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22 ottobre 2011 - Il Fatto - Libia - Il Giornale
Mistero sulla cattura di Saif. Aisha medita vendetta
I figli combattenti del colonnello, quel­li con gli attributi, sono morti o dispersi. Uno è stato incenerito dalle bombe della Nato che dovevano centrare il padre. Altri tre se la sono data a gambe fuggendo in Ni­ger e Algeria. E l’unica femmina, colta ieri da malore alla vista dell’esecuzione som­maria dell’amato genitore, medita vendet­ta dall’esilio. Gli otto figli di Gheddafi so­no finiti nella polvere dopo essere stati messi su un piedistallo dall’Onu o da Hil­lary Clinton.
Rimane incerta la sorte del delfino, Saif el Islam,la Spada dell’Islam,il pargolo«in­telligente » e politico del colonnello. Lo avevano dato per morto nella sacca di Sir­te, come il padre. Poi avvistato in fuga ver­so sud con tre macchine blindate, proba­bilmente diretto in Niger. I miliziani di Zli­ten, vicino Misurata, hanno annunciato di averlo intercettato ingaggiando un aspro scontro a fuoco. Il delfino di Ghed­dafi sarebbe rimasto ferito al basso ven­tre. «I medici lo stanno curando e appena sarà possibile mostreremo le immagini ­dicevano i ribelli- . Vogliamo tenerlo in vi­ta
per assicurarlo alla giustizia». Poche ore dopo sonora smentita delle stesse mili­zie di Zliten, che riapre il giallo. Trentotto anni, il delfino ora ricercato per crimini di guerra era vezzeggiato in Europa, dove aveva studiato, da vip vari come Marta Marzotto. Se fosse vivo mediterebbe sicu­ramente vendetta. Pochi giorni fa aveva in­citato i suoi a rapire gli occidentali.
Invece è andata peggio a Mutassim-Bil­lah, 34 anni, ex Consigliere della sicurezza finito nelle mani dei rivoluzionari a Sirte assieme al padre e massacrato. Moham­med al Bibi, il ragazzino immortalato con la pistola d’oro del colonnello,non avreb­be sparato al dittatore, ma a Mutassim. Una foto mostra il suo cadavere su un letto
d’ospedale, con la barba lunga, una ferita alla gola, il cranio fracassato e i capelli alla hippy. La stessa chioma che lo immortala in un lucido completo marrone al fianco di una sorridente Hillary Clinton, nel­l’aprile 2009 a Washington. Il 29 agosto era toccata a Khamis. Il suo mezzo sareb­be stato preso in pieno da un elicottero Apache, mentre sfrecciava in colonna dal­la capitale, oramai caduta, verso il santua­rio di Bani Walid. Figlio militare del colon­nello, soprannominato il «macellaio», co­mandava la 32˚ brigata, i baschi rossi, un corpo di élite del regime. Durante la rivol­ta lo avevano già dato per morto tre volte. Il primo del clan a cadere sotto le bom­be della Nato era stato Seif el Arab, 29 an­ni, ucciso a Tripoli. I caccia avevano cen­trato la sua casa, dove c’era il colonnello che si è salvato per un soffio. A Monaco di Baviera aveva studiato, ma se lo ricorda­no ancora per le risse nelle discoteche.
Altri quattro figli sono sopravvissuti fug­gendo all’estero. Al Saadi, 37 anni, che ha trovato rifugio in Niger, era più noto come
viveur e scarso giocatore di calcio in Italia. Tripoli intende processarlo per omicidio. In Algeria è fuggito il grosso del clan so­pravvissuto, compresa la seconda moglie di Gheddafi, che i rivoluzionari libici vo­gliono farsi consegnare. Il più innocuo è Mohammed, arrestato dai ribelli a Tripoli e poi liberato con un’azione di forza.Il pri­mogenito, 41 anni, si è sempre chiamato fuori dal sangue versato dal regime. Con lui c’è Hannibal,il figlio scemo,33 anni,di­ventato famoso per aver alzato le mani su una domestica a Ginevra.
La vera combattente in esilio, legatissi­ma al padre, è Aisha, la «Claudia Schiffer del Nord Africa». Trentaquattro anni, av­vocato, ha fatto parte del collegio di difesa di Saddam Hussein. Dal 2009, fino a pochi mesi fa, era ambasciatrice benefica del­l’Onu per il suo impegno nella lotta all’Ai­ds. Ad Algeri ha partorito la sua ultima fi­glia e giurato vendetta se avessero torto un capello a papà.

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