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Articolo
08 aprile 2015 - Attualità - Siria - Il Giornale
Quei 3.500 bambini profughi in mano ai tagliatelle dell’Isis
«Una nuova Srebrenica». È la denuncia dell'Onu per la mattanza in corso nel campo palestinese di Yarmuk, alla periferia di Damasco, dove sono avanzate le bandiere nere, mai così vicine alla capitale siriana. I tagliagole del Califfo hanno lanciato un'offensiva il primo aprile conquistando gran parte dell'area. Ancora più spietati delle truppe governative, che circondavano il campo con un assedio medievale da due anni, stanno macellando chiunque si opponga. Il deputato arabo-israeliano Ahmed Tibi parla di mille morti. Decapitazioni, esecuzioni porta a porta, attacchi indiscriminati per piegare le fazioni palestinesi che controllavano il campo. Ribelli contro ribelli della sanguinosa primavera araba siriana, che non risparmia neppure i più innocenti. «Almeno 3.500 bambini sono intrappolati all'interno del campo. Rischiano di venire uccisi o feriti e hanno bisogno di cibo, acqua, medicine e protezione», denuncia Save the children. A Yarmuk, una volta abitato da 160mila persone sono rimasti in 18mila. L'Unicef, l'agenzia delle Nazioni unite per i bambini denuncia che si rischia «una nuova Srebrenica». Il riferimento è al genocidio di 8mila musulmani dell'enclave musulmana in Bosnia del 1995.
«Ho visto due miliziani dell'Isis che tiravano calci a una testa decapitata come se fosse un pallone. Sembrava che giocassero a calcio», racconta Amjaad Yaaqub, 16 anni, che è riuscito a salvarsi. Un altro scampato, Ibrahim Abdel Fatah, che ha raggiunto il quartiere limitrofo di Tamadun controllato dal governo siriano, conferma: «Ho visto teste senza corpo. Hanno ucciso bambini davanti ai loro genitori. Eravamo terrorizzati».
Dopo un viottolo giri un angolo e ti trovi di fronte ad un cumulo di macerie di due anni di battaglie. Nidi di mitragliatrici e cecchini sono dappertutto e ogni tanto cade qualche colpo di mortaio da una parte e dall'altra. Yarmuk era già sprofondato all'inferno con l'assedio che ha ridotto alla fame gli abitanti, ma l'avanzata delle bandiere nere ha reso ancora più terribile la situazione. I miliziani del Califfato hanno pubblicato le foto delle decapitazioni e mentre sparano con le mitragliatrici pesanti in strada o da una casa all'altra. Dalla moschea al centro del campo mandano agghiaccianti appelli ai rivali palestinesi: «Arrendetevi o vi annienteremo». Il loro obiettivo è la capitale. Il centro di Damasco dista appena 5 km. La fazione Aknaf Bayt al Maqdis, fedele a Hamas, combatte ancora, ma lo Stato islamico ha conquistato fra il 60 ed il 90 per cento del campo. I «cugini» rivali di Al Qaida, il fronte al Nusra, stanno a guardare o appoggiano tacitamente le bandiere nere sperando con la prossima offensiva di stanare il presidente siriano Bashar al Assad asserragliato nella capitale.
L'orrore dell'Isis non si ferma alla «nuova Srebrenica» alle porte di Damasco. In Irak, dopo la liberazione nei giorni scorsi di Tikrit occupata dal Califfo, sono state scoperte una dozzina di fosse comuni. Per ora hanno restituito 20 cadaveri, ma si teme che nelle fosse siano sepolti 1700 soldati, in gran parte cadetti sciiti catturati dall'Isis nell'avanzata in Irak dello scorso anno. I tagliagole avevano filmato vessazioni, percosse e la mattanza dei prigionieri dell'ex base Usa di Camp Speicher, fra l'11 e il 12 giugno 2014. Le esecuzioni sono avvenute nell'ex palazzo di Saddam, in riva al fiume che lambisce una vallata soprannominata della morte e nel deserto. A Tikrit i crimini dello Stato islamico stanno venendo alla luce, ma alle porte di Damasco continuano.

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25 gennaio 2016 | Tg5 | reportage
In Siria con i russi
La guerra dei russi in Siria dura da 4 mesi. I piloti di Mosca hanno già compiuto 5700 missioni bombardando diecimila obiettivi. In queste immagini si vedono le bombe da 500 o 1000 chili sganciate sui bersagli che colpiscono l’obiettivo. Un carro armato della bandiere nere cerca di dileguarsi, ma viene centrato in pieno e prende fuoco. In Siria sono impegnati circa 4mila militari russi. La base aerea a 30 chilometri dalla città siriana di Latakia è sorvolata dagli elicotteri per evitare sorprese. Le bombe vengono agganciate sotto le ali a ritmo continuo. I piloti non parlano con i giornalisti, ma si fanno filmare con la visiera del casco abbassato per evitare rappresaglie dei terroristi. Il generale Igor Konashenkov parla chiaro: “Abbiamo strappato i denti ai terroristi infliggendo pesanti perdite - sostiene - Adesso dobbiamo compiere il prossimo passo: spezzare le reni alla bestia”. Per la guerra in Siria i russi hanno mobilitato una dozzina di navi come il cacciatorpediniere “Vice ammiraglio Kulakov”. Una dimostrazione di forza in appoggio all’offensiva aerea, che serve a scoraggiare potenziali interferenze occidentali. La nave da guerra garantisce la sicurezza del porto di Tartus, base di appoggio fin dai tempi dell’Urss. I soldati russi ci scortano nell’entroterra dilaniato dai combattimenti. Negli ultimi tre anni la cittadina era una roccaforte del Fronte al Nusra, la costola siriana di Al Qaida. Le bombe russe hanno permesso ai governativi, che stavano perdendo, di riguadagnare terreno. Sul fronte siriano i militari di Mosca usano il blindato italiano Lince. Lo stesso dei nostri soldati in missione in Afghanistan.

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23 gennaio 2014 | Televisione Svizzera Italiana | reportage
I cristiani combattono
I cristiani in Siria vivono fra due fuochi e iniziano a difendersi, armi in pugno. 

Queste sono le giovani reclute del Sutoro, una milizia cristiana nel nord del paese travolto dalla guerra civile. Le immagini sono state girate dagli stessi miliziani.

I cristiani siriaci combattono al fianco dei curdi contro gli estremisti islamici di Al Qaida.

Il nome Sutoro deriva da un’antica preghiera in aramaico, la lingua di Gesù Cristo.

Dall’Europa non partono per la Siria solo volontari della guerra santa islamica.

Ma pure giovani cristiani per proteggere le loro comunità minacciate di estinzione. 
Come raccontano i rappresentanti della diaspora cristiana nel vecchio continente.

Da Locarno è partito per la Siria Johann Cosar, un ex sergente dell’esercito elvetico. 
Ufficialmente per documentare le sofferenze dei cristiani, ma in realtà ha dato una mano ad addestrare la milizia del Sutoro.
Dei volontari cristiani in Siria, giunti dall'Europa, parla il rappresentante del Centro culturale mesopotamico di Locarno

Sait il padre di Johan Cosar, il giovane di Locarno partito per la Siria, è un cittadino svizzero ed esponente di spicco del Partito che ha fondato la milizia cristiana. 

I servizi segreti di Damasco lo hanno arrestato lo scorso agosto.

La famiglia non parla con la stampa ma a Berna il Dipartimento federale degli Esteri è informato del caso.

Il governo siriano sostiene che Sait Cosar sia morto per infarto. 

Duecentomila cristiani sono già fuggiti dalla guerra civile. 
I loro rappresentanti, assieme ai curdi, avevano chiesto all’Onu di partecipare a Ginevra 2, senza ottenere risposta.
Nel futuro della Siria, per i cristiani, è in gioco la sopravvivenza.

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09 settembre 2013 | Tg5 | reportage
La battaglia di Maalula perla cristiana
Fausto Biloslavo, appena arrivato in Siria si trova al centro degli scontri tra governanti e ribelli. Il video terribile ed il racconto della battaglia

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[altri video]
radio

02 dicembre 2015 | Radio uno Tra poco in edicola | intervento
Siria
Tensione fra Turchia e Russia
In collegamento con Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa. In studio conduce Stefano Mensurati.

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02 luglio 2015 | Radio24 | intervento
Siria
La famiglia jihadista
"Cosa gradita per i fedeli!!! Dio è grande! Due dei mujaheddin hanno assassinato i fumettisti, quelli che hanno offeso il Profeta dell'Islam, in Francia. Preghiamo Dio di salvarli”. E’ uno dei messaggi intercettati sulla strage di Charlie Hebdo scritto da Maria Giulia Sergio arruolata in Siria nel Califfato. Da ieri, la prima Lady Jihad italiana, è ricercata per il reato di associazione con finalità di terrorismo internazionale. La procura di Milano ha richiesto dieci mandati di cattura per sgominare una cellula “familiare” dello Stato islamico sotto indagine da ottobre, come ha scritto ieri il Giornale, quando Maria Giulia è arrivata in Siria. Il procuratore aggiunto Maurizio Romanelli ha spiegato, che si tratta della “prima indagine sullo Stato Islamico in Italia, tra le prime in Europa”.

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