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Articolo
17 aprile 2012 - Esteri - Afghanistan - Il Giornale |
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Quel clan di guerrieri che semina il terrore nelle città afghane |
Jalaluddin, il grande vecchio, eroe della resistenza contro l'Armata Rossa, poi passato con i talebani, Sirajuddin, il figlio che ha raccolto il testimone della guerra santa, ma anti Nato, e uno stuolo di fratelli, zii e cugini, uno più pericoloso dell'altro. È questo il clan Haqqani responsabile dei più devastanti attentati in Afghanistan degli ultimi anni. Ieri il ministro dell'Interno, Bismillah Mohammadi, ha puntato il dito contro la rete guerrigliera messa in piedi dal clan per l'attacco multiplo di domenica, che ha scatenato l'inferno a Kabul e in altre città. Tutto ha avuto inizio nei primi anni Ottanta nella valle afghana di Urgun, vicino al confine pachistano, dove un fortino filo sovietico veniva bersagliato dai mujaheddin. I proiettili fischiavano dappertutto, ma Jalaluddin Haqqani sembrava non farci caso. Ai giornalisti che aveva portato in prima linea diceva convinto: «Sono protetto da Allah». Mulawi Haqqani, barbone d'ordinanza, occhi come la pece, turbantone pasthun e mitra catturato ai sovietici a tracolla, guidava l'attacco. Nel 1983 Haqqani era un beniamino della Cia finanziato dai Paesi arabi. Un quarto di secolo dopo il leggendario comandante combatte ancora. Sul campo lo fa suo figlio, Sirajuddin, uno dei nemici più temibili della Nato nel disgraziato Paese al crocevia dell'Asia. Dalle sue basi nella zona tribale pachistana il clan Haqqani è accusato di aver organizzato i più clamorosi attentati a Kabul. Come l'attacco suicida al Serena, l'hotel a cinque stelle della capitale, il tentativo di far fuori il presidente afghano Hamid Karzai e l'ultimo assalto che ha paralizzato la città. Il più spettacolare e complesso, anche se i commando suicidi sono stati eliminati dalle forze di sicurezza afghane con l'aiuto degli elicotteri della Nato, ma dopo 17 ore di battaglia. Il conteggio ufficiale delle vittime parla di 47 morti e oltre 50 feriti. Trentasei sono talebani delle cellule votate alla morte. Quelli con i giubbotti esplosivi hanno cercato di raggiungere gli obiettivi spacciandosi per donne, coperti dal burqa. Oppure erano in automobili rivestite di fiori, come se andassero ad un matrimonio. Le operazioni suicide, le tecniche per camuffarsi e gli attacchi multipli e complessi nella capitale sono l'impronta digitale della rete Haqqani. Il testimone del Jihad è passato a Siraj, il figlio prediletto di Jalalludin. Nel 2010 annunciava dal Waziristan, dove il clan ha rifugi e campi di addestramento, che la collaborazione fra i suoi uomini e quello che restava di Al Qaida «è ai livelli più alti». Lo stesso anno veniva messo sulla lista nera degli Stati Uniti anche Nasiruddin Haqqani, uno dei fratelli di Siraj, incaricato di raccogliere fondi nei Paesi arabi del Golfo. Nella lista dei ricercati «top» figurano pure uno zio e altri membri del clan, che ricoprono il ruolo di comandanti sul terreno, soprattutto nella zona orientale dell'Afghanistan. Mullah Sangen Zadran è uno degli affiliati più pericolosi nominato governo ombra dei talebani nella provincia di Paktika. Proprio i suoi uomini avrebbero sequestrato Bowe Bergdahl, l'unico soldato americano preso in ostaggio dai talebani. La rete Haqqani controlla ampie fette del Waziristan settentrionale, una delle aree tribali più turbolente del Pakistan, a ridosso del confine afghano. Il clan governa un sistema parallelo con propri giudici in nome della sharia, riscuote imposte e garantisce l'ordine. Dopo l'assalto suicida all'ambasciata indiana a Kabul nel 2008 sono emerse le intercettazioni telefoniche dei terroristi, che provano la collusione della rete Haqqani con spezzoni dell'Isi, il servizio segreto dei militari pachistani. Islamabad considera il clan un alleato fin dai tempi dei sovietici. La Cia ha scatenato una campagna di bombardamenti mirati dei droni, che ha eliminato diversi comandanti della rete Haqqani. Nello stesso tempo, però, gli Usa continuano a tenere aperti canali con il vecchio patriarca. Jalaluddin, ex ministro dell'emirato talebano, è considerato uno dei personaggi più carismatici dell'insorgenza, cruciale per trattare la pace. www.faustobiloslavo.eu |
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16 novembre 2001 | Studio Aperto - Italia 1 | reportage
I talebani perdono Jalalabad
I talebani perdono Jalalabad
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25 novembre 2001 | Studio Aperto - Italia1 | reportage
Il futuro governo dell'Afghanistan e la fuga di Osama bin Laden
Il futuro governo dell'Afghanistan e la fuga di Osama bin Laden
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07 giugno 2010 | Porta a Porta | reportage
Un servizio sulle guerre di pace degli italiani
Le “guerre” di pace degli italiani sono iniziate nel 1982, con la prima importante missione all’estero nel martoriato Libano, dopo il conflitto fra israeliani e palestinesi.
Oggi sono quasi diecimila i soldati italiani impegnati nel mondo in venti paesi. Oltre alla baionette svolgiamo un apprezzato intervento umanitario a favore della popolazione. Dall’Africa, ai Balcani, al Medio Oriente, fino all’Afghanistan non sempre è una passeggiata per portare solo caramelle ai bambini.
Nel 1991, durante la guerra del Golfo, un caccia bombardiere italiano è stato abbattuto dalla contraerea irachena. Il pilota Gianmarco Bellini ed il navigatore Maurizio Cocciolone sono rimasti per 45 giorni nelle cupe galere di Saddam Hussein. Quella in Somalia, è stata una missione sporca e dura, macchiata da casi isolati di torture e maltrattamenti. Al check point Pasta, a Mogadiscio, i paracadutisti della Folgore hanno combattuto la prima dura battaglia in terra d’Africa dopo la seconda guerra mondiale.
Alla fine del conflitto etnico siamo intervenuti a pacificare la Bosnia. Per il Kosovo, nel 1999, l’aeronautica militare ha bombardato i serbi effettuando 3mila sortite. Una guerra aerea di cui non si poteva parlare per opportunità politiche.
Dopo l’11 settembre i focolai di instabilità sono diventati sempre più insidiosi, dall’Iraq all’Afghanistan. Nel 2003, con la missione Antica Babilonia a Nassiryah, i nostri soldati sono rimasti coinvolti nelle battaglie dei ponti contro i miliziani sciiti. In sole 24 ore gli italiani hanno sparato centomila colpi.
Siamo sbarcati di nuovo in Libano dopo il conflitto fra Israele ed Hezbollah, ma la nostra vera trincea è l’Afghanistan. Con i rinforzi previsti per l’estate arriveremo a 4mila uomini per garantire sicurezza nella parte occidentale del paese, grande come il Nord Italia, al confine con l’Iran. Herat, Bala Murghab, Farah, Bala Baluk, Bakwa, Shindad sono i nomi esotici e lontani dove fanti, alpini, paracadutisti combattono e muoiono in aspri scontri e imboscate con i talebani o attentati. Dal 1982, nelle nostre “guerre” di pace, sono caduti 103 soldati italiani.
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04 gennaio 2012 | Radio24 | intervento |
Afghanistan
Parlano le armi sussurrano le diplomazie
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