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Articolo
13 settembre 2012 - Il Fatto - Libia - Il Giornale
Quando Chris diceva: “Felice di stare a Tripoli”

«Ho avuto l’onore di servire co­me inviato degli Stati Uniti presso l’opposizione libica durante la rivo­luzione. Ora sono entusiasta di torna­re in Libia per continuare il grande la­voro che abbiamo iniziato». Queste le parole di Christopher Stevens in un video di presentazione dello scor­so maggio quando è stato nominato ambasciatore a Tripoli. Dopo la sua morte suonano come una tragica bef­fa. Non solo è stato ucciso a Bengasi, dove era sbarcato per aiutare la «rivo­luzione » contro il regime di Ghedda­fi nel 2011. I suoi assassini sono le frange più estreme della rivolta in Ci­renaica, che lo stesso Stevens aveva aiutato. In un suo articolo su una pub­blicazione del Dipartimento di Stato Usa raccontava come nell’aprile di un anno fa era arrivato a Bengasi a bordo di un mercantile greco per prendere contatto con il Consiglio transitorio che guidava la rivolta.Nel­l’articolo si spiega che il diplomatico americano e i suoi uomini hanno faci­litato «l’assistenza militare non leta­le » ai rivoluzionari anti Gheddafi.
Stevens conosceva il Colonnello es­sendo stato numero due dell’amba­sciata americana a Tripoli dal 2007 al 2009. Il periodo in cui la Cia e i servizi britannici «collaboravano» con l'in­telligence di Gheddafi consegnando al Colonnello i volontari libici della guerra santa internazionale cattura­ti in giro per il mondo.
Nei cablogrammi resi noti da Wikile­aks il diplomatico ucciso martedì notte descrive il Colonnello come «notoriamente imprevedibile». L’ambasciatore è diventato famosis­simo in Libia, grazie alle rivelazioni, per i rapporti durissimi contro il regi­me che inviava a-Washington in tem­pi non sospetti quando Gheddafi era stato sdoganato dalla comunità in­ternazionale.
Stevens, nato nel nord della Califor­nia, aveva 52 anni e una grande pas­sione per il Medio Oriente. Laureato a Berkeley nel 1982, subito dopo è partito per il Marocco con il Peace corp a insegnare inglese fra le monta­gne
 del deserto. Prima di intrapren­dere la carriera diplomatica nel 1991 faceva l’avvocato esperto di commer­cio internazionale a Washington. La sua carriera governativa si è concen­trata in Medio Oriente. Consigliere politico a Damasco è stato impiegato anche a Gerusalemme, Il Cairo e co­me console commerciale a Riad. Si è occupato pure di Iran e parlava sia l’arabo che il francese.Non solo ama­va il suo lavoro, ma si immergeva nel­le culture e tradizioni dei Paesi dove veniva inviato. In Libia, quando pote­va, visitava i siti archeologici e amava la cucina araba. Una famosa foto lo ri­trae mentre mangia con le mani una pietanza locale assieme ai libici.
Hillary Clinton ha parlato di Stevens come di «un eroe che ha rischiato la sua vita per fermare un tiranno (Gheddafi) e aiutare a costruire una nuova Libia». Il segretario di Stato Usa ha telefonato alla sorella dell’am­basciatore ucciso. Fonti diplomati­che europee a Tripoli rivelano che «venerdì Chris, come lo chiamava­mo tutti, era stato invitato ad una ce­na in suo onore da Zaki Muntasser della grande famiglia del primo capo del governo libico degli anni Cin­quanta ».
Il video di presentazione di Stevens al suo arrivo a Tripoli il 26 maggio ini­ziava in arabo con «Salam al eikum». E si concludeva con parole che ades­so sembrano un epitaffio: «I libici stanno vivendo tempi difficili e gran­di sfide... Vorrei la pace per questa
 parte del mondo». 
FBil



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