominciato ad esaurire la benzina uno dopo l’altro. “Si formano lunghe file di macchine rimaste a secco. La gente è esasperata” racconta il giovane di Tajoura. Nel paese del petrolio manca la benzina, ma la paura più grande è che Tripoli precipiti nell’anarchia. “Hanno distribuito le armi ai civili fa notare Al Gadhi Gran parte della gente, se non è impiegata nella sicurezza non va a lavorare e non riesce a sbarcare il lunario. Il sistema è fermo e se continuiamo così si rischia il caos”. Osama Saleh, 31 anni, fisico tarchiato, è un sostenitore del colonnello. “E’ vero, tutti i maschi della famiglia hanno un’arma -spiega ma per difenderci”. Per il carburante che scarseggia dà la colpa ai privati che devono trasportarlo: “Gli autisti delle cisterne hanno paura di venir centrati da una bomba della Nato”. Il problema, in realtà, è più complesso e riguarda le sanzioni della comunità internazionale alla Libia. Prima della rivolta Osama vendeva gas e petrolio in Europa. “L’ultima volta che sono venuto in Svizzera per affari era lo scorso gennaio, a Ginevra racconta A Lugano, che è la mia città preferita, ho un paio di amici, che mi telefonano preoccupati. Dico loro di non credere alle tv e a quello che scrivono i giornali”. Osama vive con la famiglia allargata di 13 persone. Suo figlio Ahmed ha compiuto 2 anni il primo aprile. “L’altro giorno hanno bombardato con i missili Tomahawk ad un chilometro dalla nostra casa. Sembrava il terremoto ricorda il giovane libico O ci chiudiamo in cantina, oppure, come abbiamo fatto, cerchiamo di reagire psicologicamente e corriamo sul tetto a vedere cosa accade”. I fratelli e sorelle fra i 16 e 20 anni vanno a scuola “che è aperta, ma spesso le aule sono vuote. La gente tiene i figli a casa per paura”. Gli aeroporti sono chiusi e i costi dei trasporti di merci via mare aumentano a causa del rischio. “Il governo però controlla il prezzo
dei generi fondamentali come la farina, la benzina, il latte” sostiene Osama. In casa ha pure lui delle riserve e un generatore se saltasse la corrente. I fratelli più piccoli, talvolta accompagnati dal padre, vanno in scampagnata notturna alla caserma di Bab al Azizyah, l’ex bunker del colonnello Gheddafi nel centro di Tripoli. A parole fanno gli “scudi umani volontari”. Per Osama “la paura più grande è la guerra civile a Tripoli, come nelle città costiere dell’Est. Se uccidessero il leader scoppierebbe un bagno di sangue. Io penserei solo a difendere la famiglia con il mio kalashnikov”.

video
24 marzo 2011 | TGCOM | reportage
La cronaca da Tripoli
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28 marzo 2011 | TG4 | reportage
Diario dalla Libia in fiamme
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01 aprile 2011 | Studio Aperto | reportage
Diario dalla Libia in fiamme
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06 marzo 2011 | Panorama | intervento
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08 marzo 2011 | Panorama | intervento
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Diario dalla Libia
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18 marzo 2011 | Radio Capodistria | intervento
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IL vaso di pandora
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29 aprile 2011 | Spazio Radio | intervento
Libia
Piegare Gheddafi e preparare l'intervento terrestre
Gli americani spingono con insistenza per un maggiore coinvolgimento dell’Italia nel conflitto in Libia, non solo per passare il cerino politico agli europei. L’obiettivo finale è piegare il colonnello Gheddafi e far sbarcare una forza di interposizione in Libia, con ampia partecipazione italiana. Un modello stile ex Yugoslavia, dove il contingente occidentale è arrivato dopo l’offensiva aerea.

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26 aprile 2011 | Radio 101 | intervento
Libia
Con Luxuria bomba e non bomba
Il governo italiano, dopo una telefonata fra il presidente americano Barack Obama ed il premier Silvio Berlusconi, annuncia che cominciamo a colpire nuovi obiettivi di Gheddafi. I giornali titolano: "Bombardiamo la Libia". E prima cosa facevamo? Scherzavamo con 160 missioni aeree dal 17 marzo?

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