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Articolo
01 settembre 2013 - Esteri - Siria - Il Giornale
Assad, da mite oculista a nemico numero uno degli Usa
Bashar al Assad non è Sad­dam Hussein finito sulla forca e neppure il colonnello Ghed­dafi linciato a Sirte. Farlo fuori, come vorrebbero in molti, non sarà un'impresa facile. E pensa­re che nel giugno 2000, quando Bashar ha ereditato dal padre Hafez, la carica di presidente, la successione era stata saluta­ta come una svolta positiva per la Siria. A tal punto che la stam­pa Usa lo definiva bonariamen­te «il timido dottore», che avrebbe potuto dare speranza al Paese.
Oggi è diventato il nemico pubblico numero uno accusa­to di gasare la sua gente, ma la storia del presidente siriano parte in tutt'altra direzione. Na­to l'11 settembre di 48 anni fa ha l'altezza di un giocatore da pallacanestro. A Damasco si laurea diventando oculista, a differenza del padre militare di ferro. Nel 1992 si trasferisce a Londra per continuare gli stu­di, dove ritrova Asma al Akras, rampolla di una nota famiglia sunnita. I due si conoscono fin da bambini e lei lascerà la pro­mettente carriera nel mondo bancario internazionale per sposare Bashar. Donna di mon­do non abbandonerà, però, l'at­trazione per lo shopping di lus­so.
Il giovane Assad, che parla in­glese e francese, neppure pen­sa
 alla successione a Damasco fino a quando nel 1994 un'inci­den­te stradale toglie la vita a Ba­sil, il fratello maggiore adorato dal padre. Il «timido» Bashar viene preferito all'altro fratel­lo, Maher, che oggi comanda la terribile 4ª divisione meccaniz­zata della Guardia repubblica­na. Il futuro presidente, che ama il nuoto e naviga in inter­net, entra in fretta e furia nell' accademia militare, ma alla morte del padre ha solo 34 an­ni. Per questo devono cambia­re la costituzione, che prevede un capo dello Stato non al di sot­to dei 40.
Le potenze occidentali accol­gono positivamente il giovane presidente di un Paese come la Siria in perenne conflitto con Israele. I suoi primi anni al pote­re sono ricordati come «la pri­mavera di Damasco» per le ri­forme economiche, che apro­no agli investitori stranieri e le timide aperture politiche. In re­altà la Siria rimane un Paese an­cora lontano dalla democrazia a maggioranza sunnita, ma gui­dato da Assad che rappresenta la minoranza alawita, per di più di fede musulmana sciita.
Il primo braccio di ferro del giovane Assad con gli america­ni
 inizia con l'invasione dell' Iraq del 2003. I servizi siriani aiutano i militanti islamici che vanno a combattere contro i marines a Bagdad. Come un boomerang i loro eredi della guerra santa ora sono tornati in Siria per abbattere il regime.
Nel 2005 l'assassinio del pre­mier libanese,
 Rafiq Hariri, co­sta ad Assad la ritirata definiti­va da Beirut. Con il vicino Iran la Siria firma un patto di mutua difesa ed il suggello dell'allean­za sciita è l'appoggio di Dama­sco ai miliziani libanesi di Hezbollah, che adesso ricam­biano.
Il «dottore» non più timido continua a venir vezzeggiato dall'Europa. Nel 2010, il presi­dente Giorgio Napolitano gli consegna la più alta onorificen­za italiana. Il Quirinale la revo­cherà lo scorso anno per il ba­gno di sangue della guerra civi­le. Non l'avevamo mai fatto neppure con Tito ed i coniugi Ceausescu.
Nel marzo 2011, un anno do­po la visita di Napolitano, la «primavera araba» esplode an­che in Siria per diventare ben presto un inferno. Sul primo momento Assad silura ministri e promette cambiamenti, ma le forze di sicurezza sparano sui manifestanti. A loro volta i Fratelli musulmani, che hanno il dente avvelenato con la dina­stia alawita, fomentano la rivol­ta, che sfocia in brutale guerra civile.
L'ex oculista presidente scampa ad un paio di attentati, veri o presunti, e si arrocca con­tro i «terroristi» quando vengo­no decapitati i ve­rtici della Dife­sa a Damasco con uno spettaco­lare attentato.
 Nei primi anni al potere Bashar o la moglie Asma amavano farsi vedere nel centro di Damasco per poi ce­nare in ristorante con una blan­da scorta. Il fine settimana lo passavano nella villa sul mare a Latakya, roccaforte alawita, con i tre figli piccoli. Adesso nel granitico palazzo presidenzia­le a Damasco si sente tuonare il cannone. Assad, dopo due an­ni di guerra civile e 100mila morti, compresi non pochi go­vernativi sembra averlo lascia­to da un pezzo in attesa del col­po di maglio americano. 
www.faustobiloslavo.eu
 
[continua]

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