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Articolo
03 luglio 2011 - Esteri - Afghanistan - Il Giornale |
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Il ritiro graduale è un buon affare per tutti |
Altro che precipitoso ritiro, in Afghanistan dobbiamo stringere i denti e tenere i nervi saldi, sotto gli attacchi talebani. Proprio per poter tornare a casa entro pochi anni e garantire al disgraziato paese al crocevia dell’Asia una speranza di pace attraverso lavoro e sviluppo. L’obbiettivo è la graduale consegna agli afghani del testimone della sicurezza e la realizzazione di grandi opere nel settore ovest, sotto comando italiano, che diano ossigeno economico all’Afghanistan.Tra queste un gasdotto strategico, che dall’ex repubblica sovietica del Turkmenistan arrivi in Pakistan e poi in India. Il ministro del petrolio di Nuova Delhi, S. Jaipal Reddy, lo ha definito «la nuova via della seta del XXI secolo». Ad ogni caduto sul fronte afghano la Lega si è sostituita ai comunisti di Rifondazione nel chiedere il rompete le righe e tutti a casa. In realtà la transizione è già avviata, ma per non trasformarsi in disfatta, come accadde ai sovietici negli anni Ottanta, deve procedere per gradi. Ventiquattro ore fa è scattato a Herat, dove si trova il quartier generale italiano, il cosiddetto «implementation plan» previsto dalla Nato. Nel giro di sei mesi la sicurezzadella più grande città dell’ovest passerà nelle mani delle forze afghane. Il ritiro di 10mila soldati americani quest’anno (un decimo del loro contingente) e altri 20mila entro il 2012 non deve scatenare l’effetto domino. Per questo motivo gli italiani riporteranno a casa verso dicembre o gennaio del prossimo anno al massimo 200 uomini: un ritiro simbolico che permetterà di mantenere sul terreno 4mila soldati. Ma nel 2012 inizierà la seconda e più consistente fase del passaggio di consegne agli afghani. Si tratterà di gran parte della provincia di Herat, una delle quattro sotto comando italiano e della fetta più tranquilla di Farah. Rientri a casa più consistenti delle nostre truppe verranno decisi al vertice di maggio 2012 della Nato. L'obiettivo finale è consegnare tutto l’Afghanistan alle sue forze di sicurezza entro il 2014, ma le armi non bastano per vincere. In parallelo bisogna riempire la pancia degli afghani con lavoro e sviluppo. Il prossimo anno è previsto il via ai lavori per un gasdotto di 1.680 chilometri, che partirà dal Turkmenistan per raggiungere l’India via Afghanistan e Pakistan. I tubi verranno interrati a fianco della Ring road, la strada circolare che collega tutto l’Afghanistan, nel tratto da nord di Herat fino a Kandahar, per poi scendere a Quetta, in Pakistan. E proseguire fino alla città indiana di Fazilka. La stessa Ring road che i soldati italiani, nel corso degli anni, hanno reso percorribile versando il sangue di 39 militari. Non a caso dal 2010 il nostro contingente ha conquistato sempre più terreno ai talebani attorno a Bala Murghab, in direzione del confine turkmeno. L’obbiettivo è rendere sicura l’area e asfaltare l’unica strada, nome in codice Lithium, che arriva alla Ring road. Così potranno iniziare i lavori per il gasdotto. La ricaduta per l’Afghanistan viene quantificata in migliaia di posti di lavoro per la costruzione, 2 miliardi di metri cubi di gas e circa 1,4 miliardi di dollari l’anno per diritti di passaggio. La Saipem, ma pure l’Eni e l’Enel sono interessati a mettere in piedi le infrastrutture collegate al gasdotto e ad altri progetti energetici. L’Italia punta a grandi centraleidroelettriche come quella della diga di Salman, all’allargamento commerciale dell’aeroporto di Herat e allo sfruttamento di risorse preziose del sottosuolo, presenti nella zona ovest, come il litio. I talebani lo sanno e si stanno concentrando per colpire. La trappola di ieri è esplosa sulla statale 515, da Bakwa a Farah, dove installeremo un nuovo avamposto. La scorsa settimana la polizia afghana ha intercettato un camion carico di mine per le trappole esplosive, detonatori e cinture kamikaze che cercava di entrare ad Herat. L’attacco suicida all’hotel Intercontinental di Kabul di martedì e quello simile del 30 maggio al Centro di ricostruzione provinciale degli italiani ad Herat puntano a far deragliare la transizione. Un motivo in più per tener duro e portare a termine la missione afghana. www.faustobiloslavo.eu |
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28 ottobre 2012 | TG5 | reportage
Afghanistan: un botto e la polvere dell'esplosione che invade il blindato
L’esplosione è improvvisa, quando meno te l’aspetti, lungo una pista arida, assolata e deserta. I soldati italiani si sono infilati fra le montagne di Farah nell’Afghanistan occidentale infestato da talebani. Una colonna di fumo alta una quindicina di metri si alza verso il cielo.
Il tenente Davide Secondi, 24 anni, urla alla radio “siamo saltati, siamo saltati” su un Ied, le famigerate trappole esplosive disseminate dai talebani.
Non hai neppure il tempo di capire se sei vivo o morto, che la polvere invade il super blindato Cougar fatto apposta per resistere a questi ordigni.
E’ come se la mano del Dio talebano afferrasse il bestione da 14 tonnellate in movimento fermandolo come una macchinina giocattolo.
A bordo siamo in cinque ancorati ai sedili come in Formula uno per evitare di rimbalzare come birilli per l’esplosione.
La più esposta è Mariangela Baldieri, 24 anni, del 32° genio guastatori alpini di Torino. Addetta alla mitragliatrice, metà del corpo è fuori dal mezzo in una torretta corazzata. Si è beccata dei detriti e sul primo momento non sente dall’orecchio destro.
Almeno venticinque chili di esplosivo sono scoppiati davanti agli occhi di Alessio Frattagli, 26 anni, al volante. Il caporal maggiore scelto Vincenzo Pagliarello, 31 anni, veterano dell’Afghanistan, rincuora Mariangela.
Siamo tutti illesi, il mezzo ha retto, l’addestramento dei guastatori ha fatto il resto. Cinquanta metri più avanti c’era un’altra trappola esplosiva. Il giorno prima a soli venti chilometri è morto in combattimento l’alpino Tiziano Chierotti. La guerra in Afghanistan continua.
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20 maggio 2009 | Matrix | reportage
Afghanistan - guerra o pace
Finalmente un lungo dibattito sulla crisi nel paese al crocevia dell'Asia. Alessio Vinci conduce su Canale 5 alle 23.30 AFGHANISTAN GUERRA E PACE. Una puntata tosta con il ministro della Difesa Ignazio La Russa, il segretario di Rifondazione comunista Paolo Ferrero, il collega Pietro Suber e Fausto Biloslavo.
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07 giugno 2010 | Porta a Porta | reportage
Un servizio sulle guerre di pace degli italiani
Le “guerre” di pace degli italiani sono iniziate nel 1982, con la prima importante missione all’estero nel martoriato Libano, dopo il conflitto fra israeliani e palestinesi.
Oggi sono quasi diecimila i soldati italiani impegnati nel mondo in venti paesi. Oltre alla baionette svolgiamo un apprezzato intervento umanitario a favore della popolazione. Dall’Africa, ai Balcani, al Medio Oriente, fino all’Afghanistan non sempre è una passeggiata per portare solo caramelle ai bambini.
Nel 1991, durante la guerra del Golfo, un caccia bombardiere italiano è stato abbattuto dalla contraerea irachena. Il pilota Gianmarco Bellini ed il navigatore Maurizio Cocciolone sono rimasti per 45 giorni nelle cupe galere di Saddam Hussein. Quella in Somalia, è stata una missione sporca e dura, macchiata da casi isolati di torture e maltrattamenti. Al check point Pasta, a Mogadiscio, i paracadutisti della Folgore hanno combattuto la prima dura battaglia in terra d’Africa dopo la seconda guerra mondiale.
Alla fine del conflitto etnico siamo intervenuti a pacificare la Bosnia. Per il Kosovo, nel 1999, l’aeronautica militare ha bombardato i serbi effettuando 3mila sortite. Una guerra aerea di cui non si poteva parlare per opportunità politiche.
Dopo l’11 settembre i focolai di instabilità sono diventati sempre più insidiosi, dall’Iraq all’Afghanistan. Nel 2003, con la missione Antica Babilonia a Nassiryah, i nostri soldati sono rimasti coinvolti nelle battaglie dei ponti contro i miliziani sciiti. In sole 24 ore gli italiani hanno sparato centomila colpi.
Siamo sbarcati di nuovo in Libano dopo il conflitto fra Israele ed Hezbollah, ma la nostra vera trincea è l’Afghanistan. Con i rinforzi previsti per l’estate arriveremo a 4mila uomini per garantire sicurezza nella parte occidentale del paese, grande come il Nord Italia, al confine con l’Iran. Herat, Bala Murghab, Farah, Bala Baluk, Bakwa, Shindad sono i nomi esotici e lontani dove fanti, alpini, paracadutisti combattono e muoiono in aspri scontri e imboscate con i talebani o attentati. Dal 1982, nelle nostre “guerre” di pace, sono caduti 103 soldati italiani.
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14 luglio 2011 | Nuova Spazio Radio | intervento |
Afghanistan
Si può vincere questa guerra?
Dopo la morte in combattimento dell'ultimo parà della Folgore, fino a quanto dovremo restare in Afghanistan? Almeno fino a quando gli afghani riusciranno a garantirsi da soli la sicurezza, altrimenti caliamo le braghe e la diamo vinta ai talebani. Per sconfiggerli non basta la forza delle armi.
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