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26 agosto 2011 - Esteri - Libia - Il Giornale
Ecco dove resistono i fedelissimi del regime
Non si combatte solo a Tripoli, nelle ul­time sacche di resistenza dei fedelissimi di Gheddafi, dove lo stesso colonnello po­trebbe nascondersi, ma pure ad ovest e ad est della capitale. Da Sirte, la città natale sulla costa dell’ex padre-padrone del pae­se a Shebaa, la roccaforte nel sud deserti­co il rischio è che la Libia si trasformi nel nuovo Irak. Almeno fino a quando il colon­nello continuerà a lanciare appelli alla re­sistenza contro i ribelli. Un nuovo Irak sen­za truppe straniere, ma solo con attacchi dal cielo della Nato. Nella capitale come il fronte dei ribelli avanza per concentrarsi sulle zone dove sventola ancora la bandie­ra verde di Gheddafi, alle spalle resta l’anarchia.
A Tripoli i lealisti sono asserragliati nel
grande quartiere di Abu Slim, dove ogni cinquecento metri c’era un posto di bloc­co dei miliziani con la fascia verde di Ghed­dafi. Soprattutto civili, armati fin da mar­zo, che ascoltavano a tutto volume «zenga zenga», la canzoncina rap ispirata dal fol­le discorso di Gheddafi quando voleva sni­dare «vicolo per vicolo» i ribelli a Bengasi. La situazione è totalmente incerta an­che nel quartiere di al Hadba tradizional­mente fedele al colonnello e Mansoura, dove sono stati liberati i quattro giornali­sti italiani rapiti martedì. Una battaglia a colpi di cecchini è scoppiata ieri davanti al Corinthia, un hotel vicino al mare e alla piazza Verde, che ospita alcuni media. Ti­ratori scelti erano ancora in azione attor­no a Bab al Azizya, l’ex bunker di Gheddafi espugnato, dove sono stati trovati i cada­v­eri di 17 civili uccisi sommariamente pri­ma della sconfitta. Le avvisaglie di una de­riva irachena sono i 30 corpi senza vita fil­mati in una caserma di Gheddafi. Militari o volontari del colonnello giustiziati sul posto. Alcuni erano in barella, ammanet­tati o incappucciati.
Se a Tripoli si continua a sparare e a dare la caccia a Gheddafi, alla sua famiglia e ai gerarchi del regime, non c’è pace neppu­re nel resto del paese. Lungo la strada co­stiera verso ovest, a 109 chilometri dalla capitale, la città di Zuwarah, da dove parti­vano i clandestini per Lampedusa, è cir­condata dai governativi. Il colonnello Ab­dul Salem, comandante degli insorti, ha lanciato un appello alle città liberate vici­ne, ma nessuno sembra accorrere in aiu­to. Il principale posto di confine con la Tu­nisia di Ras Jadir è ancora chiuso e la parte libica in mano agli uomini di Gheddafi.
La situazione più esplosiva si registra ad est di Tripoli, nel golfo della Sirte. I go­vernativi si sono ritirati dai terminal petro­liferi
di Brega e Ras Lanuf, ma sembrano decisi a montare l’ultima difesa nella valle Rossa, vicino a Ben Jawad, da dove lancia­no una valanga di razzi contro i ribelli. E Sirte, la città natale del colonnello, a 480 chilometri da Tripoli, è quasi assediata. Gli insorti avanzano su di essa da Misura­ta, la terza città del paese che si è ribellata fin da febbraio. Martedì e mercoledì si è cercato di trattare la resa con le tribù, ma ieri la parola è passata alle armi. E i ribelli sono stati respinti dai fedelissimi del co­lonnello che hanno ancora missili Scud da lanciare. Ahmed Bani, portavoce degli insorti, ha spiegato che agli irriducibili di Sirte «è stato lasciato aperto un varco ver­so sud». L’unica strada che possono per­correre è quella che passa per Beni Walid, la «capitale» dei Warfalla, la tribù più va­sta del paese con due milioni di membri. Fino all’offensiva nella capitale, Beni Wa­lid era in mano ai miliziani tribali alleati di Gheddafi.
Nel deserto meridionale i lealisti posso­no contare,
almeno in parte su Shebaa, ul­tima ridotta del regime nella vasta regione del Fezzan. Il forte di Shebaa, costruito da­gli italiani durante le colonie, svetta sulle banconote libiche. Gheddafi ha trasfor­mato l’area in una grande base militare, che negli ultimi sei mesi di guerra ha ga­rantito una via di rifornimento cruciale al­la Tripolitania.
www.faustobiloslavo.eu
[continua]

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