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Analisi
24 giugno 2012 - Mondo - Medio Oriente - Il Caffè
Sul Cairo la minaccia salafita
In Egitto, un anno e mezzo dopo la “rivoluzione”, i militari non hanno alcuna intenzione di mollare il potere e piazza Tahrir, simbolo del crollo del vecchio Rais, Hosni Mubarak, torna a riempirsi. Questa volta per il nuovo presidente egiziano, eletto domenica scorsa, che dovrebbe essere Mohamed Morsi, il candidato dei Fratelli musulmani.
Il treno della storia non si ferma, ma quella primavera araba osannata dall'Occidente sta rivelando tutte le sue contraddizioni e si sta velocemente trasformando in un inverno denso di incognite, soprattutto per noi europei che viviamo sull’altra sponda del Mediterraneo. In Egitto i militari hanno messo a segno una specie di golpe bianco assumendo ulteriori poteri che in pratica limitano le funzioni, un tempo forti, del nuovo presidente. Sia l'islamico Morsi, che Ahmed Shafik, ex generale di Mubarak hanno cantato vittoria. Il candidato dei Fratelli musulmani dovrebbe aver vinto di misura, ma i militari hanno fatto rimandare l'annuncio. Per questo la gente è tornata in piazza Tahrir. Non si stanno mobilitando solo membri della Fratellanza, ma pure i laici che pur non amando gli islamici devoti vedono come fumo negli occhi i colpi di coda dei militari.
La posta in gioco, più che la presidenza, è la nuova Costituzione. I militari hanno fatto annullare il parlamento, appena eletto, proprio per il timore che sia la maggioranza islamica a scriverla. Le frange estreme come i salafiti, che hanno incassato 7 milioni di voti, sono decisi ad imporre la versione più dura e pura della Sharia come legge fondamentale dello Stato. I militari non lo permetteranno, ma per evitare di farlo con i carri armati gestiscono come vogliono la democrazia. Il rischio dietro l'angolo è una sanguinosa deriva algerina degli anni Novanta, se non si arriverà ad un compromesso che i Fratelli musulmani stanno trattando.
I salafiti alzano la cresta anche in Tunisia prendendo d'assalto università bollate come laiche, negozi che vendono liquori, tv che mandano in onda film “immorali” come Persepolis, gallerie d'arte troppo moderne. Una minaccia minoritaria, ma pericolosa che costringe le autorità a schierare i militari nelle strade. L'autunno, se non l'inverno delle rivolte arabe riguarda anche la Libia dove il governo provvisorio è talmente debole da dover far slittare le elezioni al 6 luglio. Misurata è ormai una Città stato e la Cirenaica continua a minacciare la secessione. La gente che ha appoggiato la rivolta contro Gheddafi comincia a chiedersi se valeva la pena barattare la sicurezza con la democrazia.
Dove non si vede alcuna primavera, ma solo sangue è la Siria. La rivolta sempre più simile ad uno scenario balcanico sta riproponendo toni da guerra fredda fra le grandi potenze. Con i giannizzeri Hezbollah in Libano ed il potente alleato iraniano alle spalle, vero obiettivo di Washington, la crisi siriana potrebbe esplodere in un pauroso conflitto regionale. La contraerea siriana che abbatte un caccia turco è solo un tassello di una guerra possibile, che sarebbe la pietra tombale della primavera araba, bella e democratica.

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19 maggio 2012 | Radio Uno | intervento
Medio Oriente
Le primavere arabe diventate autunno
Al festival "è storia" di Gorizia le "notti bianche" di Radio Uno sulle primavere arabe che sono già diventate autunno.

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