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08 febbraio 2012 - Copertina - Italia - Oggi
Concordia, ecco il video-verità
Che percorso ha seguito la Costa Concordia prima di incagliarsi di fronte all’isola del Giglio? A che velocità andava, quanto tempo ha impiegato per fermarsi? Fino a oggi, il disastro della nave da crociera si poteva solo immaginare. Ma vederlo, nel drammatico “filmato” dell’Ais, il sistema di identificazione satellitare che ricostruisce i movimenti delle navi, fa venire i brividi. Perché dalla rotta tracciata dall’Ais (ora agli atti dell’inchiesta) si capisce che il terribile incidente poteva essere di più: poteva essere una strage.
La nave rischiava di affondare al largo dell’isola del Giglio, su un fondale di 107 metri, a 600 metri dalla costa. Il disastro ecologico era quasi assicurato. Se la nave si fosse inabissata al largo quante delle 4mila persone scese a terra la notte del 13 gennaio sarebbe sopravvissuto? Invece Costa Concordia ha fatto una giravolta di almeno 180 gradi ed è andata ad arenarsi dopo un’ora sull’isola, di fronte a Punta Gabbianara.
Il tracciato Ais mostra un triangolino verde, poi più grande e giallo, che simboleggia la nave passeggeri in avvicinamento all’isola del Giglio ad una velocità sostenuta di 15,4 nodi. In alto a destra una finestra indica l’ora di Greenwich, le 20.25 del 13 gennaio, le 21.25 in Italia.
ERA TROPPO TARDI PER VIRARE
Alle 21.44 la nave è troppo vicina agli scogli. Un minuto prima dell’impatto, qualcuno in plancia sembra rendersi conto del tragico errore. Si nota chiaramente che la sagoma della nave vira di scatto a dritta. Nel “video” del tracciato si vede un puntino marrone, il fatale scoglio delle Scole. La nave è riuscita a superarlo di prua, per un soffio, ma non vira a sinistra per evitare di strisciare a poppa e alle 21.45 urta lo scoglio. Una lunga ferita si apre sulla fiancata sinistra verso poppa.
Poi Costa Concordia sembra andare alla deriva in direzione nord diminuendo di botto la velocità. Il tracciato satellitare mostra la nave che passa davanti al porto del Giglio. Dopo circa un miglio naviga a 3,4 nodi, ma si dirige pericolosamente verso il largo. Alle 22.05 ha concluso il lungo abbrivio. Si muove appena a 0,8 nodi e si trova a 600 metri dall’isola. In questo punto la carta nautica del tracciato Ais indica un fondale di 107 metri.
Qui Costa Concordia, quasi ferma, rischia di inabissarsi. Poteva esser ordinato l’bbandono nave, ma per chi non fosse riuscito a salire sulle lance in fretta ci sarebbero state poche speranze. Con l’impatto sul fondo lo scafo poteva spezzarsi e far fuoriuscire il carburante inquinando il Giglio.
Alle 22.05, esattamanete venti minuti dopo l’impatto, la nave ha percorso un miglio (circa due chilometri) verso nord ed è quasi ferma al largo. La sagoma gialla di Costa Concordia, registrata dal satellite, comincia a muoversi con una rotta incredibile indicata nel video da un sottile tracciato nero. La nave ruota di almeno 180 gradi e torna indietro verso l’isola. La linea nera della rotta disegna una specie di stretto cappio sul mare con l’hotel galleggiante che imbarca acqua e naviga a soli 1,2 nodi di velocità. Per alcuni esperti del settore il comandante “ha effettuato una manovra di salvataggio” evitando il peggio. La maggioranza dei lupi di mare, compresi ufficiali stranieri, sostengono che dopo l’impatto con lo scoglio tutto è avvenuto per inerzia, non per una manovra voluta. Per portare la nave a riva “con il black out e la sala macchine allagata, le eliche laterali non potevano funzionare” scrive un gruppo di ufficiali.
Sul tracciato Ais la sagoma della nave procede di lato, in direzione di punta Gabbianara, quasi parallela all’isola, con la prua rivolta a sud est, all’opposto rispetto alla rotta iniziale. Ci vuole quasi un’ora per arenare la nave. Un ex comandante della marina militare parla senza mezzi termini “di fortuna sfacciata” nell’incagliarsi sull’isola, piuttosto che inabissarsi al largo.
Forse la verità sta nel mezzo, come fa notare un altro comandante di navi da guerra: “C’era vento di traverso, da nord est. L’altezza di Costa Concordia, alta come un grattacielo, fa da enorme vela. Lo spostamento lentissimo verso il Giglio può essere semplicemente dovuto alla forza del vento sfruttata da chi era a bordo”.
Alle 22.56 del 13 gennaio un ingrandimento mostra gli ultimi momenti prima del naufragio: il gioiello della Costa crociere si incaglia definitivamente ad un passo da terra, su un basso fondale, dove si trova ancora oggi. Due minuti dopo viene dichiarato l’abbandono nave.

[continua]

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05 aprile 2020 | Tg5 | reportage
Virus, il fronte che resiste in Friuli-Venezia Giulia
Fausto Biloslavo TRIESTE - “Anche noi abbiamo paura. E’ un momento difficile per tutti, ma dobbiamo fare il nostro dovere con la maggiore dedizione possibile” spiega Demis Pizzolitto, veterano delle ambulanze del 118 nel capoluogo giuliano lanciate nella “guerra” contro il virus maledetto. La battaglia quotidiana inizia con la vestizione: tuta bianca, doppi guanti, visiera e mascherina per difendersi dal contagio. Il veterano è in coppia con Fabio Tripodi, una “recluta” arrivata da poco, ma subito spedita al fronte. Le due tute bianche si lanciano nella mischia armati di barella per i pazienti Covid. “Mi è rimasta impressa una signora anziana, positiva al virus, che abbiamo trasportato di notte - racconta l’infermiere Pizzolitto - In ambulanza mi ha raccontato del marito invalido rimasto a casa. E soffriva all’idea di averlo lasciato solo con la paura che nessuno si sarebbe occupato di lui”. Bardati come due marziani spariscono nell’ospedale Maggiore di Trieste, dove sono ricoverati un centinaio di positivi, per trasferire un infetto che ha bisogno di maggiori cure. Quando tornano caricano dietro la barella e si chiudono dentro l’ambulanza con il paziente semi incosciente. Si vede solo il volto scavato che spunta dalle lenzuola bianche. Poi via a sirene spiegate verso l’ospedale di Cattinara, dove la terapia intensiva è l’ultima trincea per fermare il virus. Il Friuli-Venezia Giulia è il fronte del Nord Est che resiste al virus grazie a restrizioni draconiane, anche se negli ultimi giorni la gente comincia ad uscire troppo di casa. Un decimo della popolazione rispetto alla Lombardia ha aiutato a evitare l’inferno di Bergamo e Brescia. Il 4 aprile i contagiati erano 1986, i decessi 145, le guarigioni 220 e 1103 persone si trovano in isolamento a casa. Anche in Friuli-Venezia Giulia, come in gran parte d’Italia, le protezioni individuali per chi combatte il virus non bastano mai. “Siamo messi molto male. Le stiamo centellinando. Più che con le mascherine abbiamo avuto grandi difficoltà con visiere, occhiali e tute” ammette Antonio Poggiana, direttore generale dell’Azienda sanitaria di Trieste e Gorizia. Negli ultimi giorni sono arrivate nuove forniture, ma l’emergenza riguarda anche le residenze per anziani, flagellate dal virus. “Sono “bombe” virali innescate - spiega Alberto Peratoner responsabile del 118 - Muoiono molti più anziani di quelli certificati, anche 4-5 al giorno, ma non vengono fatti i tamponi”. Nell’ospedale di Cattinara “la terapia intensiva è la prima linea di risposta contro il virus, il nemico invisibile che stiamo combattendo ogni giorno” spiega Umberto Lucangelo, direttore del dipartimento di emergenza. Borse sotto gli occhi vive in ospedale e da separato in casa con la moglie per evitare qualsiasi rischio. Nella trincea sanitaria l’emergenza si tocca con mano. Barbara si prepara con la tuta anti contagio che la copre dalla testa ai piedi. Un’altra infermiera chiude tutti i possibili spiragli delle cerniere con larghe strisce di cerotto, come nei film. Simile ad un “palombaro” le scrivono sulla schiena il nome e l’orario di ingresso con un pennarello nero. Poi Barbara procede in un’anticamera con una porta a vetri. E quando è completamente isolata allarga le braccia e si apre l’ingresso del campo di battaglia. Ventuno pazienti intubati lottano contro la morte grazie agli angeli in tuta bianca che non li mollano un secondo, giorno e notte. L’anziano con la chioma argento sembra solo addormentato se non fosse per l’infinità di cannule infilate nel corpo, sensori e macchinari che pulsano attorno. Una signora è coperta da un telo blu e come tutti i pazienti critici ripresa dalle telecamere a circuito chiuso. Mara, occhioni neri, visiera e mascherina spunta da dietro la vetrata protettiva con uno sguardo di speranza. All’interfono racconta l’emozione “del primo ragazzo che sono riuscito a svegliare. Quando mi ha visto ha alzato entrambi i pollici in segno di ok”. E se qualcuno non ce la fa Mara spiega “che siamo preparati ad accompagnare le persone verso la morte nella maniera più dignitosa. Io le tengo per mano per non lasciarle sole fino all’ultimo momento”. Erica Venier, la capo turno, vuole ringraziare “con tutto il cuore” i triestini che ogni giorno fanno arrivare dolci, frutta, generi di conforto ai combattenti della terapia intensiva. Graziano Di Gregorio, infermiere del turno mattutino, è un veterano: “Dopo 22 anni di esperienza non avrei mai pensato di trovarmi in una trincea del genere”. Il fiore all’occhiello della rianimazione di Cattinara è di non aver perso un solo paziente, ma Di Gregorio racconta: “Infermieri di altre terapie intensive hanno dovuto dare l’estrema unzione perchè i pazienti sono soli e non si può fare diversamente”. L’azienda sanitaria sta acquistando una trentina di tablet per cercare di mantenere un contatto con i familiari e permettere l’estremo saluto. Prima di venire intubati, l’ultima spiaggia, i contagiati che hanno difficoltà a respirare sono aiutati con maschere o caschi in un altro reparto. Il direttore, Marco Confalonieri, racconta: “Mio nonno era un ragazzo del ’99, che ha combattuto sul Piave durante il primo conflitto mondiale. Ho lanciato nella mischia 13 giovani appena assunti. Sono i ragazzi del ’99 di questa guerra”.

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04 luglio 2012 | Telefriuli | reportage
Conosciamoci
Giornalismo di guerra e altro.

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10 giugno 2008 | TG3 regionale | reportage
Gli occhi della guerra.... a Bolzano /1
Il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, non dimentica i vecchi amici scomparsi. Il 10 giugno ha visitato a Bolzano la mostra fotografica “Gli occhi della guerra” dedicata ad Almerigo Grilz. La mostra è stata organizzata dal 4° Reggimento alpini paracadutisti. Gli ho illustrato le immagini forti raccolte in 25 anni di reportage assieme ad Almerigo e Gian Micalessin. La Russa ha ricordato quando "sono andato a prendere Fausto e Almerigo al ritorno da uno dei primi reportage con la mia vecchia 500 in stazione a Milano. Poco dopo li hanno ricoverati tutti e due per qualche malattia". Era il 1983, il primo reportage in Afghanistan e avevamo beccato l'epatite mangiando la misera sbobba dei mujaheddin, che combattevano contro le truppe sovietiche.

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[altri video]
radio

06 settembre 2018 | Radio immaginaria | intervento
Italia
Teen Parade
Gli adolescenti mi intervistano sulla passione per i reportage di guerra

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25 maggio 2010 | Spazio Radio - Radio 1 | intervento
Italia
L'Islam nelle carceri italiane
In Italia su oltre 23mila detenuti stranieri, 9840 risultano musulmani, secondo i dati ufficiali. Almeno seimila, però, non si sono dichiarati. Il rapporto di 364 pagine, “La radicalizzazione jihadista nelle istituzioni penitenziarie europee”, realizzato dall’esperto di Islam nella carceri, Sergio Bianchi, ne indica 13mila.
In Italia ci sono circa 80 islamici dietro le sbarre per reati connessi al terrorismo. Dal 2009 li hanno concentrati in quattro istituti di pena: ad Asti, Macomer, Benevento e Rossano. Nel carcere di Opera, invece, sono arrivati Adel Ben Mabrouk, Nasri Riadh e Moez Abdel Qader Fezzani, ex prigionieri di Guantanamo. Chi li controlla ogni giorno racconta che parlano in italiano. La guerra santa in Afghanistan l’hanno abbracciata dopo aver vissuto come extracomunicatori nel nostro paese. Non si possono incontrare fra loro e vivono in celle singole. Pregano regolarmente con molta devozione e hanno mantenuto i barboni islamici.

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03 gennaio 2011 | Radio Capodistria - Storie di bipedi | intervento
Italia
Gli occhi della guerra
Le orbite rossastre di un bambino soldato, lo sguardo terrorizzato di un prigioniero che attende il plotone di esecuzione, l’ultimo rigagnolo di vita nelle pupille di un ferito sono gli occhi della guerra incrociati in tanti reportage di prima linea. Dopo l’esposizione in una dozzina di città la mostra fotografica “Gli occhi della guerra” è stata inaugurata a Trieste. Una collezione di immagini forti scattate in 25 anni di reportage da Fausto Biloslavo, Gian Micalessin e Almerigo Grilz, ucciso il 19 maggio 1987 in Mozambico, mentre filmava uno scontro a fuoco. La mostra, che rimarrà aperta al pubblico fino al 20 gennaio, è organizzata dall’associazione Hobbit e finanziata dalla regione Friuli-Venezia Giulia. L’esposizione è dedicata a Grilz e a tutti i giornalisti caduti in prima linea. Il prossimo marzo verrà ospitata a Bruxelles presso il parlamento europeo.Della storia dell'Albatross press agency,della mostra e del libro fotografico Gli occhi della guerra ne parlo a Radio Capodistria con Andro Merkù.

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20 giugno 2017 | WDR | intervento
Italia
Più cittadini italiani con lo ius soli
Estendere la cittadinanza italiana ai bambini figli di stranieri? È la proposta di legge in discussione in Senato in questi giorni. Abbiamo sentito favorevoli e contrari.

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24 maggio 2010 | Radio Padania Libera | intervento
Italia
Proselitismo islamico dietro le sbarre
“Penso che sia giusto se alcuni musulmani combattono la guerra santa contro gli americani in paesi che non sono la loro terra”. Dopo un lungo girarci attorno Kamel Adid sorprende un po’ tutti, quando sputa il rospo. La domanda riguardava i mujaheddin, i musulmani pronti a morire per Allah, contro l’invasore infedele. Tre soldati della guerra santa, arrivati un paio di mesi fa da Guantanamo, sono rinchiusi poco più in là, nel reparto di massima sicurezza del carcere di Opera, alle porte di Milano.
Adid è un giovane marocchino di 31 anni con barbetta islamica d’ordinanza e tunica color noce. Nel carcere modello di Opera fa l’imam dei 44 musulmani detenuti, che frequentano una grande sala adibita a moschea. Un predicatore fai da te, che di solito parla un linguaggio moderato e ti guarda con occhioni apparentemente timidi.
Deve scontare ancora due mesi di pena per un reato legato alla droga e da pochi giorni è stato trasferito in un altro istituto. “Quelli che si fanno saltare in aria subiscono il lavaggio del cervello – si affretta a spiegare l’autonominato imam – Noi abbiamo riscoperto la fede in carcere. Pregare ci da conforto, ci aiuta ad avere speranza”.

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