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12 luglio 2015 - Attualità - Bosnia Erzegovina - Il Giornale
Srebrenica, vent’anni di odio Sassi contro il premier serbo
Srebrenica, 20 anni dopo, ma le ferite del massacro e dell'odio etnico non si rimarginano. Al grido di «Allah o akbar (Dio è grande, ndr)», che in tempi di bandiere nere non va molto di moda, il premier serbo, Alexander Vucic, è stato preso a sassate sommerso dai fischi e costretto alla fuga dalla commemorazione della strage. Nessun slogan di protesta all'ex presidente americano, Bill Clinton, che l'11 luglio 1995 era alla Casa Bianca. Pochi giorni fa sono stati pubblicati documenti classificati che dimostrano come la Cia, dalla stazione di Vienna, seguisse in diretta il massacro grazie ai satelliti spia ed informatori sul posto. Clinton non mosse un dito per fermare l'orrore di Srebrenica e la Nato bombardò solo dopo i serbi trascinandoli ad un tavolo della pace firmata negli Usa a Dayton.
Il primo ministro di Belgrado era andato in Bosnia a commemorare Srebrenica con parole forti: «La Serbia condanna in maniera chiara e senza ambiguità questo terribile crimine, esprime disgusto verso chi vi prese parte e continuerà a deferirli alla giustizia». Davanti alle telecamere ha firmato il libro delle condoglianze a Potocari, dove ieri sono stati seppelliti gli ultimi 136 corpi identificati e recuperati dalle fosse comuni riempite dai serbo bosniaci del generale Ratko Mladic, sotto processo a L'Aja.
Munira Subasic, presidente delle madri che hanno perso i loro figli nella mattanza di Srebrenica costata la vita ad 8200 musulmani, ha appuntato sul bavero di Vucic un fiore verde e bianco del ricordo. Davanti ad 80 capi di governo, di Stato ed altre personalità, come la presidente della Camera, Laura Boldrini, tutto sembrava procedere per il meglio, ma all'uscita del memoriale di Potocari è scoppiata la rabbia. La delegazione serba è stata assalita con lanci di bottiglie, scarpe e pietre. Il primo ministro si è riparato con un ombrello e le guardie del corpo hanno usato per proteggerlo le speciali borse che diventano una specie di coperta anti proiettile. Secondo la Bbc la gente urlava «morte ai cetnici», il nome dei partigiani serbi della seconda guerra mondiale affibbiata ai serbi durante l'assedio di Sarajevo.
All'inizio la sicurezza bosniaca è sembrata dissolta. Vucic è stato colpito alla bocca da una pietra e ha perso gli occhiali, che si sono rotti nel parapiglia. La delegazione serba è fuggita ripresa impietosamente dalle telecamere con pochi agenti locali che cercavano di calmare gli animi. L'impressione è che ci si aspettasse la violenta protesta e si volesse lasciar fare. Solo un presunto assalitore è stato fermato.
Prima di arrivare Vucic aveva scritto in un messaggio per l'anniversario: «Qui a Srebrenica ognuno di noi deve chinare il capo, non dimenticare ed iniziare a costruire un futuro migliore».
I familiari delle vittime probabilmente ricordano che Vucic, nel 1995, quando muoveva i primi passi politici nel partito Radicale, ultra nazionalista, pochi giorni dopo il massacro aveva dichiarato: «Per ogni serbo morto, uccideremo 100 musulmani».
Vent'anni dopo si è allontanato dalle posizioni oltranziste ed è andato, coraggiosamente a Srebrenica in nome della riconciliazione. La stessa protesta avrebbe dovuto accogliere Clinton o il rappresentante dell'Onu, che ha ammesso: «Venti anni fa la comunità internazionale ha fallito». A cominciare dai caschi blu, che non hanno protetto l'enclave di Srebrenica, anche se avrebbero dovuto farlo. Non solo: con le ultime rivelazioni è saltato fuori che l'Onu fornì 30mila litri di carburante ai camion serbi, che portavano i prigionieri musulmani verso le fosse comuni.
Da Belgrado la reazione è stata durissima. «È scandaloso e possiamo ritenerlo un tentato omicidio» ha denunciato il ministro dell'Interno serbo, Nebojsa Stefanovic. Per il ministero degli Esteri di Belgrado si è trattato di «un attacco alla Serbia». Poi lo stesso Vucic ha stemperato l'episodio ribaddendo che «la mano tesa e la politica di riconciliazione» con i musulmani bosniaci «andrà avanti». Le ferite di Srebrenica, però, sono ancora aperte e la Bosnia divisa e rabbiosa.
[continua]

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07 settembre 2020 | Quarta Repubblica | reportage
Con i migranti illegali della rotta balcanica
I migranti pachistani della rotta balcanica attraversano di corsa il confine fra Bosnia e Croazia. Dal tappo bosniaco 8mila migranti vogliono partire verso l’Italia. E oltre 4mila sono arrivati in Friuli-Venezia Giulia dall’inizio dell’anno. I migranti chiamano the game, il gioco, il tragitto clandestino fino all’Italia, ma c’è chi prova dieci o venti volte prima di riuscire a passare. I croati usano droni, camere termiche e non trattano i migranti con i guanti, che vivono in condizioni estreme. Nel cantone di Bihac la situazione è esplosiva. La popolazione vuole la chiusura dei campi di accoglienza. A Bihac i cooperanti italiani aiutano i migranti. Centinaia di migranti sono intrappolati nella terra di nessuno fra la zona serba e musulmana della Bosnia. Nessuno li vuole e li spinge da una parte e dall’altra.Così scoppiano scontri con i migranti che gridano Allah o akbar, dio è grande, sfidando la polizia. Per arrivare in Italia usano una app che indica la posizione anche senza internet.In molti vivono in edifici fatiscenti. Nei campi ufficiali non mancano le rivolte. E se verranno chiusi sarà ancora peggio. Questi marocchini appena respinti dai croati ci proveranno ancora come gli altri 8mila migranti.

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