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Speciale
20 agosto 2014 - Esteri - Ucraina - Panorama
I profughi dimenticati nel cuore dell’Europa

Veniamo da Lugansk e siamo arrivati da sole 24 ore. Abbiamo resistito fino all’ultimo ma ormai non ne potevamo più. I bombardamenti sono continui. Niente acqua e anche il gas era finito». Il figlio e la nuora di nonna Liubov Ivanovna raccontano l’odissea dell’intera famiglia, fuggita dalla guerra senza quartiere nell’Ucraina orientale. L’anziana babushka trova ancora la forza di abbozzare un sorriso fra le tende del campo profughi russo di Novoshakhtinsk, 10 chilometri al di là del confine. Ora che il pericolo è scampato, Valeria, Lina ed Egor, i nipotini di nonna Ivanovna, vogliono farsi fotografare. 

«Ci siamo lasciati tutto alle spalle: casa, fattoria, animali» racconta la coppia di sopravvissuti. «Siamo scappati per i nostri figli. Fra tre settimane inizia l’anno scolastico e da noi ormai non esistono più né asili né scuole. È tutto distrutto». Lugansk è una delle roccaforti dei miliziani filorussi, che sognavano di separare la regione del Donbass dal resto dell’Ucraina. Il 5 agosto è stato proclamato in città «lo stato di catastrofe umanitaria». Acqua, elettricità e linee telefoniche sono tagliate e le forze governative impiegano artiglieria e cacciabombardieri per snidare i ribelli. Peccato che di mezzo ci vadano anche i civili. La tendopoli di prima accoglienza a Novoshakhtinsk ospita 1.000 profughi, ma nella regione russa confinaria di Rostov ce ne sono 50 mila. Dall’inizio della crisi sono riparate in Russia 730 mila persone. Numeri russi, che però vengono confermati anche dall’Onu. Vassily Golubev, governatore di Rostov, ha dichiarato che dal 4 giugno, con l’intensificarsi dei combattimenti, 220 mila rifugiati hanno passato la frontiera. Profughi dimenticati, di serie B, rispetto all’attenzione mediatica sugli sfollati palestinesi a Gaza oppure sui cristiani cacciati dai seguaci del Califfato in Iraq. E pensare che sono in fuga da una guerra nel cuore dell’Europa... 

«A Krasnodon, la mia città, ho lasciato tutto» racconta Tatiana Vladimirovna, 55 anni, arrivata al centro rifugiati di Novoshakhtinsk con il marito. Avevamo due case e i ricordi di una vita. Ce ne siamo andati con un paio di valigie e di certo non torneremo più indietro. La nostra vita in Ucraina è finita per sempre: abbiamo visto troppo dolore per tornarci. Il nostro vicino è stato ucciso nel suo orto, senza nessuna colpa». 

L’Onu parla di circa 1.300 civili uccisi e oltre 4 mila feriti (spesso a essere colpiti sono stati gli ospedali). Human rights watch ha denunciato l’utilizzo, da entrambe le parti, di razzi Grad. Le forze governative li hanno usati nelle ultime settimane in zone residenziali di Donetsk, la «capitale» ribelle. La città di 1 milione di persone è oramai circondata e sono state tagliate le vie di rifornimento dalla Russia. «Bombardano da tutte le parti, senza guardare in faccia nessuno. Siamo scappati dalla sera alla mattina buttando in macchina quello che riuscivamo» racconta al telefono Bruno Giudice, l’unico italiano rimasto a Donetsk fino all’ultimo. Adesso con moglie ucraina e due figli è sfollato, come molti concittadini, a Berdyansk, sul mare d’Azov. «L’avevo detto che finiva come l’ex Jugoslavia. Aspetto un attimo di tregua per andare a prendere un po’ di vestiti e poi, se non la smettono, andiamo in Italia». 

I governativi hanno riconquistato il 70 per cento del territorio occupato dai ribelli filorussi nel Donbass, che stanno perdendo la guerra. E l’esodo verso la Russia aumenta. Dopo una settimana sotto le tende nella regione di Rostov, i rifugiati vengono smistati da Samara a Tver’, da Ivanovo a Smolensk, in Siberia e persino nelle regioni d’oriente, più vicine a Cina e Giappone che all’Europa. «Bombardavano le strade per impedirci di fuggire in Russia» racconta Vladimirovna, occhi verdi e caschetto biondo fuggita dall’Ucraina il 9 agosto. «Abbiamo fatto un referendum e la stragrande maggioranza ha votato per l’indipendenza, che non ci è stata concessa. Altri stati europei sono nati allo stesso modo, come il Kosovo. Ma per alcuni le regole internazionali sono valide. Per noi no». 

L’ondata di profughi non viene accolta sempre a braccia aperte. A Samara, sulle rive del Volga, i rifugiati ucraini hanno scritto una lettera di protesta. «Dobbiamo pagare di tasca nostra la carta igienica e il sapone» raccontano. «Lucrano sulla nostra pelle e si approfittano di noi. Siamo stati dimenticati da tutti».   

L’ultimo capitolo della tragedia nel cuore dell’Europa è la «guerra» dei convogli umanitari. Il 12 agosto il presidente russo, Vladimir Putin, ha fatto partire una colonna di 280 camion con 2 mila tonnellate di aiuti diretto a Lugansk in fiamme. Sulla frontiera con l’Ucraina sono schierati almeno 20 mila soldati di Mosca, che secondo la Nato potrebbero cogliere il pretesto «umanitario» per invadere l’Ucraina come «forze di pace». Il presidente statunitense Barack Obama ne ha anche parlato al telefono con il nostro premier Matteo Renzi, che con l’Italia guida il semestre europeo. Nel frattempo, la guerra casa per casa continua mietendo vittime civili e provocando la fuga di 2 mila disperati al giorno.  



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