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Reportage
23 giugno 2011 - Esteri - Libia - Il Foglio
Sulla Garibaldi per scoprire che operazioni fa davvero l'Italia in Libia
“La missione è difendere i civili, non ammazzarli. Attacchiamo obiettivi esclusivamente militari e lontani dai centri abitati proprio per evitare danni collaterali”, dice al Foglio uno dei giovani piloti della marina che bombarda la Libia. Poi si alza in volo dalla portaerei Garibaldi, ai comandi di un caccia Av-8. I nomi e le facce dei piloti sono top secret per timori di ritorsioni, ma per la prima volta parlano della “guerra” contro il regime del co- lonnello Gheddafi. “Sganciamo bombe a guida laser o gps da 250 e 500 chilogrammi, che alzano un’alta colonna di fumo nero”, racconta un pilota dei “Lupi”, il gruppo aereonavale imbarcato sulla Garibaldi. Delle immagini che girano in missione è possibile vedere soltanto i rifornimenti in volo. I filmati delle bombe che centrano gli obiettivi sono inaccessibili, a differenza di quel che fanno gli alleati inglesi con le immagini della Raf. I piloti italiani, non soltanto della marina, hanno compiuto fino a oggi circa 350 missioni di attacco al suolo.
La portaerei Garibaldi è l’ammiraglia della flotta Nato di 19 navi schierata di fronte alle coste libiche. Quando il regime di Tripoli ha annunciato falsamente che era stata colpita, nel giro di poche ore la marina militare libica è stata azzerata dai raid aerei. L’ammiraglio Filippo Maria Foffi, imbarcato sulla Garibaldi, coordina anche l’embargo navale. I fanti di marina del reggimento San Marco bloccano e ispezionano le imbarcazioni sospette che potrebbero trasportare armi o rifornimenti strategici verso la Libia. Si calano dagli elicotteri e vanno all’ab bordaggio con i gommoni partendo dalla fregata Euro.
Un’altra aliquota a bordo della portaerei è operativa 24 ore al giorno per missioni di recupero di piloti abbattuti dietro le linee libiche. Nello schieramento, in gran segreto, è arrivato anche un sommergibile italiano, destinato alle missioni sotto costa, le più pericolose. Le unità sottomarine sono utilizzate per osservazioni delle postazioni a terra o per sbarcare squadre dei corpi speciali.
A fianco della flotta sotto comando italiano ne opera un’altra, altrettanto possente, di 18 navi americane, britanniche e francesi, compresa la portaerei Charles De Gaulle. Pur integrati nell’operazione contro il regime libico, Unified Protector, fanno però spesso come vogliono. Fin dall’inizio dell’intervento l’aggressività francese, spalleggiata dagli inglesi, è andata a cozzare con la cautela italiana sul piano militare e diplomatico. Ieri il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha appoggiato l’idea “fondamentale di una immediata sospensione umanitaria delle ostilità per creare corridoi umanitari” in grado di aiutare la popolazione. E’ il tentativo di aprire a una difficile via di uscita negoziale. La replica di Parigi e poi quella della Nato non si sono fatte attendere: qualsiasi sospensione delle operazioni rischierebbe di far guadagnare tempo al colonnello, “le operazioni vanno intensificate”.
Fra gli 806 marinai della Garibaldi i contrasti internazionali sull’intervento in Libia e quelli di casa nostra giungono ovattati, ma fanno male. Soprattutto quando si sparano cifre inventate: la Garibaldi costa sui 135 mila euro al giorno, non all’ora. Però l’equipaggio, su una nave in teatro di guerra, che non dorme mai, riceve una paga parificata a un’esercitazione. Le reclute a 19-20 anni si ritrovano con 2-3 euro in più al giorno, che salendo con il grado possono arrivare a 30-40 euro, come se la portaerei fosse in normale navigazione. Contando sulla rapida fine di Gheddafi il Parlamento non ha votato alcuna spesa ad hoc, come per le missioni in Afghanistan o in Libano, facendo gravare i costi sul bilancio ordinario della marina.
A bordo, però, ci sono veterane con due figli piccoli a casa, marinai che rischiano di non veder nascere la loro primogenita e giovani entusiasti. Tutti vivono da tre mesi in un “sarcofago” d’acciaio profondo undici piani. Molti dormono in cabine, sotto il livello del mare, con 12 cuccette. Pochi si lamentano, se non per il fatto di essere un po’ “dimenticati” in mezzo al mare. La guerra sul campo sembra lontana, oltre la linea dell’orizzonte, ma i rischi non mancano. I libici non hanno più sommergibili operativi per minacciare le navi della Nato, ma si ingegnano con le vecchie mine marine e sistemi più subdoli. “Abbiamo intercettato barchini imbottiti con una tonnellata di esplosivo Semtex e manichini a bordo per farci pensare che non c’era pericolo – spiega l’ammiraglio Foffi – L’intelligence segnala che potrebbero utilizzare pure i pescherecci o le bagnarole degli immigrati infiltrando qualcuno con un lanciarazzi o un giubbotto esplosivo che si fa saltare in aria quando arrivano i soccorsi”.

video
22 marzo 2011 | Mattino Cinque | reportage
Diario dalla Libia in fiamme
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26 marzo 2011 | Studio Aperto | reportage
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25 marzo 2011 | TG5 | reportage
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18 marzo 2011 | Radio Capodistria | intervento
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IL vaso di pandora
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22 marzo 2011 | Panorama | intervento
Libia
Diario dalla Libia
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29 aprile 2011 | Spazio Radio | intervento
Libia
Piegare Gheddafi e preparare l'intervento terrestre
Gli americani spingono con insistenza per un maggiore coinvolgimento dell’Italia nel conflitto in Libia, non solo per passare il cerino politico agli europei. L’obiettivo finale è piegare il colonnello Gheddafi e far sbarcare una forza di interposizione in Libia, con ampia partecipazione italiana. Un modello stile ex Yugoslavia, dove il contingente occidentale è arrivato dopo l’offensiva aerea.

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26 aprile 2011 | Radio 101 | intervento
Libia
Con Luxuria bomba e non bomba
Il governo italiano, dopo una telefonata fra il presidente americano Barack Obama ed il premier Silvio Berlusconi, annuncia che cominciamo a colpire nuovi obiettivi di Gheddafi. I giornali titolano: "Bombardiamo la Libia". E prima cosa facevamo? Scherzavamo con 160 missioni aeree dal 17 marzo?

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09 marzo 2011 | Panorama | intervento
Libia
Diario dalla Libia
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