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Reportage
29 giugno 2011 - Prima - Libia - Oggi
Obiettivo Gheddafi
A bordo della portaerei Garibaldi, giugno Il fragore assordante invade il ponte di volo ed un mostro d’acciaio scuote la portaerei Garibaldi schizzando verso il cielo a 300 chilometri orari, con il suo carico di bombe. I caccia Av-8 della Marina decollano in coppia, ogni giorno, diretti verso la Libia in missioni di sorveglianza, ricognizione o per colpire obiettivi militari del regime di Gheddafi.
Sui serbatoi hanno una grande scritta nera: Wolves, lupi. Gaetano, 33 anni, è uno dei piloti alla sua quindicesima missione sulla Libia. Tenente di vascello, tuta color sabbia, ha una moglie ed un figlio di 2 anni che lo attendono in Sicilia. Gli italiani non bombardano nei centri abitati. “Ci portiamo dietro delle fotografie per identificare con certezza l’obiettivo e abortiamo la missione se abbiamo il solo sospetto che ci siano dei civili” sottolinea il pilota dei caccia bombardieri. Per lui è il battesimo del fuoco, con bombe di 250 e 500 chili. “Quando abbiamo centrato un bunker l’attacco ha provocato una serie di esplosioni secondarie con zampilli rossastri, che sollevavano un’ alta colonna di fumo nero” racconta Gaetano. I caccia bombardieri italiani avevano fatto centro colpendo un arsenale che alimentava i pretoriani del colonnello Gheddafi.
La portaerei Garibaldi, base in mezzo al mare da dove partono le sortite, è l’ammiraglia della flotta Nato che con il mandato delle Nazioni Unite sta fiaccando il regime del colonnello.
A bordo vivono circa 800 marinai, comprese 62 donne, che da tre mesi sono in prima linea nel Mediterraneo. A parte gli aerei che decollano con le bombe e tornano senza, la guerra in Libia giunge un po’ ovattata, oltre la linea dell’orizzonte.
La portaerei non dorme mai e alle 7 del mattino rimbombano per altoparlante le notizie operative accompagnate dal santo del giorno. Non mancano frasi come “ridi di te stesso e sarà una vita di divertimento gratis” seguite dalle strofe di Rino Gaetano, “Ma il cielo è sempre più blu”.
Il ventre della portaerei, che ha 11 piani, è un dedalo di stretti corridoi, ripide scalette e boccaporti. L’equipaggio vive in alloggi con 6 o 12 cuccette. Il ponte di volo è off limit e chi lavora all’aperto per lanciare gli aerei e far atterrare gli elicotteri si reputa fortunato di “poter vedere il sole e le stelle”. Altri chiamano a casa la moglie per chiedere “se esistono ancora i prati ed i palazzi”.
“E’ il nostro mondo, una specie di Grande fratello all’ennesima potenza, dove si vive in ambienti ristretti come una famiglia. Non ci sono certo sale da ballo” spiega con un sorriso Ivana Carrieri, 28 anni, di Grottaglie in provincia di Taranto. Bella e con la frangetta è una veterana rispetto a Sabina, 19 anni, di Lecce, che in febbraio si è arruolata ed in aprile era in “guerra” sulla Garibaldi. “Quando sfoglierò l’album dei ricordi potrò dire io c’ero” osserva con entusiasmo la giovane volontaria.
Nave Garibaldi è la parrocchia sul mare di un prete con le stellette, don Vincenzo Caiazzo, 32 anni, di Taranto, che celebra la messa nella mensa o nell’hangar dove vengono calati caccia bombardieri ed elicotteri. “Curo le anime della portaerei - spiega il cappellano militare - Le grandi domande della vita vengono suscitate da queste missioni”. Da lui vanno i giovani che devono scegliere una strada per il futuro, ma pure i lupi di mare lontani dalla famiglia. “Militare non è necessariamente sinonimo di guerra - osserva il sacerdote - L’Italia sta proteggendo i diritti umani e dei popoli. Per questo siamo in mezzo al mare”.
Non solo per bombardare, ma per garantire l’embargo navale. I fanti di marina del reggimento San Marco si calano dagli elicotteri per ispezionare i mercantili sospetti, che potrebbero trasportare armi o rifornimenti per il regime di Gheddafi. Non solo: al largo di Misurata, la terza città del paese, in mano ai ribelli, ma sotto assedio, la Nato ha intercettato mine ed un barchino esplosivo con una tonnellata di esplosivo Semtex. L’intelligence segnala che sui barconi dei disgraziati in partenza dalla Libia per raggiungere Lampedusa ci potrebbero essere dei terroristi camuffati da clandestini. Se unità della Nato o un elicottero si avvicinano si farebbero saltare in aria con delle cinture esplosive.
La missione della Garibaldi costa poco più di 130mila € al giorno. Le paghe delle reclute e dei sottufficiali più anziani, il grosso dell’equipaggio, variano da un minimo di 1000 a 3000€. Non si va in guerra sul mare solo per soldi. Giuseppe Rinaldi, 28 anni, di Bisceglie, è uno dei nocchieri della portaerei. “Nel 2007 mi sono iscritto alla facoltà di giurisprudenza a Bari - spiega il barbuto marinaio - Porto i libri in navigazione e preparo gli esami per laurearmi”. Sull’intervento italiano ha le idee chiare: “E’ una missione di guerra finalizzata a garantire pace e libertà al popolo libico”.
Per rilassarsi i marinai hanno ricavato una palestra negli angusti spazi sottocoperta. Quando cambia il turno di guardia notturno viene sfornata la croccante e gustosa pizza di “mezzanotte”, una tradizione della marina militare. Internet è a disposizione un giorno alla settimana per reparto.
Qualcuno si fa spedire dei video dai propri cari, come Maria Impinto, 36 anni, di Napoli. A terra ha lasciato due bimbi piccoli di 3 e 5 anni. La mamma marinaio non ha dubbi: “Vengo da una famiglia di militari ed arruolarmi era il mio sogno. Speriamo che pure i mie figli seguano questa strada”.








[continua]

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