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21 luglio 2011 - Esteri - Libia - Il Giornale
Dietrofront di Parigi su Gheddafi: può restare ma non al potere
Gheddafi può rimanere in Li­bia, a patto che si chiami veramen­te fuori dalla scena politica. In sin­tesi è questa la retromarcia, per certi versi clamorosa, del ministro degli Esteri francese, Alain Juppé, sulla guerra in Libia. Ci sono voluti quattro mesi di bombardamenti, un paese ricco di petrolio spacca­to in due e una fastidiosa sensazio­ne di stallo militare, o ancora peg­gio pantano, in cui ci siamo infilati per far scoprire alla Grandeur l’ac­qua calda.
Riferendosi a Muammar Ghed­dafi, che la Nato non riesce a schio­dare da Tripoli, il capo della diplo­mazia francese ha affermato in un’intervista: «Una delle ipotesi a cui si pensa è che rimanga in Libia, ma a condizione che si distanzi con chiarezza dalla vita politica». All’inizio il colonnello avrebbe do­vuto finire alla sbarra per crimini di guerra, poi hanno tentato di in­cenerirlo con un missile, alla fine speravano in un esilio ed ora pure i francesi, che hanno dato fuoco al­le polveri della crisi libica, scendo­no a più miti consigli. Un diploma­tico che segue da vicino la faccen­da sentenzia: «Siamo finalmente di fronte a una mossa di saggio rea­lismo ».
Nell'intervista al canale tv
Lci il ministro degli Esteri Juppé sostie­ne pure che la spada di Damocle del mandato di cattura internazio­nale per crimini di guerra, penden­te s­ulla testa di Gheddafi e di suo fi­glio Seif al Islam «al momento non viene discussa». In pratica faccia­mo finta di niente e cerchiamo una via d'uscita onorevole per tut­ti. L'obiettivo è una tregua, il più de­finitiva possibile, ma «il cessate il fuoco - spiega Juppé - dipenderà dalla reale e formale intenzione di Gheddafi di abbandonare il suo ruolo politico e militare».
Al colonnello, per ora, basta so­pravvivere e non perdere la faccia.
Non sarà facile far digerire ai ribelli una soluzione del genere, ma alme­no bisogna­comin­ciare con un nego­ziato diretto e con­creto
fra Bengasi, roccaforte della ri­volta e Tripoli, do­ve comanda ancora Gheddafi.
Il cessate il fuoco, secondo fonti de Il Giornale , dovrà venir garanti­to da una forza di interposizione militare internazionale, o quanto­meno da osservatori probabil­mente sotto il cappello dell’Unio­ne africana. L’Italia spinge sulla
strada del negoziato Bengasi-Tri­poli, cessate il fuoco e controllo in­ternazionale. Il rischio è che la Li­bia rimanga divisa in due, ma si ipotizza pure uno stato federale fra Cirenaica, Tripolitania e zona berbera.
Il vero obiettivo saranno libere elezioni e una Libia democratica, dove il colonnello potrà anche sta­re in disparte, ma i suoi sostenitori non si faranno certo fregare rima­nendo
fuori dal giro. La Russia spinge apertamente per la fine dei bombardamenti e la via negoziale. Ieri a Mosca è stato ricevuto il ministro degli Esteri di Tripoli, Abdelati al Obeidi, che ha ribadito come «la questione della partenza di Gheddafi non faccia parte dei negoziati. Non ha inten­zione di lasciare il paese». L’esilio «sicuro»,invece,gli è stato notifica­to dagli americani che hanno in­contrato sabato scorso in Tunisia, il segretario del colonnello e uo­mo di fiducia Bashir Saleh.
Nel frattempo i combattimenti continuano soprattutto attorno a Brega, il terminal petrolifero stra­tegico lungo la strada costiera da Sirte a Bengasi. I ribelli sostengo­n­o di aver circondato e in parte pre­so la città,
ma i soldati del colonnel­l­o resistono ancora nel centro. Nel­le ultime ore gli anti Gheddafi han­no perso 18 uomini e 150 sono ri­masti feriti. A Parigi una delegazio­ne di ufficiali ribelli in visita ha chiesto più armi al governo france­se.
www.faustobiloslavo.eu
[continua]

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