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Articolo
15 agosto 2013 - Esteri - Egitto - Il Giornale
La rabbia islamica contro i cristiani e il rischio che finisca come in Algeria

L'Egitto rischia di sprofondare nella sanguinosa deriva algeri­na degli anni Novanta, quan­do i militari cancellarono la vittoria isla­micaalleelezioniscatenandounapauro­sa guerra civile che è costata 150mila morti. Il pugno di ferro contro i Fratelli musul­mani potrebbe p­ortare le frange più gio­vani ed estremiste alla lotta armata. Non solo: il massacro di ieri al Cairo ha provo­cato, come una scossa di terremoto, scontri in tutto il Paese, che sono sfociati in attacchi alle chiese della minoranza cristiana.
Lo stato di emergenza dichiarato dal presidenteprovvisorio, AdlyMansour, ri­corda quello algerino di vent'anni fa. Gli islamici del Fis vinsero le elezioni nel di­cembre 1991. Il 4 gennaio i militari chiu­sero il Parlamento e iniziò una spavento­sa
 guerra civile durata dieci anni. Il 3 lu­glio il presidente eletto dei Fratelli musul­mani, Mohammed Morsi, è stato destitu­ito dall'attuale ministro della Difesa, ge­nerale Abdel Fattah El Sisi appoggiato da un’ampia fetta della popolazione. Ieri i militari e la polizia hanno scatenato il ba­gno di sangue per sgomberare i presidi della Fratellanza al Cairo che protestava­no contro il «golpe».A Rabba,uno dei sit­in smantellati nella capitale, si è assistito a un prologo della guerra civile: cecchini governativi sparavano dai tetti e militan­ti islamici rispondevano al fuoco.
La Fratellanza è un movimento politi­co- religioso storico in Egitto, che fin dai tempi di Nasser veniva represso e viveva in clandestinità. Il pericolo è che si formi
 una costola armata sull’esempio di Ha­mas, il movimento palestinese che co­manda a Gaza ispirato dai Fratelli musul­mani. Gli alleati non mancano. Ieri il gruppo Al Jamaa Al Islamiya, vicino ai so­stenitori di Morsi, ha annunciato che in Egitto «ci sarà una rivoluzione globale in tutto il Paese». Non si tratta di neofiti, ma degli eredi della formazione terrorista che insanguinarono il Paese negli anni Ottanta uccidendo il presidente Sadat e decine di turisti. I suoi membri hanno ab­bandonato da tempo la lotta armata, ma in questo caos potrebbero tornare ad im­bracciare le armi.
Chi fin dalle ore precedenti alla deposi­zione di Morsi aveva minacciato il Jihad è Mohammed Al Zawahiri, fratello mino­re
 di Ayman, il capo di Al Qaida dopo la morte di Bin Laden. Mohammed, scarce­rato grazie alla rivolta contro Mubarak, è uno dei leader dei Salafiti per la guerra santa, un cartello di gruppi estremisti egi­ziani.
Come in Algeria le zone desertiche e montagnose sono state per un decennio roccaforte del Fronte islamico e dei suoi eredi, il Sinai è già una terra di nessuno dove si nascondono cellule integraliste benarmategrazieaicontrabbandieribe­duini.
Una miscela esplosiva, ma la vera inco­gnita è il ruolo del potente partito salafita Al Nour, la seconda formazione politica egiziana. A parole stanno con i «martiri» islamici uccisi dalle forze di sicurezza,
ma nei fatti cercano di fare le scarpe ai Fra­telli musulmani attirando il loro elettora­to. Dopo la deposizione di Morsi hanno addirittura trattato con il nuovo premier Hazem El Beblawi ed il vice premier Mohammad El Baradei. Quest’ultimo è l'anima più liberale del governo che non voleva l'intervento armato contro i Fratel­li musulmani. E per questo motivo, ieri, ha dato le dimissioni.
Ma le somiglianze con la tragediadel­l’Algeria non sono finite. Il generale Al Si­si aveva annunciato pubblicamente la destituzione di Morsi con al suo fianco l'imam di Al Azhar, la più importante isti­tuzione musulmana del Paese ed il «pa­pa » dei copti. Ieri la guida di Al Azhar ha preso le distanze dall'intervento di eserci­to e polizia. Due chiese e un centro giova­nile cristiano, invece, sono stati presi d'as­salto e incendiati dagli islamici, come rappresaglia al bagno di sangue del Cai­ro.
Una deriva algerina scatenerebbe la caccia ai cristiani copti, che sono oltre il 10 per cento della popolazione.

[continua]

video
21 agosto 2013 | Uno Mattina | reportage
I Fratelli musulmani piegati dalla piazza e dai militari
Sull'Egitto i grandi inviati sono rimasti infatuati dai Fratelli musulmani duramente repressi, ma gran parte degli egiziani non stava più con loro e non li considerava delle vittime

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10 febbraio 2016 | Sky Tg24 | reportage
Il caso Regeni
I misteri di un'orribile moret al Cairo. I suoi supervisori dell'università di Cambridge lo avevano messo in guardia sui rischi che correva?

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23 febbraio 2016 | Porta a Porta | reportage
Il caso Regeni
Un video, denunce pubbliche dei pericoli per gli studenti in Egitto e scritti militanti mostrano un altro volto dei referenti accademici inglesi di Giulio Regeni. Non sono solo professori universitari, ma attivisti contro il regime egiziano oppure erano a conoscenza dei rischi della ricerca al Cairo dello studente friulano. Lo rivela il numero di Panorama in edicola con un titolo forte: “Le colpe dei docenti di Cambridge”.

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radio

15 febbraio 2016 | Zapping Radio uno | intervento
Egitto
Misteri e sospetti sulla morte di Regeni
Ospedali Bombardati in Siria.Non si fermano i raid:Germano Dottori analista strategicoLuiss,Gastone Breccia esperto Medio Oriente,Loris De Filippi presidente MSF. I misteri ed i sospetti sulla morte di Regeni:Fausto Biloslavo.

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07 aprile 2016 | Zapping Rai Radio 1 | intervento
Egitto
Regeni: la pista inglese
Le referenti accademiche di Regeni sono protette da un insolito tabù mediatico e governativo. In realtà proprio il ruolo delle docenti di Cambridge potrebbe indirizzare verso il movente dell’orribile fine del giovane ricercatore. Maha Abdulrahaman, la sua tutor di origini egiziane, l’11 giugno dello scorso anno aveva tenuto una conferenza sui “Diritti umani in Egitto” a Cambridge nella sede di Amnesty international, che ha lanciato la campagna “verità per Giulio”. La conferenza denunciava le “forme di repressione contro giornalisti, studenti, attivisti, lavoratori e cittadini ordinari”. Pur conoscendo bene i pericoli ha controfirmato l’analisi del rischio presentata da Regeni all’università per poter andare al Cairo. La sua sodale, Alexander, ha storto il naso contro la “tardiva” presa di posizione britannica: “Quando un dottorando viene torturato ed ucciso i ministri sembrano riluttanti a dire qualcosa di critico sulle autorità egiziane”. In ottobre con Regeni al Cairo, grazie ai suoi contatti, la docente di Cambridge pubblicava un’analisi proponendo l’alleanza fra gli attivisti di sinistra ed i Fratelli musulmani “capace di farla finita con il regime del generale” Al Sisi, presidente egiziano. Il 25 ottobre firmava un appello contro la visita del capo dello stato egiziano a Londra, poi pubblicato su Ikhwanweb, il sito ufficiale dei Fratelli musulmani. Il 4 novembre con Regeni sempre in prima linea al Cairo arringava la piazza a Londra bollando Al Sisi come “un assassino” sollevando l’entusiasmo e lo sventolio delle bandiere della Fratellanza. Il tutto immortalato in un video, che non può essere sfuggito ai servizi inglesi ed egiziani. Alexander fin dal 2009 è in contatto con Maha Azzam, presidente dell’Egyptian Revolutionary Council, il governo ombra dell’opposizione ad Al Sisi con sede a Ginevra. La Farnesina non ha mai voluto commentare questa parte, inquietante ed ambigua, del caso Regeni, che potrebbe portare al movente del delitto.

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