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01 giugno 2011 - Esteri - Afghanistan - Il Giornale
Lo zampino iraniano nell'attacco agli italiani
Il capitano della brigata Ariete colpito nell’attacco agli italiani a Herat, lunedì matti­na, sta combattendo fra la vita e la morte. Altri quattro soldati del nostro contingente sono ri­masti feriti. Il tributo più pe­sante lo hanno pagato gli af­ghani con 5 vittime e 32 feriti, in gran parte civili. Il responsa­bi­le della mattanza sarebbe Sa­mihullah, un comandante tale­bano con la faccia da ragazzi­no, amico di Al Qaida e del­l’Iran. Lo rivela The Long War Journal , un sito sul conflitto in Afghanistan e la crisi pachista­na con ottime fonti alla Cia e al Pentagono.
Il comandante Samiullah si è fatto le ossa come luogote­nen­te del famoso Ghulam Yah­ya Akbari il cosiddetto «taleba­no tajiko », perché faceva parte di un’etnia solitamente ostile ai tagliagole di mullah Omar. Akbari, ex sindaco di Herat e alleato del presidente afghano Hamid Karzai, è stato ucciso nell’ottobre 2009. All’opera­zione mirata avevano parteci­pato i corpi speciali italiani.Sa­mi­hullah era l’ufficiale di colle­gamento di Akbari con i volon­tari
arabi della guerra santa, che fanno parte dell’Armata nell’ombra,la costola di Al Qai­da in Afghanistan. Prima di im­bracciare le armi ha studiato arabo nella facoltà universita­ria di Herat, dove si trova il quartier generale italiano.
Barbetta curata, faccia da bravo ragazzo si è fatto intervi­stare da Al Jazeera, attorniato dai combattenti mascherati, nell'Afghanistan occidentale dove operano oltre 4mila sol­dati italiani.
Secondo informa­zioni di intelligence, il nuovo comandante dei «mujahed­din di Herat» ha contatti con il corpo Ansar, l’unità dei Guar­diani della rivoluzione irania­na specializzato in operazioni all’estero.La regione Ovest del­­l’Afghanistan, sotto comando italiano, confina con l’Iran. Dalla repubblica islamica, con o senza l’avallo delle auto­rità, transitano da tempo cari­chi di armi, manovalanza per i talebani e qualche leader degli estremisti che combattono contro la coalizione interna­zionale.
Il primo attacco spettacola­re a Herat, firmato da Samiul­lah, è avvenuto il 23 ottobre 2010. La sede delle Nazioni Unite nel capoluogo occiden­tale era stata attaccata da un commando suicida, che era riuscito a penetrare nel com­pound ingaggiando una batta­glia
fino alla morte con le forze di sicurezza afghane ed i rinfor­zi italiani.
Lunedì mattina i mujahed­din di Samiullah hanno sferra­to un attacco ancora più in grande stile, come ha spiegato ieri alla Camera il ministro del­la Difesa Ignazio La Russa. I ta­lebani hanno fatto esplodere una motobomba e altri quat­tro attentatori sono entrati in
azione in diversi punti della cit­tà per attirare le forze di sicu­rezza su più fronti. Poi è scatta­to l’assalto vero e proprio al Prt, il Centro di ricostruzione provinciale di Herat, difeso da­gli uomini del 132˚ reggimen­to di artiglieria della brigata Ariete. «Un piccolo autocarro carico di cemento si è presen­tato all’accesso principale di Campo Vianini - ha spiegato La Russa - . Un’altra azione di­v­ersiva condotta da due moto­ciclisti ha distratto il personale di vigilanza afghano consen­tendo al­l’automezzo di ripren­dere il movimento lungo la ser­pentina d'ingresso per tentare di sfondare il portone principa­le del compound. Il camionci­no è andato a sbattere, esplo­dendo, contro il muro esterno della base».
Il ministro ha confermato che il commando suicida vole­va
penetrare nella base per compiere una strage, ma non c'è riuscito. Almeno 4 assalito­ri si sono rifugiati in una palaz­zina vicina aprendo il fuoco su italiani e afghani.
A malincuore La Russa ha dovuto ammettere che il più grave dei feriti italiani «non può essere considerato fuori pericolo, anzi, le sue condizio­ni destano molte preoccupa­zioni ». Si tratta del capitano Gennaro Masino, 30 anni, di Paterno in provincia di Poten­za, in forza al 132˚ reggimento di stanza a Maniago del Friuli. I talebani hanno colpito He­rat perché sarà una delle pri­me zone a passare sotto il con­trollo della sicurezza afghana a luglio, in vista del graduale ri­tiro previsto per il 2014. La Rus­sa è stato chiaro: «Non vi na­scondo che i pericoli non dimi­nuir­anno con l’avvicinarsi del­l’obiettivo (la transizione per stabilizzare il paese nda). An­zi, è prevedibile che vi sia sem­pre il tentativo di colpi di coda quanto più dolorosi possibili».

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