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11 gennaio 2015 - Prima - Italia - Il Giornale
L’italiana che è pronta a colpirci
Anche l'Italia ha la sua prima lady Jihad, al secolo Maria Giulia Sergio, 27 anni, di Torre del Greco, convertita all'Islam come Fatima Az Zahra. Dallo scorso anno ha fatto perdere le tracce raggiungendo i combattenti della guerra santa in Siria. E guarda caso nel 2011 firmava assieme alla sorella Marianna, pure convertita, un appello a favore del niqab, il velo islamico. La sorpresa è che fra le 48 firme sotto il testo inviato al senatore a vita Azeglio Ciampi spicca quella di «Ibrahim Giuliano Delnevo, studente, Genova»: il primo italiano attirato dalla sirene jihadiste in Siria dove ha trovato la morte combattendo contro il regime del presidente Bashar al Assad.
Non solo: la volontaria della guerra santa sarebbe partita grazie a dei contatti negli ambienti degli estremisti balcanici radicati nel nostro paese, come Bilal Bosnic arrestato in Bosnia e Shefqet Krasniqi finito in manette in Kossovo per l'invio di volontari in Siria.
Maria Giulia nata a Torre del Greco, sobborgo di Napoli, fa parte di una famiglia normale e non musulmana. La deriva inizia con una storia d'amore. Il primo compagno, un marocchino, la porta sulla strada della conversione nel 2009. Lei molla gli usi e costumi occidentali cominciando a pregare rivolta verso la Mecca e portando il velo.
Non a caso il 16 settembre 2011 sottoscrive un appello a favore del niqab «minacciato» da alcune proposte di legge. «Nel nome del Dio unico» è l'incipit dell'appello rivolto al senatore Ciampi, ex presidente della Repubblica. Il testo è stato scritto e fatto girare da Umar Andrea Lazzaro, fondatore dell'Associazione islamica genovese e sodale di Delnevo il futuro «martire» della guerra santa. Le firmatarie sono soprattutto donne: una studentessa di Treviso, la maestra d'asilo di Varese, casalinghe, impiegate a Bergamo e Firenze. Quasi tutti nomi italianissimi di donne che si sono convertite all'Islam.
Si rivolgono a Ciampi perché «Lei in passato già prese a cuore il caso di una nostra sorella che venne multata per via del suo velo, dunque speriamo che voglia darci la possibilità di far sentire la nostra voce». In pratica chiedono che non sia approvata alcuna legge contro il velo, che sarebbe anticostituzionale. «Come potrà constatare nel leggere le firme in calce, noi siamo in maggioranza italiane, nate in Italia, spesso abbiamo dovuto “combattere” contro il volere delle nostre famiglie, che avrebbero voluto farci rinunciare al velo. - scrivono - Molte di noi non hanno ancora 30 anni e molte hanno almeno una laurea».
L'ottava firma è quella di Delnevo, uno dei pochi uomini, seguita più in basso da Maria Giulia Sergio e dalla sorella Marianna tre anni più anziana, che sarebbe ancora in Italia.
La famiglia di lady Jihad si trasferisce dalla Campania alla Lombardia nel piccolo centro di Inzago in provincia di Milano, dove anche la madre diventa musulmana. Maria Giulia trasformata in Fatima lascia il primo compagno e si sposa nella moschea di Treviglio con un albanese. La giovane convertita si sposta con il nuovo consorte nella zona di Grosseto, dove vive la famiglia dell'uomo. L'ambiente albanese diventa il volano della radicalizzazione. Nel 2012 arriva nella zona di Siena Bilal Bosnic. Un imam itinerante che ha aderito all'Isis e diventerà fonte di ispirazione per la partenza dell'imbianchino di Longarone, Ismar Mesinovic, che ha trovato la morte in Siria.
Nel 2013 proprio a Grosseto un gruppo islamico albanese ospita per un grosso evento, Shefqet Krasniqi, arrestato in Kosovo lo scorso settembre con l'accusa di aver reclutato jihadisti da mandare in Siria. Maria Giulia potrebbe aver seguito lo stesso percorso grazie al marito albanese. Il Raggruppamento operativo speciale dei carabinieri ha ricostruito i suoi spostamenti grazie agli impulsi del cellulare. In settembre ha lasciato l'Italia acquistando a Roma un biglietto aereo per la Turchia. Poi sarebbe proseguita per la Siria con un gruppo di jihadisti albanesi.
Venerdì alla Camera il ministro dell'Interno, Angelino Alfano, ha confermato che quattro dei 53 combattenti della guerra santa partiti dal nostro paese erano connazionali. Uno di questi è una donna, Maria Giulia Sergio, la prima italiana pronta a morire per Allah.
www.gliocchidellaguerra.it
[continua]

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18 ottobre 2010 | La vita in diretta - Raiuno | reportage
L'Islam nelle carceri
Sono circa 10mila i detenuti musulmani nelle carceri italiane. Soprattutto marocchini, tunisini algerini, ma non manca qualche afghano o iracheno. Nella stragrande maggioranza delinquenti comuni che si aggrappano alla fede per sopravvivere dietro le sbarre. Ma il pericolo del radicalismo islamico è sempre in agguato. Circa 80 detenuti musulmani con reati di terrorismo sono stati concentrati in quattro carceri: Macomer, Asti, Benevento e Rossano. Queste immagini esclusive mostrano la preghiera verso la Mecca nella sezione di Alta sicurezza 2 del carcere sardo di Macomer. Dove sono isolati personaggi come il convertito francese Raphael Gendron arrestato a Bari nel 2008 e Adel Ben Mabrouk uno dei tre tunisini catturati in Afghanistan, internati a Guantanamo e mandati in Italia dalla Casa Bianca. “Ci insultano per provocare lo scontro dandoci dei fascisti, razzisti, servi degli americani. Una volta hanno esultato urlando Allah o Akbar, quando dei soldati italiani sono morti in un attentato in Afghanistan” denunciano gli agenti della polizia penitenziaria. Nel carcere penale di Padova sono un centinaio i detenuti comuni musulmani che seguono le regole islamiche guidati dall’Imam fai da te Enhaji Abderrahman Fra i detenuti comuni non mancano storie drammatiche di guerra come quella di un giovane iracheno raccontata dall’educatrice del carcere Cinzia Sattin, che ha l’incubo di saltare in aria come la sua famiglia a causa di un attacco suicida. L’amministrazione penitenziaria mette a disposizione degli spazi per la preghiera e fornisce il vitto halal, secondo le regole musulmane. La fede nell’Islam serve a sopportare la detenzione. Molti condannano il terrorismo, ma c’è anche dell’altro....

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05 febbraio 2015 | Porta a Porta | reportage
IN RICORDO DELLE FOIBE E L'ESODO LA PUNTATA DI PORTA A PORTA


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10 giugno 2008 | TG3 regionale | reportage
Gli occhi della guerra.... a Bolzano /1
Il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, non dimentica i vecchi amici scomparsi. Il 10 giugno ha visitato a Bolzano la mostra fotografica “Gli occhi della guerra” dedicata ad Almerigo Grilz. La mostra è stata organizzata dal 4° Reggimento alpini paracadutisti. Gli ho illustrato le immagini forti raccolte in 25 anni di reportage assieme ad Almerigo e Gian Micalessin. La Russa ha ricordato quando "sono andato a prendere Fausto e Almerigo al ritorno da uno dei primi reportage con la mia vecchia 500 in stazione a Milano. Poco dopo li hanno ricoverati tutti e due per qualche malattia". Era il 1983, il primo reportage in Afghanistan e avevamo beccato l'epatite mangiando la misera sbobba dei mujaheddin, che combattevano contro le truppe sovietiche.

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radio

25 maggio 2010 | Spazio Radio - Radio 1 | intervento
Italia
L'Islam nelle carceri italiane
In Italia su oltre 23mila detenuti stranieri, 9840 risultano musulmani, secondo i dati ufficiali. Almeno seimila, però, non si sono dichiarati. Il rapporto di 364 pagine, “La radicalizzazione jihadista nelle istituzioni penitenziarie europee”, realizzato dall’esperto di Islam nella carceri, Sergio Bianchi, ne indica 13mila.
In Italia ci sono circa 80 islamici dietro le sbarre per reati connessi al terrorismo. Dal 2009 li hanno concentrati in quattro istituti di pena: ad Asti, Macomer, Benevento e Rossano. Nel carcere di Opera, invece, sono arrivati Adel Ben Mabrouk, Nasri Riadh e Moez Abdel Qader Fezzani, ex prigionieri di Guantanamo. Chi li controlla ogni giorno racconta che parlano in italiano. La guerra santa in Afghanistan l’hanno abbracciata dopo aver vissuto come extracomunicatori nel nostro paese. Non si possono incontrare fra loro e vivono in celle singole. Pregano regolarmente con molta devozione e hanno mantenuto i barboni islamici.

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03 gennaio 2011 | Radio Capodistria - Storie di bipedi | intervento
Italia
Gli occhi della guerra
Le orbite rossastre di un bambino soldato, lo sguardo terrorizzato di un prigioniero che attende il plotone di esecuzione, l’ultimo rigagnolo di vita nelle pupille di un ferito sono gli occhi della guerra incrociati in tanti reportage di prima linea. Dopo l’esposizione in una dozzina di città la mostra fotografica “Gli occhi della guerra” è stata inaugurata a Trieste. Una collezione di immagini forti scattate in 25 anni di reportage da Fausto Biloslavo, Gian Micalessin e Almerigo Grilz, ucciso il 19 maggio 1987 in Mozambico, mentre filmava uno scontro a fuoco. La mostra, che rimarrà aperta al pubblico fino al 20 gennaio, è organizzata dall’associazione Hobbit e finanziata dalla regione Friuli-Venezia Giulia. L’esposizione è dedicata a Grilz e a tutti i giornalisti caduti in prima linea. Il prossimo marzo verrà ospitata a Bruxelles presso il parlamento europeo.Della storia dell'Albatross press agency,della mostra e del libro fotografico Gli occhi della guerra ne parlo a Radio Capodistria con Andro Merkù.

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20 giugno 2017 | WDR | intervento
Italia
Più cittadini italiani con lo ius soli
Estendere la cittadinanza italiana ai bambini figli di stranieri? È la proposta di legge in discussione in Senato in questi giorni. Abbiamo sentito favorevoli e contrari.

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27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti. “Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale. I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria. Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa. In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo. “In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani. Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.

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03 giugno 2019 | Radio Scarp | intervento
Italia
Professione Reporter di Guerra


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