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Reportage
05 marzo 2014 - Esteri - Ucraina - Il Giornale
Nella caserma sotto assedio: “Contro Mosca per la libertà”
Il soldato dello Zar questa volta non nasconde le inse­gne. Sul colbacco nero por­ta lo stemma con l’ancoradella flotta russa del Cremlino. Un blindato di traverso sbarra la strada e un ufficiale nervoso sa solo dire «no comment». I miliziani filo russi di Feodos­ya sono aggressivi e considera­no tutti i giornalisti americani e spie. «I soldati russi sono fratel­li. Abbiamo chiesto noi a Putin di mandarli per proteggerci dai fascisti di Kiev. Vogliamo torna­re alla nostra patria, la santa ma­dre Russia » sostiene Larissa Ku­razkhina, che ha perso il nonno durante la Seconda Guerra mondiale. Oltre il cordone russo, che cir­co­nda la base ucraina di un bat­taglione di marines, non si pas­sa, ma i militari ancora fedeli a Kiev hanno un piano per farci entrare. Un ufficiale in borghe­se vestito di nero si mescola fra la folla e ci fa un segnale per se­guirlo. La nostra guida avanza lungo stradine fangose fino a un altro posto di blocco. Subito dopo ci sono i soldati ucraini. Passiamo senza problemi ed entriamo dall’ingresso secon­dario della base per non farci ve­dere. Un drappello di giovani mari­nes­sta prendendo di corsa posi­zione. Altri portano al posto di guardia all’ingresso confezioni di acqua minerale e viveri. I Btr, blindati di stampo russo del bat­taglione di fanti di marina, so­no schierati nella piazza d’armi pronti all’uso.
Per la prima volta un giornali­sta italiano si trova dentro una caserma ucraina in Crimea as­sediata dalle truppe del Cremli­no. «Tutte le vie d’accesso alla base sono bloccate da soldati della flotta russa del Mar Nero. Ci hanno intimato più volte di consegnare le armi. Stiamo ne­goziando, ma non ci arrendere­mo e se attaccati combattere­mo » dichiara al
 Giornale il te­nente colonnello Dimitry Del­gatiszsky. Il comandante ricor­da come lo scorso anno in P­olo­nia il suo battaglione abbia par­tecipato a un’esercitazione Na­to assieme agli italiani. Per far­lo cedere sono partiti sms e let­tere minatorie con la minaccia «di impiccargli la famiglia». E i russi hanno tagliato l'elettricità alla base sotto assedio.
Ieri mattina i soldati di Mo­sca hann­o sparato in aria all’ae­roporto militare di Bilbek all’ar­rivo di truppe ucraine che mar­ciavano
 con il passo di parata e la bandiera per riprendersi la base. A Yevpatoria, in una ca­serma della difesa aerea, 150militari di Mosca sono invece riusciti a sfondare occupando­la.
Per convincere i marines di Feodosya ad abbandonare le armi è arrivato due giorni fa l’ammiraglio Denis Berezo­vskiy, ex comandante della Ma­rina passato con il potere filo russo in Crimea. I militari fedeli a Kiev non l’hanno fatto entra­re.
Il maggiore Volodimir Ba­ranyuk è uno spilungone di 36 anni, che parla inglese e ci gui­da nella base. L’ingresso princi­pale è sprangato e avvolto nel reticolato. I marines hanno piazzato dei copertoni e cavalli di frisia per ostacolare un’even­tuale irruzione. Un blindato ucraino è messo di traverso. A una cinquantina di metri sono schierati i mezzi russi e le prime sentinelle in assetto da combat­timento.
I soldati ucraini, alcuni giova­nissimi, sono appesantiti dal giubbotto anti proiettile, le mu­nizioni, l’elmetto e l’armamen­to con i caricatori inseriti.
Taras Semkiv, 22 anni, ha vis­suto a Napoli. E in italiano ci tie­ne a dire: «Sono un tenente dei marines e resistiamo. Voglia­mo sicurezza e libertà per il po­polo dell’Ucraina».
I marines al cancello princi­pale lanciano l’allarme. I mili­ziani filo russi di «samooboro­na » si stanno muovendo verso la base «armati» di bastoni. Ve­terani, signore aggressive, gio­vani con il fiocco giallo e nero di San Giorgio, segno distintivo della milizia, corrono lungo le mura di cinta urlando ai soldati ucraini «fascisti, fascisti».
I marines, armi a tracolla e ba­stone in mano si schierano da­vanti all’ingresso secondario dove circa 150 scalmanati cer­cano di entrare. Il maggiore Ba­ranyuk tenta di calmarli, ma quando vedono un pugno di giornalisti all’interno si scate­nano nella speranza di darci la caccia. Una ragazza salita su un blindato urla da oltre il cancel­lo, ma i filo-russi non riescono ad entrare. Il maggiore allarga le braccia: «Loro ci insultano, ma c’è anche gente che ciporta sigarette o viveri e sta dalla no­stra
 parte». 

video
03 marzo 2014 | TG5 | reportage
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Gli italiani di Crimea, emigrati nella penisola oltre duecento anni fa, furono deportati in Siberia e decimati da Stalin, che li considerava una spina nel fianco durante la seconda guerra mondiale. Poi sono tornati a Kerch, vicino all'ex confine con la Russia. Gli italiani di origine sono ancora 500.

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Una nuova Crimea


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Il nuovo presidente ucraino e la guerra civile nell'Est
I rapporti con Mosca, la crisi economica, la secessione del Donbas e lo spettro della guerra civile sempre più sanguinosa.

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27 marzo 2014 | La notte di radio uno | intervento
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