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11 luglio 2015 - Attualità - Italia - Il Giornale
Dalla Russia agli Usa Ecco la rete segreta degli spioni informatici
Pressioni su Palazzo Chigi, collaborazione con l'Fbi e la Dea in Colombia, l'antidroga americana, ma pure dimostrazioni per la Cia e l'Fsb, il servizio segreto russo. Tutti interessati all'Hacking team, la società milanese che vendeva l'Rcs, uno dei programmi di intercettazione migliori al mondo. Fino allo scorso 6 luglio, quando gli attivisti informatici di Wikileaks hanno penetrato i computer dell'azienda pubblicando, giovedì notte, in rete, un milione di e-mail aziendali.
La polizia postale italiana, nel 2004, è stato il primo cliente che ha acquistato Rcs. Poi il boom: «In Italia lo usano tutti, ma proprio tutti», scrive David Vincenzetti, amministratore delegato dell'Hacking team. Via mail si vanta che i prodotti della società sono serviti a «casi spettacolari, cose da prima pagina. Capi Mafia identificati e arrestati, assassini che non si trovano da anni, la P4 totalmente disintegrata». Uno di questi è l'inchiesta su Luigi Bisignani. Fra i clienti non solo le forze dell'ordine, ma pure i servizi segreti, come l'Aise, l'intelligence per l'estero. In uno scambio di mail interne si sottolinea come il direttore del servizio, Alberto Manenti, «ha guidato il ministro al nostro stand». Il riferimento è al ministro della Difesa, Roberta Pinotti, al salone sugli armamenti di quest'anno ad Abu Dhabi. Wikileaks ha messo in rete anche le fatture dell'Hacking team, compresa quella del 21 novembre 2014 alla presidenza del consiglio, per «manutenzione e assistenza evolutiva del sistema Rcs» per le intercettazioni. Tre mesi, da settembre a dicembre, valgono l'importo di 33.625 euro.
Negli stessi giorni l'azienda si era mossa per fare pressioni su Palazzo Chigi a causa di una norma comunitaria recepita dal ministero dello Sviluppo economico, sulle autorizzazioni per l'esportazione di prodotti sensibili, che rischiava di azzerare i suoi affari in giro per il mondo. Una mail rivela: «La società, tra l'altro, è partecipata da Finlombarda e, a questo proposito, - scrive chi sta aiutando l'Hacking team - ho intenzione di incontrare presto il vice segretario generale Lele Tiscar (uomo di fiducia del premier Matteo Renzi alla Presidenza del Consiglio nda), come sai ex Finlombarda».
Nelle mail aziendali non mancano commenti sarcastici su Renzi e Silvio Berlusconi. Gran parte dei contenuti però si basano su articoli di stampa. Anche i tweet del giornale.it su Matteo Salvini vengono ripresi dagli spioni informatici. L'Hacking team viene addirittura invitato all'aeroporto militare di Mitiga, a Tripoli, per una fiera militare nei giorni in cui scoppia una furiosa battaglia per il controllo della capitale. «Per la Libya sono scettico, è un failed state, possiamo chiedere l'autorizzazione ma davvero non so se è un paese in black list - scrive Vincenzetti -. Magari comincia a informarlo sulla documentazione che dev'essere firmata dal cliente governativo per una nostra vendita? Poi possiamo procedere».
Al contrario con il Sudan, governato da un presidente ricercato per crimini di guerra, i contatti vanno a gonfie vele. Uno degli esperti della società milanese scrive nell'agosto 2014: «Da quel che ricordo, da remoto avevo personalmente ripristinato l'intero funzionamento del sistema, qualche mese fa». L'Hacking team fa affari anche in Bangladesh e illustra al Battaglione di azione rapida la portata dei suoi prodotti. Peccato che sia un'unità bollata da associazioni dei diritti umani come «squadrone della morte».
Marco ricapitola a Walter, all'interno della società, le presentazioni dei prodotti: «L'hai fatta completa alla Polizia Olandese e all'intelligence della Bielorussia». Altri esperti sono stati in Qatar, Khazakstan ed Egitto ad offrire il mitico Rcs. I militari libanesi saldano una fattura di 1,5 milioni di dollari, ma alcuni bonifici, tutti in rete, sono arrivati dai carabinieri. La Polizia postale ha pagato 229mila euro nel 2012 e l'anno dopo lo Scico (Servizio centrale di investigazione sulla criminalità) versava 400mila euro. In una mail del 2011 indirizzata alla società si legge che «è stato richiesto dall'Fsb (il servizio segreto russo ndr) un incontro il 20/9 per una discussione tecnica e possibile dimostrazione di Rcs».
Lo stesso anno dei russi «Alex (…) ha chiesto una trial full optional (quindi tutte le piattaforme) per il cliente Cia», il servizio segreto Usa. L'Fbi utilizza i sistemi dell'Hacking team, ma per il «2016 dobbiamo negoziare un nuovo contratto (a un prezzo più alto)». Con i sauditi le offerte di Milano per l'addestramento viaggiavano sul mezzo milione di euro. La grande commessa arriva dalla Dea, l'agenzia antidroga americana. «Sono ansiosi di mantenere i rapporti con HT», scrive uno degli uomini dell'azienda il 20 maggio. I milanesi garantiscono il «supporto a Bogotà» per intercettare i trafficanti di droga colombiani. E la Dea vuole «uno dei nostri esperti nella stanza delle operazioni per meglio comprendere le opzioni» del sistema di intercettazione, oramai bruciato.

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06 giugno 2017 | Sky TG 24 | reportage
Terrorismo da Bologna a Londra
Fausto Biloslavo "Vado a fare il terrorista” è l’incredibile affermazione di Youssef Zaghba, il terzo killer jihadista del ponte di Londra, quando era stato fermato il 15 marzo dello scorso anno all’aeroporto Marconi di Bologna. Il ragazzo nato nel 1995 a Fez, in Marocco, ma con il passaporto italiano grazie alla madre Khadija (Valeria) Collina, aveva in tasca un biglietto di sola andata per Istanbul e uno zainetto come bagaglio. Il futuro terrorista voleva raggiungere la Siria per arruolarsi nello Stato islamico. Gli agenti di polizia in servizio allo scalo Marconi lo hanno fermato proprio perché destava sospetti. Nonostante sul cellulare avesse materiale islamico di stampo integralista è stato lasciato andare ed il tribunale del riesame gli ha restituito il telefonino ed il computer sequestrato in casa, prima di un esame approfondito dei contenuti. Le autorità inglesi hanno rivelato ieri il nome del terzo uomo sostenendo che non “era di interesse” né da parte di Scotland Yard, né per l’MI5, il servizio segreto interno. Il procuratore di Bologna, Giuseppe Amato, ha dichiarato a Radio 24, che "venne segnalato a Londra come possibile sospetto”. E sarebbero state informate anche le autorità marocchine, ma una fonte del Giornale, che ha accesso alle banche dati rivela “che non era inserito nella lista dei sospetti foreign fighter, unica per tutta Europa”. Non solo: Il Giornale è a conoscenza che Zaghba, ancora minorenne, era stato fermato nel 2013 da solo, a Bologna per un controllo delle forze dell’ordine senza esiti particolari. Il procuratore capo ha confermato che l’italo marocchino "in un anno e mezzo, è venuto 10 giorni in Italia ed è stato sempre seguito dalla Digos di Bologna. Abbiamo fatto tutto quello che si poteva fare, ma non c'erano gli elementi di prova che lui fosse un terrorista. Era un soggetto sospettato per alcune modalità di comportamento". Presentarsi come aspirante terrorista all’imbarco a Bologna per Istanbul non è poco, soprattutto se, come aveva rivelato la madre alla Digos “mi aveva detto che voleva andare a Roma”. Il 15 marzo dello scorso anno il procuratore aggiunto di Bologna, Valter Giovannini, che allora dirigeva il pool anti terrorismo si è occupato del caso disponendo un fermo per identificazione al fine di accertare l’identità del giovane. La Digos ha contattato la madre, che è venuta a prenderlo allo scalo ammettendo: "Non lo riconosco più, mi spaventa. Traffica tutto il giorno davanti al computer per vedere cose strane” ovvero filmati jihadisti. La procura ha ordinato la perquisizione in casa e sequestrato oltre al cellulare, alcune sim ed il pc. La madre si era convertita all’Islam quando ha sposato Mohammed il padre marocchino del terrorista che risiede a Casablanca. Prima del divorzio hanno vissuto a lungo in Marocco. Poi la donna è tornata casa nella frazione di Fagnano di Castello di Serravalle, in provincia di Bologna. Il figlio jihadista aveva trovato lavoro a Londra, ma nella capitale inglese era entrato in contatto con la cellula di radicali islamici, che faceva riferimento all’imam, oggi in carcere, Anjem Choudary. Il timore è che il giovane italo-marocchino possa essere stato convinto a partire per la Siria da Sajeel Shahid, luogotenente di Choudary, nella lista nera dell’ Fbi e sospettato di aver addestrato in Pakistan i terroristi dell’attacco alla metro di Londra del 2005. "Prima di conoscere quelle persone non si era mai comportato in maniera così strana” aveva detto la madre alla Digos. Il paradosso è che nessuna legge permetteva di trattenere a Bologna il sospetto foreign fighter ed il tribunale del riesame ha accolto l’istanza del suo avvocato di restituirgli il materiale elettronico sequestrato. “Nove su dieci, in questi casi, la richiesta non viene respinte” spiega una fonte del Giornale, che conosce bene la vicenda. Non esiste copia del materiale trovato, che secondo alcune fonti erano veri e propri proclami delle bandiere nere. E non è stato possibile fare un esame più approfondito per individuare i contatti del giovane. Il risultato è che l’italo-marocchino ha potuto partecipare alla mattanza del ponte di Londra. Parenti e vicini cadono dalle nuvole. La zia acquisita della madre, Franca Lambertini, non ha dubbi: “Era un bravo ragazzo, l'ultima volta che l'ho visto mi ha detto “ciao zia”. Non avrei mai pensato a una cosa del genere".

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03 febbraio 2012 | UnoMattina | reportage
Il naufragio di nave Concordia e l'allarme del tracciato satellitare


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10 giugno 2008 | Emittente privata TCA | reportage
Gli occhi della guerra.... a Bolzano /2
Negli anni 80 lo portava in giro per Milano sulla sua 500, scrive Panorama. Adesso, da ministro della Difesa, Ignazio La Russa ha voluto visitare a Bolzano la mostra fotografica Gli occhi della guerra, dedicata alla sua memoria. Almerigo Grilz, triestino, ex dirigente missino, fu il primo giornalista italiano ucciso dopo la Seconda guerra mondiale, mentre filmava uno scontro fra ribelli e governativi in Mozambico nell’87. La mostra, organizzata dal 4° Reggimento alpini paracadutisti, espone anche i reportage di altri due giornalisti triestini: Gian Micalessin e Fausto Biloslavo.

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radio

24 maggio 2010 | Radio Padania Libera | intervento
Italia
Proselitismo islamico dietro le sbarre
“Penso che sia giusto se alcuni musulmani combattono la guerra santa contro gli americani in paesi che non sono la loro terra”. Dopo un lungo girarci attorno Kamel Adid sorprende un po’ tutti, quando sputa il rospo. La domanda riguardava i mujaheddin, i musulmani pronti a morire per Allah, contro l’invasore infedele. Tre soldati della guerra santa, arrivati un paio di mesi fa da Guantanamo, sono rinchiusi poco più in là, nel reparto di massima sicurezza del carcere di Opera, alle porte di Milano.
Adid è un giovane marocchino di 31 anni con barbetta islamica d’ordinanza e tunica color noce. Nel carcere modello di Opera fa l’imam dei 44 musulmani detenuti, che frequentano una grande sala adibita a moschea. Un predicatore fai da te, che di solito parla un linguaggio moderato e ti guarda con occhioni apparentemente timidi.
Deve scontare ancora due mesi di pena per un reato legato alla droga e da pochi giorni è stato trasferito in un altro istituto. “Quelli che si fanno saltare in aria subiscono il lavaggio del cervello – si affretta a spiegare l’autonominato imam – Noi abbiamo riscoperto la fede in carcere. Pregare ci da conforto, ci aiuta ad avere speranza”.

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27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti. “Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale. I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria. Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa. In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo. “In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani. Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.

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20 giugno 2017 | WDR | intervento
Italia
Più cittadini italiani con lo ius soli
Estendere la cittadinanza italiana ai bambini figli di stranieri? È la proposta di legge in discussione in Senato in questi giorni. Abbiamo sentito favorevoli e contrari.

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03 gennaio 2011 | Radio Capodistria - Storie di bipedi | intervento
Italia
Gli occhi della guerra
Le orbite rossastre di un bambino soldato, lo sguardo terrorizzato di un prigioniero che attende il plotone di esecuzione, l’ultimo rigagnolo di vita nelle pupille di un ferito sono gli occhi della guerra incrociati in tanti reportage di prima linea. Dopo l’esposizione in una dozzina di città la mostra fotografica “Gli occhi della guerra” è stata inaugurata a Trieste. Una collezione di immagini forti scattate in 25 anni di reportage da Fausto Biloslavo, Gian Micalessin e Almerigo Grilz, ucciso il 19 maggio 1987 in Mozambico, mentre filmava uno scontro a fuoco. La mostra, che rimarrà aperta al pubblico fino al 20 gennaio, è organizzata dall’associazione Hobbit e finanziata dalla regione Friuli-Venezia Giulia. L’esposizione è dedicata a Grilz e a tutti i giornalisti caduti in prima linea. Il prossimo marzo verrà ospitata a Bruxelles presso il parlamento europeo.Della storia dell'Albatross press agency,della mostra e del libro fotografico Gli occhi della guerra ne parlo a Radio Capodistria con Andro Merkù.

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03 giugno 2019 | Radio Scarp | intervento
Italia
Professione Reporter di Guerra


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