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Esclusivo
14 maggio 2013 - Inserto - Somalia - Il Foglio
Pagare il riscatto ai pirati

Pubblichiamo alcuni stralci de “Il tesoro dei pirati – Sequestri, riscatti, riciclaggio. La dimensione economica della pirateria somala”, una ricerca del Centro Militare di Studi Strategici. Lo studio, curato da Fausto Biloslavo e Paolo Quercia, ricostruisce la nascita e la crisi della pirateria somala e dei suoi meccanismi economici fino all’apparente “scomparsa” del fenomeno dell’ultimo anno. “Il tesoro dei pirati” sarà presentato venerdì a Trieste.  

Almeno 5 miliardi di costi per l’economia mondiale, centinaia di milioni di dollari di riscatti in contanti “segretamente” paracadutati ai pirati somali da società specializzate subito inghiottiti dai circuiti finanziari del riciclaggio internazionale, un esercito di svariate migliaia di pirati armati di tutto punto e dotati delle più sofisticate attrezzature di navigazione che hanno sequestrato centinaia di mercantili e tenuto in ostaggio migliaia di marittimi. Sono queste alcune delle cifre dell’economia, clandestina e non, che si è creata attorno alla questione della pirateria somala, che per anni ha messo in pericolo la rotta marittima più importante del mondo globale, quella che unisce il Mediterraneo con l’oceano Indiano. 

Un fiume di denaro, oltre 400 milioni di dollari negli ultimi sette anni, pagato dal “mercato globale” per poter transitare nelle acque più pericolose del mondo. A oggi nelle mani dei pirati somali rimangono 5 navi e 77 ostaggi, una piccola aliquota rispetto al picco del 2011-2012, quando si sono registrati pagamenti superiori ai 165 milioni di dollari. Da sette mesi non si registrano più sequestri di navi nel Golfo di Aden, grazie alla mobilitazione navale internazionale e alle misure di protezione adottate dagli armatori. Il 2012 è stato l’anno nero per i pirati. Ad agosto avevano incassato appena 29,2 milioni di dollari. 

Il ruolo delle compagnie di sicurezza 

Nella gran parte dei casi il riscatto è pagato dall’armatore, mentre le assicurazioni, che garantiscono la nave e il carico, lo rimborsano in parti direttamente proporzionali al valore dei beni assicurati. L’armatore stipula una polizza per la nave e il proprietario lo fa per il carico. Le assicurazioni scelgono uno studio legale di Londra, con l’avallo dell’armatore, che negozierà il riscatto in collaborazione con la società di sicurezza che poi consegnerà i soldi. Il costo complessivo dei migliori studi e compagnie private oscilla tra 3 e 5 milioni di dollari. 

“E’ un dato di fatto che una nuova economia è fiorita nel mondo con compagnie di sicurezza, specialisti legali e negoziatori che guadagnano dalla soluzione dei casi di pirateria – ha scritto Birgen Keles, politica turca, in una relazione per la Nato – Londra è lo snodo di società che aiutano gli armatori a districarsi negli aspetti legali del pagamento dei riscatti”. 

Una volta stabilita la cifra dopo mesi di trattative, che possono arrivare a oltre un anno e mezzo nei casi più sfortunati, il riscatto viene pagato in gran parte in contanti, in dollari americani e solitamente con i seguenti tagli: banconote da 100 dollari (90 per cento), da 50 (7 per cento) e da 20 (3 per cento). 

Almeno l’80 per cento del riscatto viene paracadutato direttamente ai pirati. In alcuni casi una minima parte è stata fatta transitare attraverso il sistema Hawala. In Kenya alcune compagnie di sicurezza, uffici legali e piccole società di trasporto aereo e marittimo organizzano la consegna fisica del riscatto prelevato, spesso in contanti, da conti esteri delle assicurazioni o degli armatori coinvolti. 

Da Nairobi partono voli che atterrano a Mogadiscio e da Mombasa o Gibuti delle imbarcazioni con dei contractor a bordo, che devono garantire la partenza in sicurezza della nave una volta paracadutato il riscatto. Un funzionario dell’Onu, in cambio dell’anonimato, ha confermato che i soldi dei riscatti arrivano a Mogadiscio per poi venire trasportati ad Hobyo, Eyl, Galkayo o Haradhere che hanno delle piste per il decollo di piccoli aerei pilotati da contractor che lanciano il denaro pattuito in contenitori stagni e galleggianti sul ponte della nave sequestrata, oppure nel mare circostante. 

Chi fisicamente consegna il riscatto può finire nei guai. Il 24 maggio 2011 tre inglesi, due kenyoti e un americano sono stati arrestati all’aeroporto internazionale di Mogadiscio con dei sacchi che contenevano 3,6 milioni di dollari. Si trattava dell’ammontare del riscatto per la nave cinese Yuan Xiang, in seguito liberata. I soldi erano stati trasferiti dalla società armatrice, Hongan Shipping, sul conto della banca Hsbc dell’ufficio legale Holman Fenwick Willan ad Hong Kong il 18 maggio. 

Lo studio ha garantito che il denaro serviva per aiuti umanitari nel Corno d’Africa. Cinque giorni dopo un rappresentante della compagnia di sicurezza Salama Fikira basata a Nairobi ha ritirato i soldi in contanti. Poi il denaro è arrivato a bordo di un aereo Cessna Citation, un piccolo jet, dalle Seychelles a Mogadiscio. I due britannici coinvolti, Andrew Oaks e Alex James, lavorano per la Fikira guidata da Rob Andrew Obe, ex membro delle Sas, i corpi speciali inglesi. A Mogadiscio era atterrato anche un Cessna Caravan, monomotore a elica, modificato per il lancio con il paracadute a guida Gps del riscatto sul ponte della nave da liberare. Il denaro era diretto a uno dei capi più noti dei pirati, Mohamed Abdi Garaad, nella lista nera degli Stati Uniti. Quest’ultimo avrebbe addirittura telefonato alle autorità di Mogadiscio per ottenere il dissequestro del riscatto. Gli inglesi arrestati con i 3,6 milioni di dollari sono stati processati e condannati a 15 anni di carcere per poi venir graziati dal presidente transitorio, Sheikh Sharif Sheikh Ahmed, e liberati il 27 giugno 2011 in occasione del cinquantunesimo anniversario dell’indipendenza della Somalia. 

Il negoziatore 

Nel momento in cui la nave sequestrata getta le ancore di fronte alle coste somale entra in gioco il negoziatore dei pirati. Una figura fondamentale nelle trattative per il buon esito del sequestro, che è assoldata dai pirati, ma non fa parte integrante dell’organizzazione. Si tratta di una persona di cultura, rispetto alla media somala, che conosce le lingue e spesso viene presentato come “interprete”, con il profilo più del mediatore d’affari che del criminale. 

Non risulta che il negoziatore partecipi all’abbordaggio o alla sorveglianza della nave e dell’equipaggio. Talvolta è talmente distante dai pirati da arrivare a disprezzarli, nonostante siano i committenti del lavoro. Lo racconta Eugenio Bon, l’ufficiale triestino che nel 2011 ha passato oltre dieci mesi nelle mani dei pirati somali. “A bordo (della Savina Caylyn) arriva Alì, che si presenta come ‘avvocato’ e sostiene di essere il negoziatore con la società per farci tornare in patria il prima possibile. Alì sta trattando anche per altre navi, ma da casa, via telefonino – spiega Bon – ‘Non ci sto a bordo con questa gentaglia’ dice in perfetto inglese indicando i pirati. L’avvocato ci permette di chiamare le famiglie per tre minuti a testa”. 

Il negoziatore parla senza problemi al cellulare, oppure al telefono satellitare della nave con la controparte indicata dalla compagnia armatrice e dalle assicurazioni e in alcuni casi invia sms o fax da bordo. 

Quattro casi di sequestro 

Il 7 novembre 2008 la nave cargo danese Cec Future, battente bandiera delle Bahamas, con 13 russi d’equipaggio, viene abbordata dai pirati nel Golfo di Aden e dirottata nel porto di Eyl in Somalia. “Mr. Ali”, che si presenta come interprete dei pirati, chiede un riscatto di 7 milioni di dollari a Per Gullestrup, amministratore delegato della Clipper Project la società armatrice. Il mediatore parla perfettamente inglese perché ha vissuto 29 anni negli Stati Uniti prima di rientrare in Somalia. La compagnia fa una controfferta al ribasso di 300 mila dollari e i pirati chiedono 5 milioni ribadendo che non faranno altri sconti. “Gli ho detto che non andavamo da nessuna parte e di richiamarmi quando erano pronti ad abbassare le richieste a 2 milioni di dollari”, racconta Gullestrup. 

A questo punto i pirati cominciano a vessare l’equipaggio. La compagnia di sicurezza che la società ha ingaggiato per gestire la trattativa sottolinea che è una procedura normale da parte dei sequestratori e consiglia all’amministratore delegato di non farsi coinvolgere direttamente nel negoziato. Due mesi dopo, con gli ostaggi allo stremo, Mr. Ali, il cui vero nome è Alì Mohammed Ali, richiama direttamente Gullestrup e in pochi giorni si chiude l’accordo su 1,7 milioni di dollari. In cambio Ali riceverà 75 mila dollari e i soldi del riscatto verranno rimborsati dalla compagnia di assicurazioni Channing Lukas & Partners di Londra. 

Il riscatto parte da Copenaghen a bordo di un jet privato fino a Gibuti, poi con un piccolo aeroplano ad elica viene paracadutato a Eyl. Settantuno giorni dopo il sequestro sembra tutto finito, ma in realtà è l’inizio della fase più pericolosa. “Erano circa le dieci del mattino quando tutti i pirati coinvolti sono saliti a bordo armati” ricorda il capitano della nave Andrey Nozhkin. Assieme ai pirati arriva da terra anche uno stuolo di negozianti, uomini d’affari e creditori che a torto o a ragione reclamano parte del bottino avendo investito sull’operazione e mantenuto nave ed equipaggio per due mesi.

Sulla spartizione dei soldi scoppia il caos: “Chi chiedeva troppo si trovava con le mani schiacciate nelle porte come punizione – racconta il capitano – Poi hanno cominciato a sparare e ad affrontarsi a colpi di coltello. Altre barche con uomini armati si sono avvicinate alla nave aprendo il fuoco”. Sedici ore dopo i “creditori” sono tornati a terra ricchi e soddisfatti e i pirati hanno diviso il resto del riscatto. 

Il 2 giugno 2007 viene sequestrata la nave danese Danica White al largo delle coste somale. I pirati telefonano all’armatore della compagnia H. Folmer & Co chiedendo 1,5 milioni di dollari. La polizia danese viene informata e per un mese il negoziato prosegue fino a quando l’armatore ingaggia un mediatore privato e le autorità si rivolgono all’Fbi per assistenza. Le assicurazioni coprono il valore del riscatto che i servizi danesi, in collaborazione con l’Fbi ritirano da una banca negli Stati Uniti in contanti. I numeri di serie delle banconote vengono registrati. La cifra finale del riscatto è di 723 mila dollari, metà in biglietti da 100 e il resto da 50. Il contante è portato da una compagnia di sicurezza ai rappresentanti dei pirati in un hotel di Dubai il 18 agosto 2007. Poco dopo la nave viene liberata, ma le autorità danesi non sono mai riuscite a tracciare i soldi del riscatto. 

I pirati somali abbordano la nave belga Pompei il 18 aprile 2009. Il governo partecipa al negoziato fin dall’inizio. Il riscatto è discusso in almeno 160 telefonate, per poi venir paracadutato in mare vicino alla nave sequestrata. Il governo belga dichiara che è stato coperto dalle assicurazioni assicurazioni. Gli investigatori sospettano che i soldi, dopo la consegna siano passati dalla Somalia a Gibuti e poi trasferiti negli Emirati Arabi Uniti attraverso il sistema di transazione Hawala. 

La superpetroliera Sirius Star battente bandiera liberiana, ma di proprietà degli arabi della Saudi Aramco, sequestrata dai pirati somali il 17 novembre 2008, è la nave più grossa abbordata fino a quel momento. La petroliera trasporta un carico di greggio di 2 milioni di barili del valore di 100 milioni di dollari. Farah Abd Jameh, un presunto pirata, fornisce alla televisione satellitare al Jazeera una registrazione audio con le condizioni per la liberazione della nave. Nella registrazione viene spiegato che il riscatto verrà contato e controllato da una macchinetta che identifica i soldi falsi. 

Il 20 novembre 2008 i pirati chiedono 25 milioni di dollari imponendo un ultimatum. Quattro giorni dopo la cifra scende a 15 milioni. Il 9 gennaio 2009 la nave viene liberata dopo il lancio con il paracadute a guida Gps di un riscatto di 8 milioni di dollari. Il barchino di cinque pirati che hanno abbandonato la nave dopo la spartizione del bottino affonda a causa di una tempesta. Su uno dei cadaveri recuperati in mare vengono trovati 153 mila dollari in una busta di plastica. 

Il riciclaggio del bottino 

Secondo un rapporto dell’Unodc (l’agenzia delle Nazioni Unite per la lotta al crimine organizzato con sede a Vienna) sui flussi finanziari della pirateria i proventi dei riscatti vengono investiti in Kenya in attività legali come i trasporti pubblici e per merci, ristoranti. Stiamo parlando di dettagli rispetto al grosso del riciclaggio. I dati sono incerti, ma lo stesso Unodc accredita i sospetti sulla speculazione immobiliare a Eastleigh, il sobborgo di Nairobi abitato in maggioranza dai somali, che l’hanno trasformato in una specie di cittadella finanziaria soprannominata “piccola Mogadiscio”. 

Un altro paese della regione sospettato di riciclare il denaro dei pirati è la Tanzania. Fonti d’intelligence occidentale segnalano che i contanti dei sequestri vengono trasferiti anche a Gibuti. Dubai e gli Emirati Arabi sono “una base dei finanziatori dei pirati e la prima fonte di importazioni in Somalia”, secondo l’Unodc. Gran parte dell’equipaggiamento tecnologico per gli abbordaggi arriva da Dubai, come le macchine lussuose che i pirati si comprano con i soldi dei riscatti. Il dipartimento di stato Usa ha definito Dubai “il centro finanziario delle reti di pirateria che operano al largo della Somalia”. 

La diaspora 

Alcuni somali immigrati in occidente sono complici dei pirati. E la notizia riguarda direttamente l’Italia. Lo ha rivelato il rapporto confidenziale del Monitoring Group al Consiglio di sicurezza dell’Onu dello scorso 27 giugno. A pagina 18, il punto 46 recita testualmente: “Investigando i movimenti e gli investimenti dei proventi della pirateria il Monitoring Group ha identificato alcuni trasferimenti finanziari fra i pirati somali ed individui della diaspora (…) collegati a una serie di casi di sequestro come l’Al Khaliq (2010), Orna (2010), Irene SL (2011), Rosalia D’Amato (2011) ed Enrico Ievoli (2011)”. Le due navi italiane, D’Amato e Ievoli, fanno parte delle 4 sequestrate per lunghi periodi fra il 2009 e il 2012. 

Al punto 46 del rapporto si fa riferimento anche all’allegato 4.4 “Strictly Confidential”. Secondo una fonte riservata nella pagina e mezza secretata “vengono indicati alcuni nomi di persone che sono coinvolte nel riciclaggio di denaro proveniente dai riscatti pagati per ottenere la liberazione degli equipaggi e dei mercantili tenuti in ostaggio dai pirati. Persone che sono già ben note alle forze di polizia italiane e all’Interpol”.


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20 maggio 2013 | Radio Capodistria | intervento
Somalia
Il tesoro de pirati
Tutto quello che non è mai stato detto sul "Tesoro dei pirati" ovvero i 400 milioni di dollari pagati per liberare le navi sequestrate. A Radio Capodistria dopo il convegno sulla pirateria somala organizzato dall'Autorità portuale al Punto Franco vecchio di Trieste.

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