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28 agosto 2011 - Esteri - Libia - Il Caffè
Tutti sul carro dei vincitori
In Svizzera ci sono diversi personaggi che potrebbero giocare un ruolo nel futuro della Libia. Imprenditori e finanzieri, antiche famiglie legate alla monarchia dei Senoussi e pure esponenti di spicco dei Fratelli musulmani” spiega a Il Caffè un diplomatico europeo, che fin dal primo giorno era coinvolto nella crisi libica.
La partita militare è agli sgoccioli, con la caduta del regime di Gheddafi, ma adesso si apre quella politica, per il controllo del Paese ricco di gas e petrolio. Il rischio è che non si tratti di una transizione indolore. “Ad Olten hanno vissuto in esilio per 18 anni Suleiman Abd al Qadir e Ahmad al Qusair, esponenti di spicco dei Fratelli musulmani. In questi giorni sono rientrati a Tripoli e stanno organizzando il primo congresso nazionale della Fratellanza in Libia” spiega Sergio Bianchi esperto di Islam, che li ha incontrati.
Nel Paese retto per 42 anni dal colonnello, le tribù, gli ex uomini del regime, la frammentazione dei ribelli e gli estremisti islamici rischiano di provocare un cocktail esplosivo. Ci vorrebbe la sfera di cristallo per capire cosa accadrà, ma è opinione comune nelle cancellerie occidentali “che gli uomini del domani devono ancora mostrare il loro volto. Molti sono rimasti alla finestra all’estero, magari finanziando alcune milizie e usciranno allo scoperto al momento giusto”.
Il Consiglio nazionale di transizione, l’autogoverno dei ribelli a Bengasi, è in parte dominato da ex uomini di Gheddafi. Mustafà Abdul Jalil, il “presidente”, era ministro della Giustizia del regime fino all’inizio della rivolta sei mesi fa. Il primo ministro provvisorio, Mahmoud Jibril, pur con ruoli minori aveva lavorato con Gheddafi al potere soprattutto nel campo economico. Ali al Issawi, altro esponente di spicco del Consiglio, è pure lui un ex. In molti del vecchio regime cercheranno di saltare sul carro del vincitore, ma i ribelli che hanno impugnato le armi non li vedono di buon occhio. Il comandante in capo dei ribelli, generale Abdel Fattah Younes, ex ministro dell’Interno di Gheddafi, è stato ucciso da miliziani dell’Unione delle forze rivoluzionarie, una federazione di gruppi armati della Cirenaica.
Fra gli ex ci sono personaggi come Abdel Saleem Jallud, che fino agli
inizi degli anni Novanta era il numero due del regime, poi caduto in disgrazia. Fuggito da Tripoli, poco prima del crollo, è arrivato in Italia grazie ai servizi segreti. Da Roma ha annunciato di voler formare “un partito politico nazionalista, laico e liberale”, per il futuro della Libia.
Il Consiglio transitorio ha sempre detto che rimarrà al potere il tempo necessario per portare il Paese alle elezioni. Sulla transizione, però, peseranno le divisioni fra la Cirenaica, dove è nata la rivolta e la Tripolitania, feudo di Gheddafi. Non solo: i ribelli non solo berberi calati sulla capitale dalle montagne sud occidentali reclameranno la loro parte di potere come “liberatori” di Tripoli. Le tribù vorranno il loro posto al sole a cominciare da quella maggioritaria dei Warfalla spaccata fra pro e contro Gheddafi. Gli Obeidi, la più importante in Cirenaica, ha il dente avvelenato per l’esecuzione del generale Younes, figura di spicco del clan. A Tripoli, l’uomo forte, è Abdel Hakim Belhadj, fondatore del Gruppo combattente islamico armato, ex affiliato ad al Qaida. Difficile che gli oltranzisti islamici prendano il potere, ma possono influenzarlo, come stanno già facendo i Fratelli musulmani. La potente congregazione sunnita, con affiliati libici di spicco in esilio in Svizzera, è la forza religiosa più organizzata e dominante.

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Il governo italiano, dopo una telefonata fra il presidente americano Barack Obama ed il premier Silvio Berlusconi, annuncia che cominciamo a colpire nuovi obiettivi di Gheddafi. I giornali titolano: "Bombardiamo la Libia". E prima cosa facevamo? Scherzavamo con 160 missioni aeree dal 17 marzo?

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06 marzo 2011 | Panorama | intervento
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