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19 gennaio 2014 - Esteri - Pakistan - Il Giornale
E di Giovanni Lo Porto nessuno si ricorda più
Un silenzio lungo due anni per l’unico ostaggio italiano ancora di­sperso, fino a ieri quando sono spariti altri due connazionali in Libia. Gio­vanni Lo Porto è stato rapito in Paki­stan il 19 gennaio 2012 e da allora è ca­lato l’oblio sul suo caso. Siciliano di 38 anni, è il sequestrato meno rivendicato da­gli stessi tagliagole che lo hanno preso e il me­no ricordato, almeno dai media e dall’opinio­ne pubblica pronta a mobilitarsi per ostaggi blasonati come i gior­nalisti.
La Farnesina adotta come sempre la tattica del silenzio, che dopo due anni non è più di­screzione,
 ma cappa di piombo, se non tombale. Giancarlo, come lo chia­mano gli amici, è stato rapito un giove­dì sera mentre rientrava a Multan, cit­tà della regione pachistana del Punjab.Con lui c’era Bernd Johannes Muehlembeck, cooperante tedesco della Ong germanica Welt Hunger Hil­fe, che aveva ingaggiato Lo Porto co­me logista. I due sono stati prelevati a poca distanza da un commissariato di polizia. Nel sud Punjab operano i gruppi del terrore Jaish-i-Moham­mad and Lashkar-i-Jhangvi legati ai resti di Al Qaida e ai talebani. Dopo il rapimento i due ostaggi sarebbero stati ceduti alle bande jihadiste e portati nelle aree tribali, terra di nes­suno fra Pakistan e Af­ghanistan. Nel dicem­bre 2012 il rapito tede­sco è apparso in un vi­deo di 52 secondi. «Sia­mo in difficoltà. Per fa­vore accogliete le richie­ste dei mujahiddin. Pos­sono ucciderci in qual­siasi momento», dichiarava su detta­tura. Per fortuna parlava al plurale,esi­le prova dell’esistenza in vita di Lo Por­to. Dopo il video non è arrivata più al­cuna notizia, almeno ufficialmente. «È strano questo lungo silenzio, ma bi­sogna tener conto che gli ostaggi sono tanti, in gran parte pachistani e servo­no ad ottenere soldi e scambi di prigio­nieri in tempi lunghi», spiega al Gior­naleRahimullah Yusufzai da Pe­shawar. Decano dei giornalisti pachi­stani ha incontrato mullah Omar, il leader guercio dei talebani, intervista­to Osama bin Laden, il defunto capo di Al Qaida e chiamava al satellitare il comandate Dadullah, quando teneva in ostaggio l’inviato di Repubblica Da­niele Mastrogiacono. «È ancora poco chiaro quale gruppo li tenga prigionie­ri- sottolinea Yusufzai parlando del te­desco e di Lo Porto - . Non ho prove, ma penso che siano ancora vivi».
In caso contrario qualcosa sarebbe trapelato. Il problema è che nella zona tribale si sta giocando un nuovo e spor­co «grande gioco» fra pachistani, tale­bani e americani in
 vista del ritiro del­la Nato dall’Afghanistan. La Cia conti­nua a colpire con i droni dal cielo e sor­vegliare il territorio che nasconde de­cine di ostaggi. «I rapiti sono sempre più pedine, merce di scambio e assicu­razione sulla vita in vista del ritiro da Kabul e dei negoziati a riguardo fra Islamabad ed i talebani. Veri e propri scudi umani» spiega una fonte del Giornale che conosce bene il caso. L’ostaggio tedesco richiede un coordi­namento con la Germania. «Il silenzio dipende anche da loro» osserva la fon­te, ma non basta. Il nostro governo de­ve affrontare i pachistani con decisio­ne offrendo co­ncessioni e facendo ca­pire che dopo due anni il caso va risol­to.
Le Ong italiane si stanno mobilitan­do per non dimenticare Lo Porto, che sembra un rapito di serie B. Amici e colleghi hanno girato un video sempli­ce ma toccante, lanciando una petizio­ne su change. org. Per dare una scossa alla politica con l’obiettivo di far au­mentare l’impegno nel tirarlo fuori ci vuole di più, come era stato fatto per al­tri cooperanti presi in ostaggio: dopo due anni il silenzio non paga.
[continua]

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17 dicembre 2014 | Radio24 | intervento
Pakistan
Orrore a Peshawar
E' di almeno 141 morti e 250 feriti il bilancio del brutale attacco talebano in una scuola di Peshawar, in Pakistan. Una strage che fa urlare all'orrore più di altre per il simbolo che si è voluto colpire e gli oltre 100 bambini uccisi. «Abbiamo scelto con attenzione l'obiettivo da colpire. Il governo sta prendendo di mira le nostre famiglie e le nostre donne. Vogliamo che provino lo stesso dolore» ha riferito il portavoce del commando che ha rivendicato l'attentato. L'indignazione e la rabbia hanno fatto il giro del mondo. Ne parliamo con l'ambasciatore italiano a Islamabad Adriano Chiodi Cianfarani e Fausto Biloslavo, giornalista di guerra per il Giornale.

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