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Reportage
21 marzo 2012 - Esclusivo - Libia - Panorama
Da truffatore a miliziano libico
L’Italia e i miei figli mi mancano, ma vorrei tornarci per difendermi in tribunale, non dietro le sbarre. La galera l’ho già fatta in Libia». Parola di Giulio Lolli, 46 anni, latitante per le Procure di Bologna e di Rimini, che da un anno vive libero a Tripoli. Occhi azzurri, smilzo, barbetta e foulard con i colori della nuova Libia al collo, parla per la prima volta a Panorama della sua incredibile storia, a cavallo tra la truffa e l’avventura.
Fino al 2010 Lolli era uno dei più noti venditori di yacht italiani. Poi è finito in una serie d’inchieste con una sfilza di accuse, dalla corruzione alla truffa (vedere il riquadro a pagina 52), da far tremare chiunque. Rincorso da un mandato di cattura internazionale e dalle rivolte arabe, si è trasferito prima in Tunisia e poi in Libia: «Non l’avrei mai immaginato, ma sono diventato un rivoluzionario e ho combattuto contro il regime di Muammar Gheddafi dopo essere stato trattato come un cane nelle sue galere» spiega Lolli, che il cronista incontra nel centro di Tripoli.
A fine maggio 2010, per evitare gli imminenti guai giudiziari, Lolli lascia l’Italia per la Tunisia. «Lavoravo nell’export e vivevo a Biserta, dove ero iscritto al club del tennis locale, ma non facevo la bella vita come hanno scritto i giornali» racconta. Il mandato di cattura della Procura di Bologna per la bancarotta fraudolenta della sua Rimini Yacht viene spiccato nel novembre 2010. Il 1° dicembre i tunisini sbattono fuori l’ingombrante ospite. «Sono finito in mezzo al mare con la mia barca» ricorda Lolli. «Speravo che l’avvocato locale mi facesse tornare, ma stava scoppiando un problema più grosso: la rivolta in Tunisia». Il momento è complesso: il regime di Zine el-Abidine Ben Alì comincia a crollare e Lolli passa «il Natale in mare mangiando scatolette di tonno e fagioli. È vero che ho stappato una delle ultime bottiglie di buon vino, ma non era certo un festino con alcol e droga come hanno detto». Ai primi di gennaio 2011 l’italiano in fuga punta la prua verso la vicina Libia, dove il regime di Gheddafi sembra immune dal vento di rivolta.
«Per oltre una settimana ho alloggiato all’hotel Rixos spendendo 220 dollari al giorno per la stanza. I camerieri si ricordano di mance principesche, ma erano solo 10-20 dinari: tanto per loro, 10 euro per me» precisa Lolli. Oggi il latitante è seduto nella hall dell’albergo a cinque stelle diventato famoso durante i bombardamenti della Nato per avere ospitato i giornalisti. Lolli indica un tavolo apparecchiato nel giardino interno e rievoca: «L’Interpol libica mi ha arrestato il 13 gennaio 2011, mentre stavo pranzando». Infatti il mandato di cattura internazionale richiesto dalla Procura di Rimini è ancora attivo.
Dopo l’arresto per Lolli inizia la discesa negli inferi delle galere libiche, senza immaginare che la rivolta araba lo sta rincorrendo. «Mi hanno portato nella famigerata prigione di Jdeida, a Tripoli. Non solo, hanno appeso un cartello fuori dalla cella che dividevo con 16 criminali comuni, indicandomi come “very dangerous”, molto pericoloso».
In Italia si racconta che il detenuto eccellente si faccia servire il pranzo in cella da un ristorante esterno. «Balle!» protesta Lolli oggi «c’era uno spaccio dove gli altri detenuti andavano a comprarmi dei biscotti. Nel carcere, ogni mercoledì, eseguivano le condanne a morte. E si sentivano le urla e gli spari». Il 17 febbraio, a Bengasi, scoppiano i primi moti contro Gheddafi. «I due grandi blocchi del carcere ospitavano 1.500-2 mila prigionieri» riferisce l’ex patron della Rimini Yacht. «Pochi giorni dopo i detenuti hanno organizzato una rivolta. Le guardie sparavano e un disgraziato è crollato, colpito, davanti a me. E dopo un rantolo è morto».
Il caos è totale: i detenuti riescono a barricarsi in un’ala del carcere e gli agenti lanciano lacrimogeni per stanarli. «Pensavo che ci avrebbero ammazzati tutti. Invece è arrivato l’ordine di liberare i prigionieri, a parte quelli politici. All’uscita, però, dovevano gridare: “Allah O Muammar O Libya Obas”. Lo slogan del regime che significa “Allah, Muammar (Gheddafi, ndr), la Libia e basta”». Lolli è convinto di potersene andare, però viene preso dal colonnello responsabile del carcere oggi ricercato. «In sette mesi di galera non ho mai visto un diplomatico italiano, ma in quell’occasione sono sicuro che qualcuno dall’ambasciata ha imbeccato i libici per non farmi uscire» accusa Lolli. «Così mi hanno bendato, incatenato mani e piedi e portato all’inferno».
La nuova prigione è nel famigerato complesso di Ayn Zarah, a sudest della capitale, denunciato da anni dalle organizzazioni per i diritti umani. Davanti al carcere arriviamo con un paio di baschi rossi, i miliziani della brigata Tripoli amici di Lolli. Siamo a bordo di un suv che i militari giurano di avere sequestrato a Hannibal, il figlio di Gheddafi. «Mi hanno sbattuto in un buco di 1 metro e mezzo per 1 metro e mezzo con due coperte e basta» precisa Lolli. «Dormivo in diagonale e la poca luce filtrava da una feritoia 12 metri più in alto. Alla mattina mi passavano da sotto la porta di ferro della cella un pezzo di pane e alla sera degli orribili maccheroni. L’acqua in bottiglia serviva per bere e lavarsi».
Il detenuto italiano chiede di continuo una visita consolare, ma un giorno finisce male. «Sono arrivati in cinque e mi hanno picchiato selvaggiamente. Il primo pugno mi ha fatto perdere due denti. Poi una guardia mi ha rotto un manico di scopa sulla coscia. Alla fine mi hanno incatenato ai ceppi, polsi e caviglie, per 15 giorni. Ne porto ancora i segni» osserva Lolli mostrando le cicatrici. Nel buco ha sentito arrivare le bombe della Nato: «La prima è esplosa vicinissima e tremava tutto. Speravo che me ne arrivasse una in testa per liberarmi o farla finita».
Verso aprile il detenuto italiano viene trasferito in un’altra ala del carcere e qui fa amicizia con Samir, un bosniaco, e con Ahmed Abu Dabous, un ex poliziotto finito pure lui dietro le sbarre: «Sembrava il tenente Kojak dei telefilm». Fra il 20 e il 21 agosto, quando i ribelli finalmente marciano su Tripoli, le guardie spariscono. «Siamo scappati tutti, ma Ahmed ci ha portato verso un altro lager, poco distante, dove tenevano i prigionieri politici. Sembrava un campo di concentramento nazista, con i capannoni interrati e le celle nel sottosuolo. Abbiamo divelto una grata e mi sono trovato di fronte all’inimmaginabile: i prigionieri erano ridotti come cenci, autentici zombie. Mi ricordo un vecchio con la lunga barba bianca che ripeteva “Thank you, thank you”». È così che Lolli, con un migliaio di ex detenuti, si trova a marciare verso Tripoli.
A un certo punto arriva una colonna di ribelli: «Sono salito su un pick-up stracolmo di armati. Abdallah Ali Salem Mohammed, un rivoluzionario, mi ha consegnato un machete e una pistola. A Bologna sono stato iscritto per anni al tiro a segno e so come usarla». Quell’armata Brancaleone si dirige verso Bab al-Azizyah, la roccaforte di Gheddafi a Tripoli. «Non vedevo l’ora di combattere, dopo quello che avevo passato in galera» sostiene Lolli. «Prima della cittadella fortificata del colonnello ci hanno sparato da alcune case, dagli alloggi dei miliziani. Abbiamo risposto al fuoco e alla fine una decina di libici con la pelle scura si sono arresi, altri sono fuggiti verso Bab al-Azizyah». Il giorno dopo Lolli vede i resti dei fedelissimi di Gheddafi: «Tanti morti allineati e altri feriti».
Mostra alcune foto di sé in versione Rambo, che non si capisce bene quando e dove siano state scattate. «Non sono stato fra i primi nell’attacco finale a Bab al-Azizyah, ma ricordo bene il caos e il saccheggio. Ho portato via come souvenir un orologio con il faccione di Gheddafi» racconta l’avventuriero. Dopo la vittoria i ribelli gli consegnano un attestato di benemerenza per avere liberato i prigionieri politici e combattuto a Tripoli. Il basco scuro con lo stemmino della nuova Libia è, per il latitante diventato rivoluzionario, una specie di icona. Il 21 marzo il Tribunale di Tripoli (paradossalmente lo stesso che lo aveva sbattuto in galera e ora l’ha lasciato libero) deciderà se estradarlo o meno in Italia. Sui reati finanziari Lolli ammette «qualche errore», ma respinge altre accuse come l’estorsione. Il cronista lo saluta mentre, assieme a centinaia di persone, sventola nell’ex piazza Verde di Gheddafi, ora piazza dei Martiri rivoluzionari, un’enorme bandiera, verde, rossa e nera della nuova Libia.

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24 marzo 2011 | TG5 | reportage
Diario dalla Libia in fiamme
Diario dalla Libia in fiamme

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03 agosto 2011 | Studio Aperto | reportage
Missile libico sfiora nave militare italiana
Un missile libico è stato lanciato contro la fregata Bersagliere schierata con la flotta della Nato al largo di Tripoli. A bordo, dove ci sono 220 marinai italiani, è stato intercettato prima sui radar e poi l’hanno visto arrivare ed esplodere in mare, a meno di due chilometri dalla nave, sollevando una gigantesca colonna d’acqua. Il fallito attacco, oppure il voluto avvertimento, è scattato questa mattina alle 10.40. Il missile è stato lanciato dall’area di Zlitan, ad est di Tripoli, vicino a Misurata, la terza città del paese in mano ai ribelli anti Gheddafi. Nelle ultime 24 ore si combatte duramente attorno a Zlitan con le truppe fedeli al colonnello all’offensiva, dopo un attacco dei ribelli verso la città, che se fosse conquistata aprirerebbe la strada verso la capitale. Il regime libico non commenta il lancio del missile.

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25 agosto 2011 | Tg4 | reportage
La caduta di Gheddafi
Notizie e commenti dall'Italia

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18 marzo 2011 | Radio Capodistria | intervento
Libia
IL vaso di pandora
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22 marzo 2011 | Panorama | intervento
Libia
Diario dalla Libia
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26 aprile 2011 | Radio 101 | intervento
Libia
Con Luxuria bomba e non bomba
Il governo italiano, dopo una telefonata fra il presidente americano Barack Obama ed il premier Silvio Berlusconi, annuncia che cominciamo a colpire nuovi obiettivi di Gheddafi. I giornali titolano: "Bombardiamo la Libia". E prima cosa facevamo? Scherzavamo con 160 missioni aeree dal 17 marzo?

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10 marzo 2011 | Panorama | intervento
Libia
Diario dalla Libia
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06 marzo 2011 | Panorama | intervento
Libia
Diario dalla Libia
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