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Esclusivo
09 ottobre 2012 - Cronache - Libia - Il Giornale
L’Sos dei nostri pescatori: “In mare serve la scorta Ora siamo chiusi in cella”
Il telefono squilla a lungo e al­la fine risponde il comandante Domenico Asaro, in galera a Ben­gasi, dopo che il suo peschereccio «Giulia PG» è stato intercettato dai libici in acque internazionali a raffiche di mitra. «Siamo in gale­ra, ma stiamo bene. Non ci tratta­no male, anche se abbiamo dor­mito in cella senza materassi» spiega a il Giornale, con voce cal­ma ed accento siciliano. «Per noi le acque territoriali sono a 12 mi­glia, ma i libici ne aggiungono al­tre 62. Ci hanno sparato addosso (a 40 miglia dalla costa nda) cin­que, sei volte. Sullo scafo abbia­mo almeno cinque buchi di pro­iettili, ma per fortuna siamo tutti incolumi. Nessuno è ferito» rac­conta Asaro, un veterano del ma­re, descrivendo l’abbordaggio dei libici di domenica.«Anche l’la­tro peschereccio, il Daniela, ha dei fori sullo scafo» sottolinea il comandante. Poi si lascia andare ad un’amara considerazione:«La nostra bandiera conta poco. Sia­mo italiani e non ci sono navi mili­tari ad assister­ci.
In queste si­tuazioni rima­niamo in balia delle onde».
Asaro ribadi­sce che «o ci danno la scor­ta dei militari, oppure un po­sto statale e cambiamo me­stiere. A casa abbiamo una famiglia e dei fi­gli che dobbia­mo far soprav­vivere ». Il capi­tano spiega che i pescatori sono stati «in­terrogati ieri se­ra (domenica nda) e oggi (lu­nedì nda), ma non ci hanno maltrattato».
Le imbarca­zioni seque­strate sono sta­te
 scortare nel porto libico e gli equipaggi subito trasferiti in carcere. Per i conna­zionali si è mobilitato il console a Bengasi, Giulio De Sanctis, che ha cercato di rendere più umana la detenzione portando generi di conforto.L’ultimo appello di Asa­ro, prima di chiudere la telefona­ta dal carcere di Bengasi, è di «far valere la nostra bandiera, anche se sfortuna vuole che in questo momento non ci sia governo in Li­bia », dopo le dimissioni del pri­mo ministro incaricato.
Dalla Sicilia il vescovo di Maza­ra del Vallo, monsignor Domeni­co Mogavero, ha lanciato una giu­sta provocazione: «Affinché il pro­blema si affronti seriamente è ne­cessario che ci scappi il morto?».
In questo momento non sono gli unici i due pescherecci sicilia­ni scortati armi in pugno a Benga­si. Altri due, sempre di Mazara del Vallo, sono sotto sequestro in Egit­to e Tunisia. L’Artemide è blocca­to ad Alessand­ria dal 3 ottobre do­po essere stato intercettato 25 mi­glia
 al largo dai militari egiziani, sempre al di fuori delle acque ter­ritoriali comunemente ricono­sciute nelle 12 miglia. «Sappiamo che l’ambasciatore (al Cairo nda) Pacifico e la diplomazia italiana stanno lavorando. Attendiamo di ora in ora la notizia del rilascio» ha dichiarato l’armatore, Piero Bono.
In Tunisia, invece, il pescherec­cio Twenty Four, sempre di Maza­ra, è bloccato a Sfax dal 14 settem­bre.
La faccenda è diventata dram­matica il 3 ottobre quando uno dei marinai fermati, Alessandro Santo Novara, viene ricoverato in gravi condizioni per un infarto.
L’aspetto assurdo è che l'Italia ha bombardato la Libia per dar una mano ai ribelli anti Gheddafi, che adesso sparano e sequestra­no i nostri pescherecci in alto ma­re.
Non solo: abbiamo appoggia­to la rivolta tunisina e alla fine an­che il cambio della guardia in Egit­to in nome della primavera araba e sta diventando autunno, se non inverno.
«La situazione rischia di dege­nerare. È urgente avviare una trat­tativa pur con un­a situazione poli­tica in Libia e in Tunisia assai intri­cata.
Occorre intavolare un nego­ziato serio. Non possiamo fidarci del diritto internazionale e farci forti dei limiti da esso imposti per poi incappare nelle legislazioni particolari che violano la nostra l­i­bertà di pesca e di movimento nel Mediterraneo» sostiene monsi­gnor Mogavero. In pratica oltre al danno si rischia la beffa. Giovan­ni Tumbiolo, presidente del Di­stretto produttivo della pesca di Mazara del Vallo, dichiara a Il Giornale: «Non si campa più. Sia­mo di fronte ad una guerra del pe­sce ». Secondo Tumbiolo basereb­be applicare veramente l’accor­do firmato in Libia il 21 gennaio per chiudere le «ostilità». Nel frat­tempo «va incrementata la vigi­lanza nel canale di Sicilia da parte delle autorità italiane. Se ci fosse la volontà politica dovremmo mandare la marina militare a scortare i pescherecci». Poi getta acqua sul fuoco: «L’uso della for­za non è la strada migliore, ma non è la prima volta che libici o tu­nisini sparano per fermare i no­stri pescatori. La stessa Unione europea dovrebbe garantirne l’in­columità ». 
www.faustobiloslavo.eu
 
[continua]

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