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23 ottobre 2011 - Esteri - Libia - Il Caffè
Gheddafi divide la Libia anche da morto
La tragica fine nella polvere e nel sangue di Muammar Gheddafi è una piazzale Loreto in salsa libica. I dittatori andrebbero processati e condannati anche a morte, se lo meritano, ma la giustizia sommaria, sul bordo di una strada, non è il migliore biglietto da visita per la speranza di democrazia in Libia. L'esecuzione del ricercato numero uno, catturato ancora vivo, solleva l'ennesimo, pesante, punto di domanda sulla guerra della Nato spacciata fin dall'inizio come "umanitaria". Il sangue del linciaggio del colonnello e dell'eliminazione di suo figlio Mutassin, che ha solo potuto fumare un'ultima sigaretta prima di morire, ripreso in un video dai ribelli, imbratta un po' anche le nostre mani.
In ogni caso il colonnello conosceva già il suo destino e me lo aveva annunciato il 15 marzo, nell'ultima intervista ad un giornalista italiano sotto la tenda beduina a Bab al Azizya, la sua cittadella fortificata nel cuore di Tripoli. Davanti al vento di rivolta araba il presidente tunisino Ben Alì era scappato con la coda fra le gambe e il faraone Hosni Mubarak è finito sotto processo su una barella. "Sono ben diverso da loro - aveva tuonato il colonnello - Non ho paura". Neppure di morire a 69 anni con la pistola d'oro che portava sempre con sè,  strappata via da un ragazzino.
Nell'inutile e accanita resistenza di Sirte, dove Gheddafi era nato, l'ultima roccaforte di un regime dissolto, ha mantenuto la folle promessa di morire da "martire", come già lo considerano i suoi. E qualcuno nelle cancellerie e nei servizi segreti occidentali ha tirato un sospiro di sollievo. Il colonnello, in realtà, è finito in un trappolone: i mezzi di ascolto della Nato lo hanno intercettato e un velivolo senza pilota Usa seguiva il convoglio dell'ex Rais che cercava di spezzare la sacca di Sirte. Due Mirage francesi hanno centrato la scorta più ponderosa,  i ribelli hanno fatto il resto, il lavoro sporco. Gheddafi vivo e alla sbarra avrebbe messo in piedi uno show mediatico rivelando segreti imbarazzanti per tanti ex amici in Occidente. Sapeva troppo, da Lockerbie ad Ustica, sulle prebende del petrolio, sugli aiutini per la liberazione di ostaggi occidentali in giro per il mondo, sulla guerra al terrorismo e chissà cos'altro. Tutti ricordi indelebili di quando il colonnello era ancora riverito dagli stessi leader europei che con i bombardamenti gli hanno dato il colpo di grazia.
Non è ancora chiara la sorte del delfino del regime, Seif, la spada dell' Islam, che continua ad essere ricercato per crimini di guerra assieme ad Abdullah al Senussi, capo dei servizi segreti. Il figlio ed il cognato di Gheddafi, fino a quando saranno in giro, continueranno a destabilizzare la Libia meditando vendetta. E lo stesso farà la battagliera figlia,  Aisha, in esilio ad Algeri. La morte del colonnello è una svolta che i libici attendevano per voltare definitivamente pagina, ma adesso la strada non è in discesa. Il nuovo governo, che dovrebbe portare il Paese alle prime  elezioni libere, non è ancora nato a causa delle profonde divisioni fra laici, in gran parte ex di Gheddafi passati con i ribelli e le fazioni islamiche più integraliste. Ci sono troppe armi in giro e milizie a base tribale o locale che rispondono solo ai loro comandanti. L'antica divisione fra Cirenaica, culla della rivolta ad est e Tripolitania per mesi fedele a Gheddafi ad ovest, con l'aggiunta dei berberi calati sulla capitale dalle montagne è ancora esplosiva. Non solo: a Misurata, la martire, i difensori della terza città del Paese, vogliono fare di testa loro.
L'ultimo scontro con il Consiglio transitorio di Bengasi, che si è insediato a Tripoli per guidare la Libia fuori dal tunnel, è sulla tragica fine di Gheddafi. Nella capitale lo volevano vivo, ma i miliziani di Misurata lo hanno ucciso ed il colonnello è ingombrante pure da morto. I ribelli si sono divisi anche su dove e come seppellirlo.

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30 marzo 2011 | Mattino Cinque | reportage
Diario dalla Libia in fiamme
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05 aprile 2011 | Studio Aperto | reportage
Diario dalla Libia in fiamme
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01 luglio 2019 | TG4 | reportage
#IoNonStoConCarola
“Io non sto con Carola”, la capitana trasformata in eroina per avere violato la legge. E bisognerebbe dirlo forte e chiaro per rompere questa illusione di solidarietà maggioritaria pompata ad arte dalla sinistra, da Ong talebane dell’accoglienza, una bella fetta dela Chiesa e dai pezzi da novanta del facile buonismo radical chic come Saviano, Fazio, Lerner e Murgia. Per non parlare del governo tedesco e francese, che con una faccia di bronzo unica, ci fa la morale sulla capitana. Ovviamente è passato sotto silenzio un sondaggio del 27 giugno su Rai3, non proprio una rete mangia migranti, che svelava come il 61% degli italiani fosse contrario all’attracco della nave Sea watch a Lampedusa, ancora prima dell’epilogo forzato deciso dalla capitana. Se al volante della tua automobile trovi lungo la strada un carabiniere con la paletta che intima l’alt, cosa fai? Accosti e non sfondi il posto di blocco. Se speroni la macchina dell’Arma vieni rincorso armi in pugno e ti arrestano, ancor più se a bordo hai dei clandestini. E nessuno si sognerebbe di alzare un dito in tua difesa con pelose giustificazioni umanitarie. Carola Rackete ha sfondato il blocco ordinato dal Viminale, violato la legge, speronato una motovedetta mettendo in pericolo la vita dei finanzieri a bordo e la stanno trasformando in un’eroina dei due mondi. Non solo: da oggi potrebbe essere libera e bella. Un mondo alla rovescia dove le Ong si sostituiscono agli stati e fanno quello che vogliono calpestando la sovranità nazionale del nostro paese. Per non parlare del paradosso che Sea watch, grazie al polverone sollevato, ha pure incassato oltre un milione di euro con raccolte fondi in Germania e in Italia per la difesa dell’eroina dei due mondi. Carola ha agito in stato di necessità per “salvare vite umane” sostegno i suoi fan. Ma se vogliamo salvare veramente i migranti in Libia, a cominciare da quelli rinchiusi nei centri di detenzione, dobbiamo continuare a riportarli a casa loro come sta facendo a rilento e fra mille difficoltà una delle agenzie dell’Onu, difficile da paragonare a SS moderne. E non andarli a prendere al largo della Libia come ha fatto la capitana, che rimane indagata per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. E piuttosto che sbarcarli in Tunisia il posto più vicino a sicuro li ha portati dritta, dritta in Italia per creare un caso politico usando come paravento “le vite salvate in mare” La dimostrazione è la pattuglia di parlamentari di sinistra salita a bordo in favore di telecamere. L’obiettivo finale dei talebani dell’accoglienza è tornare a spalancare le porte dell’Europa agli sbarchi di massa del passato con 170mila arrivi all’anno in Italia Non si tratta di parteggiare per Salvini o il governo, ma di smetterla di farci prendere in giro trasformando la capitana che ha violato scientemente la legge in un’eroina. Per questo gli italiani, primi fra tutti i moderati dotati di buon senso, dovrebbero dire forte e chiaro “io non sto con Carola”.

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22 marzo 2011 | Panorama | intervento
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10 marzo 2011 | Panorama | intervento
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09 marzo 2011 | Panorama | intervento
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08 marzo 2011 | Panorama | intervento
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12 maggio 2011 | Nuova spazio radio | intervento
Libia
Che fine ha fatto Gheddafi?
Il colonnello Gheddafi è morto, ferito oppure in perfetta forma, nonostante le bombe, e salterà fuori con la sua ennesima e prolissa apparizione televisiva? Il dubbio è d’obbligo, dopo i pesanti bombardamenti di Tripoli. Ieri è ricomparaso brevemente in un video girato durante un incontro, all'insaputa dei giornalisti, nell'hotel di Tripoli che ospita la stampa internazionale.

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