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Esclusivo
28 gennaio 2015 - Attualità - Italia - Il Giornale
Imam non controllati nelle carceri italiane
Sabato scorso a Pisa un detenuto islamico ha devastato la sua cella cercando di aizzare gli altri compagni di carcere nel nome di Allah. Due giorni prima, durante una rissa, alcuni musulmani rinchiusi nel penale di Padova inneggiavano allo Stato islamico. Fra gli ultimi nove elementi pericolosi espulsi dall'Italia da fine dicembre compare il tunisino Dridi Sabri, che aveva appena finito di scontare una pena del 2010 per terrorismo internazionale e favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. L'espulso era detenuto a Rossano, il carcere dove sono ancora concentrati una decina di terroristi della guerra santa.
Sui 17.462 stranieri detenuti nel nostro paese, 5786 sono quelli osservanti, che all'ingresso si professano musulmani. Non solo: Negli ultimi dieci anni il numero delle «moschee» dietro le sbarre è esploso. Nel 2009 erano 120 gli istituti dove non si pregava Allah rispetto ad oggi che sono solo 18. Secondo il rapporto del febbraio 2014 «Le moschee negli istituti di pena», che si riferisce all'anno precedente, sono 132 le carceri dove si prega rivolti alla Mecca in cella o in aree a caso. Le moschee ricavate in carcere, come luogo fisso ed esclusivo di culto, sono pure aumentate a 52 sui 202 istituti censiti.
Il rapporto del ministero della Giustizia lancia un chiaro allarme: «Gli Istituti di Pena costituiscono un luogo dove gli estremisti possono creare una rete, reclutando e radicalizzando nuovi membri attraverso una campagna di proselitismo». L'aspetto più grave è che fra i detenuti sono spuntati come funghi gli «imam fai da te». Nel 2013 erano ben 181.
Nonostante i terroristi islamici in cella siano in gran parte rinchiusi a Rossano «anche nei circuiti comuni, vi possano essere detenuti integralisti di spessore i quali, se arrestati per reati minori, si trovano spesso in contesti dove sono presenti molti soggetti fragili, facilmente influenzabili» rivela il rapporto del ministero. Fra i musulmani osservanti dietro le sbarre 102 hanno la cittadinanza italiana e nel 2013 sono stati segnalati 19 convertiti. «In alcuni casi, nella logica ricorrente presso i nuovi adepti, tendono ad accentuare le manifestazioni della loro fede - spiega il rapporto - soprattutto per essere accettati ed integrati nella nuova comunità di appartenenza, arrivando a credere, sotto l'influenza di alcuni loro “fratelli” di fede, che le posizioni più radicali in ambito ideologico-politico siano espressioni di una maggiore sensibilità religiosa».
Un tema critico secondo Donato Capece, segretario del Sappe, sindacato degli agenti penitenziari: «Il carcere è luogo sensibile, da monitorare costantemente, per scongiurare pericolosi fenomeni di proselitismo del fondamentalismo islamico tra i detenuti».
L'ultimo episodio allarmante è avvenuto sabato scorso nel carcere di Pisa. «Un detenuto di origine islamica ha devastato completamente la sua cella incendiandola - denuncia il Sappe -. Dopo aver compiuto atti di autolesionismo ha cercato di aizzare gli altri inneggiando ad Allah».
Due giorni prima nel carcere Due Palazzi di Padova degli agenti penitenziari sono rimasti feriti in una rissa fra detenuti. Alcuni musulmani «di origine araba inneggiavano ad Allah e all'Isis» ha denunciato Capece. L'amministrazione penitenziaria getta acqua sul fuoco, ma il pericolo di una radicalizzazione islamica nelle carceri italiane non si può nascondere. Nel 2009 quando sei soldati italiani saltarono in aria in un attentato a Kabul, i detenuti islamici nella sezione di Alta sicurezza 2 di Macomer, in Sardegna, esultarono urlando «Allah o akbar» (Dio è grande). Fra questi c'era Adel Ben Mabrouk, uno dei tre tunisini ex prigionieri di Guantanamo che la Casa Bianca aveva spedito in Italia, poi rilasciato e mandato a casa sua nel 2011. L'«imam» del gruppetto jihadista era Raphael Gendron, un convertito francese arrestato a Bari nel 2008. Dopo quattro anni dietro le sbarre in Italia è stato rilasciato e ha raggiunto la Siria. Il 4 aprile 2013 è morto combattendo.
Nelle carceri italiane gran parte dei detenuti islamici non permettono agli agenti di toccare il Corano per controllare se c'è nascosto qualche messaggio, o altro, fra le pagine. Molti non si fanno visitare dalle donne e a Macomer avevano chiesto infermiere con il velo. I detenuti più estremisti insultano gli agenti di guardia bollandoli come «fascisti, razzisti o servi degli americani». I duri e puri dell'Islam riescono addirittura a protestare se una guardia porta una croce cristiana al collo.
Gli elementi jihadisti sono riusciti ad integrarsi con reclusi della criminalità comune, esponenti delle nuove Brigate Rosse e dell'area anarco-insurrezionalista. Uno dei casi più eclatanti di convertito in carcere è quello di Domenico Quaranta, che ha abbracciato l'islam nel penitenziario di Trapani. Nel 2002 era stato di nuovo arrestato per la preparazione di attentati ad Agrigento e nella metropolitana di Milano. Nel carcere palermitano dell'Ucciardone è diventato l'imam fai da te degli islamici.
Nel carcere Due Palazzi di Padova, dove hanno inneggiato al Califfato la scorsa settimana, è passato di tutto. Il ragazzo iracheno di 25 anni che raccontava di aver perso la sua famiglia in un attentato e parlava di incubi in cui, imbottito di tritolo, voleva farsi saltare in aria. Oppure l'imam fai da te che condannava Israele, ma non i mujaheddin che combattono in Afghanistan.
[continua]

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06 giugno 2017 | Sky TG 24 | reportage
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Fausto Biloslavo "Vado a fare il terrorista” è l’incredibile affermazione di Youssef Zaghba, il terzo killer jihadista del ponte di Londra, quando era stato fermato il 15 marzo dello scorso anno all’aeroporto Marconi di Bologna. Il ragazzo nato nel 1995 a Fez, in Marocco, ma con il passaporto italiano grazie alla madre Khadija (Valeria) Collina, aveva in tasca un biglietto di sola andata per Istanbul e uno zainetto come bagaglio. Il futuro terrorista voleva raggiungere la Siria per arruolarsi nello Stato islamico. Gli agenti di polizia in servizio allo scalo Marconi lo hanno fermato proprio perché destava sospetti. Nonostante sul cellulare avesse materiale islamico di stampo integralista è stato lasciato andare ed il tribunale del riesame gli ha restituito il telefonino ed il computer sequestrato in casa, prima di un esame approfondito dei contenuti. Le autorità inglesi hanno rivelato ieri il nome del terzo uomo sostenendo che non “era di interesse” né da parte di Scotland Yard, né per l’MI5, il servizio segreto interno. Il procuratore di Bologna, Giuseppe Amato, ha dichiarato a Radio 24, che "venne segnalato a Londra come possibile sospetto”. E sarebbero state informate anche le autorità marocchine, ma una fonte del Giornale, che ha accesso alle banche dati rivela “che non era inserito nella lista dei sospetti foreign fighter, unica per tutta Europa”. Non solo: Il Giornale è a conoscenza che Zaghba, ancora minorenne, era stato fermato nel 2013 da solo, a Bologna per un controllo delle forze dell’ordine senza esiti particolari. Il procuratore capo ha confermato che l’italo marocchino "in un anno e mezzo, è venuto 10 giorni in Italia ed è stato sempre seguito dalla Digos di Bologna. Abbiamo fatto tutto quello che si poteva fare, ma non c'erano gli elementi di prova che lui fosse un terrorista. Era un soggetto sospettato per alcune modalità di comportamento". Presentarsi come aspirante terrorista all’imbarco a Bologna per Istanbul non è poco, soprattutto se, come aveva rivelato la madre alla Digos “mi aveva detto che voleva andare a Roma”. Il 15 marzo dello scorso anno il procuratore aggiunto di Bologna, Valter Giovannini, che allora dirigeva il pool anti terrorismo si è occupato del caso disponendo un fermo per identificazione al fine di accertare l’identità del giovane. La Digos ha contattato la madre, che è venuta a prenderlo allo scalo ammettendo: "Non lo riconosco più, mi spaventa. Traffica tutto il giorno davanti al computer per vedere cose strane” ovvero filmati jihadisti. La procura ha ordinato la perquisizione in casa e sequestrato oltre al cellulare, alcune sim ed il pc. La madre si era convertita all’Islam quando ha sposato Mohammed il padre marocchino del terrorista che risiede a Casablanca. Prima del divorzio hanno vissuto a lungo in Marocco. Poi la donna è tornata casa nella frazione di Fagnano di Castello di Serravalle, in provincia di Bologna. Il figlio jihadista aveva trovato lavoro a Londra, ma nella capitale inglese era entrato in contatto con la cellula di radicali islamici, che faceva riferimento all’imam, oggi in carcere, Anjem Choudary. Il timore è che il giovane italo-marocchino possa essere stato convinto a partire per la Siria da Sajeel Shahid, luogotenente di Choudary, nella lista nera dell’ Fbi e sospettato di aver addestrato in Pakistan i terroristi dell’attacco alla metro di Londra del 2005. "Prima di conoscere quelle persone non si era mai comportato in maniera così strana” aveva detto la madre alla Digos. Il paradosso è che nessuna legge permetteva di trattenere a Bologna il sospetto foreign fighter ed il tribunale del riesame ha accolto l’istanza del suo avvocato di restituirgli il materiale elettronico sequestrato. “Nove su dieci, in questi casi, la richiesta non viene respinte” spiega una fonte del Giornale, che conosce bene la vicenda. Non esiste copia del materiale trovato, che secondo alcune fonti erano veri e propri proclami delle bandiere nere. E non è stato possibile fare un esame più approfondito per individuare i contatti del giovane. Il risultato è che l’italo-marocchino ha potuto partecipare alla mattanza del ponte di Londra. Parenti e vicini cadono dalle nuvole. La zia acquisita della madre, Franca Lambertini, non ha dubbi: “Era un bravo ragazzo, l'ultima volta che l'ho visto mi ha detto “ciao zia”. Non avrei mai pensato a una cosa del genere".

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06 settembre 2018 | Radio immaginaria | intervento
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Gli occhi della guerra
Le orbite rossastre di un bambino soldato, lo sguardo terrorizzato di un prigioniero che attende il plotone di esecuzione, l’ultimo rigagnolo di vita nelle pupille di un ferito sono gli occhi della guerra incrociati in tanti reportage di prima linea. Dopo l’esposizione in una dozzina di città la mostra fotografica “Gli occhi della guerra” è stata inaugurata a Trieste. Una collezione di immagini forti scattate in 25 anni di reportage da Fausto Biloslavo, Gian Micalessin e Almerigo Grilz, ucciso il 19 maggio 1987 in Mozambico, mentre filmava uno scontro a fuoco. La mostra, che rimarrà aperta al pubblico fino al 20 gennaio, è organizzata dall’associazione Hobbit e finanziata dalla regione Friuli-Venezia Giulia. L’esposizione è dedicata a Grilz e a tutti i giornalisti caduti in prima linea. Il prossimo marzo verrà ospitata a Bruxelles presso il parlamento europeo.Della storia dell'Albatross press agency,della mostra e del libro fotografico Gli occhi della guerra ne parlo a Radio Capodistria con Andro Merkù.

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27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti. “Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale. I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria. Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa. In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo. “In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani. Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.

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