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10 maggio 2011 - Esteri - Libia - Il Giornale
Accuse choc contro la Francia "Ha lasciato morire i migranti"
Bombardiamo la Libia per difendere i civili e non sem­pre ci riusciamo, come lamen­tano a Misurata, ma sui clan­destini che scelgono il mare per scappare verso l’Europa non è chiaro cosa combini la Nato. Il quotidiano inglese Guardian ha denunciato da Tripoli che un barcone zeppo di diseredati è stato lasciato in balia delle onde dalla flotta al­leata. Solo 9 sono sopravissuti e 63 hanno perso la vita, com­presi due bimbi di pochi mesi.
La Nato smentisce annuncian­do che invece di disgraziati in fuga in mezzo al mare ne ha salvati 500. Se la denuncia del
Guardian fosse vera, anche so­lo in parte, bisognerebbe chie­dersi se esistono civili di serie A e di serie B. I clandestini via mare, pure loro vittime del conflitto, evidentemente non verrebbero considerati abba­stanza «civili», come quelli as­sediati a Misurata.
Da quando sono iniziati i bombardamenti, il colonnel­lo Gheddafi, come aveva più volte annunciato, ha aperto le porte all’«invasione» dell’Eu­ropa con gli sbarchi a Lampe­dusa, che partono dalle coste libiche.
Il giornale inglese rispolve­ra la storia di un «barcone fan­tasma » salpato dalla Libia il 25 marzo scorso. A bordo c’era­no 72 disgraziati provenienti da Etiopia, Eritrea, Nigeria, Ghana e Sudan. Le donne era­no una ventina con due bam­bini piccoli, uno dei quali ave­va solo un anno. Dopo 18 ore in mare, verso Lampedusa, l’imbarcazione perde carbu­rante.
Secondo il racconto dei so­pravissuti è allora che un eli­cottero militare, non certo libi­co, sorvola il barcone. I piloti lanciano bottiglie d’acqua,bi­scotti e generi di sopravviven­za. Poi si sbracciano per indi­care che i soccorsi arriveran­no presto. Sul velivolo c’è scrit­to «army», come per gli elicot­teri inglesi. I soccorsi non arri­vano e il barcone ha solo venti litri di carburante rimanenti. Il 27 marzo il comandante del barcone decide di proseguire, ma la bagnarola si pianta in mezzo al mare e va ala deriva per 16 giorni.
«Avevamo finito carburan­te, acqua e cibo» racconta al
Guardian , Abu Kurke, un etio­pe di 24 anni sopravissuto. Fra il 29 e il 30 marzo la barca alla deriva avrebbe incrociato una portaerei alleata. Due caccia si alzano in volo e passano ra­denti sopra i disperati che alza­no verso il cielo i bambini pic­coli per far capire che hanno bisogno d’aiuto. Non vengo­no soccorsi. Secondo il Guar­dian la portaerei era la france­se Charles de Gaulle. Parigi smentisce seccamente: «La portaerei e nessuna unità na­vale francese è stata in conta­to con il tipo di imbarcazione » dei clandestini. La Nato infor­ma che nello schieramento al­leato c’era l’italiana Garibal­di, ma smentisce qualsiasi omissione di soccorso. Anzi da Bruxelles spiegano che ne­gli stessi giorni unità alleate hanno aiutato 500 migranti su due barconi in difficoltà.
I sopravvissuti dell’odissea insistono e trovano una spon­da in padre Moses Zerai, il sa­cerdote eritreo che vive a Ro­ma e si occupa dei rifugiati e che era stato chiamato più vol­te dal barcone fantasma. Il reli­gioso informa la Guardia co­stiera italiana, che a sua volta
allerta le nostre unità e anche l’isola di Malta. I maltesi so­stengono di non saperne nul­la, ma forse il barcone alla deri­va era ancora lontano. Difficil­mente, però, la flotta alleata, che doveva bloccare armi o ri­fornimenti per la Libia, si fa sfuggire qualcosa in quella zo­na del Mediterraneo. «Quella gente ha chiesto aiuto, io stes­so ho chiesto più volte che qualcuno portasse soccorso. Nessuno ha fatto niente per giorni e ora non può passare la logica dello scaricabarile», ha dichiarato padre Zerai a Ra­dio 24.
Dopo aver incrociato la por­taer­ei i dannati del barcone co­minciano a spegnersi come mosche nel giro di dieci gior­ni. «Avevamo salvato una bot­tiglia di acqua per i bambini dopo la morte dei loro genito­ri, ma poi se ne sono andati pu­re loro », racconta Kurke. I cor­pi senza vita venivano gettati
in acqua e le onde ne hanno restituiti alcuni. Nello stesso periodo il vescovo di Tripoli, Giovanni Martinelli, aveva confermato a il Giornale che erano stati trovati dieci cada­veri di migranti africani sulle coste nei pressi di Tripoli «ma giungono notizie di molti più corpi vicino a Qarabulli», uno dei porti di partenza dei clan­destini.
Il barcone resta alla deriva per 16 giorni e solo il 10 aprile
tocca di nuovo terra vicino a Zeltan, nei pressi di Misurata assediata dai governativi. A bordo sono rimaste solo 11 persone. Due muoiono nel gi­ro d­i poche ore e solo 9 soprav­vivono. La polizia sul primo momento li arresta, ma poi li lascia andare. Oggi sono ospi­te di un etiopico a Tripoli ed in gran parte vogliono ritentare la via del mare.
La Nato ha respinto la rico­struzione del Guardian soste­nendo
che le accuse secondo cui «una portaerei della Nato intercettò e poi ignorò l’imbar­cazione in difficoltà sono sba­gliate ». Il 31 marzo, secondo il ministro dell’Interno, Rober­to Maroni, erano sbarcati a Lampedusa «2.000 profughi arrivati dalla Libia», che evi­dentemente sono passati sot­to il naso della flotta alleata.
Il vero problema è che le na­vi militari non possono certo ributtarli indietro verso le co­ste libiche, ma è una grossa grana prestare soccorso, co­me prevede la legge del mare, nel bel mezzo di un conflitto, per di più impantanato. Un motivo in più per chiederci se aveva veramente senso infilar­ci nel guazzabuglio della guer­ra
civile libica.
www.faustobiloslavo.eu
[continua]

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