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09 gennaio 2016 - Prima - Italia - Il Giornale
“Io, trattato da cane perché cristiano”
Prima l'hanno trattato come un cane facendolo mangiare gli avanzi da solo, perché un infedele non può sedere allo stesso tavolo con dei musulmani duri e puri. Poi il gruppetto di 15 pachistani ha cercato di convertirlo mostrandogli il video dei sermoni di un predicatore estremista. E hanno pure maltrattato ed insultato una loro connazionale, colpevole di essere cristiana e di vestirsi troppo all'occidentale. Non è capitato in Siria, Iraq o Afghanistan nelle aree controllate da bandiere nere o talebani, ma a casa nostra, in un centro di accoglienza per rifugiati del centro Italia. «Amo il vostro paese e non è giusto che venga sfruttato in questo modo da gente, che non ha alcuna intenzione di integrarsi. Per questo ho deciso di raccontare cosa sta accadendo» spiega un giovane ucraino scappato dalla Crimea annessa dai russi. Per evitargli problemi non riveliamo il suo nome ed il capoluogo di provincia dove si trova il centro ricavato in un ex albergo. Però lo conosciamo bene. La nostra fonte ha lavorato come interprete per il Giornale e altri inviati occidentali durante la secessione della Crimea con grande professionalità e coraggio.Lui, europeo, che ha ottenuto asilo politico in Italia pure per non andare a combattere i filo russi nel Donbass, viene discriminato da una banda di rifugiati pachistani, in nome dell'Islam. A tutti è già stato rifiutato la prima volta l'asilo, ma hanno fatto ricorso e sono ancora ospiti a nostre spese.«Siamo in 25, la maggioranza pachistani, qualche ragazzo africano ed io» racconta la fonte. «Non pensavo che i pachistani odiassero così tanto i cristiani - aggiunge il ragazzo scappato dalla Crimea - La scorsa settimana non volevano mangiare con me. Non mi davano proprio il cibo. Dicevano che non era pronto. Poi quando loro hanno finito è saltato fuori il mio piatto. E' una discriminazione ridicola». Secondo i musulmani duri e puri pranzare assieme ai kufar, gli infedeli, è peccato. In realtà il ragazzo europeo non è molto religioso, ma ha la pelle bianca e non si genuflette certo verso la Mecca. «Nel centro c'è anche una cristiana pachistana con suo figlio, che ha ancora in testa le schegge di un attentato subito a Peshawar - spiega la fonte - L'hanno insultata perché si vestiva troppo all'occidentale. Lei era terrorizzata. Dopo essere fuggita dagli estremisti islamici si ritrova in questa situazione». All'inizio, la donna, che ha pure ottenuto l'asilo politico voleva andarsene per la paura. A Peshawar, il capoluogo della zona tribale fra Pakistan e Afghanistan, infiltrata dai talebani, insegnava inglese nella scuola cattolica Saint Mary spesso chiusa per timore di attentati. L'aspetto più paradossale della piccola Peshawar creata dalla banda di pachistani nel centro di accoglienza italiano è «che vogliono l'asilo per ottenere i documenti europei ed un lavoro, ma per loro stessa ammissione si rifiutano di integrarsi» racconta il giovane ucraino. E aggiunge: «Ogni giorno c'è una lezione di italiano ed io ci vado sempre. I pachistani mai, anche se è un fattore importante conoscere la lingua per l'asilo. Mi hanno detto chiaro e tondo che siamo noi europei, che dobbiamo cambiare, non loro».Nonostante l'assurda discriminazione alla rovescia di chi chiede aiuto all'Europa, ma pretende di cambiarla, i 15 pachistani sono da un anno in Italia e nessuno li caccia via.Non solo: quando trovano una facile preda cristiana tentano pure di convertirla. «L'Islam è la migliore religione del mondo» hanno cominciato a ripetermi racconta il ragazzo europeo. «Poi mi mostrano dei video di un loro predicatore per farmi capire quanto sia bello e giusto seguire la religione musulmana» spiega l'ucraino. Il predicatore è Zakir Naik, di origine indiana, ma vive a Dubai. Personaggio controverso aveva detto che «se Osama Bin Laden terrorizza i nemici dell'Islam, allora io sto con lui». Naik vuole la sharia totale e la pena di morte per i gay. Nel 2010 gli hanno vietato l'ingresso in Gran Bretagna e Canada per i suoi sermoni.L'ucraino e la cristiana pachistana hanno fatto presente alla responsabile del centro l'assurda situazione. Nel frattempo il gruppetto islamico «non disdegna il vitto, l'alloggio e l'aiuto economico dell'Italia - fa notare l'europeo discriminato - Ma non conoscono una parola della vostra lingua, non si integrano e tantomeno dimostrano riconoscenza».
[continua]

video
05 ottobre 2010 | La vita in diretta - Raiuno | reportage
Islam, matrimoni forzati e padri assassini
Nosheen, la ragazza pachi­stana, in coma dopo le spranga­te del fratello, non voleva spo­sarsi con un cugino in Pakistan. Il matrimonio forzato era stato imposto dal padre, che ha ucci­so a colpi di mattone la madre della giovane di 20 anni schiera­ta a fianco della figlia. Se Noshe­e­n avesse chinato la testa il mari­to, scelto nella cerchia familia­re, avrebbe ottenuto il via libera per emigrare legalmente in Ita­lia. La piaga dei matrimoni com­binati nasconde anche questo. E altro: tranelli per rimandare nella patria d’origine le adole­scenti dove le nozze sono già pronte a loro insaputa; e il busi­ness della dote con spose che vengono quantificate in oro o migliaia di euro. Non capita solo nelle comuni­tà musulmane come quelle pa­chistana, marocchina o egizia­na, ma pure per gli indiani e i rom, che sono un mondo a par­te.

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21 settembre 2012 | La Vita in Diretta | reportage
Islam in Italia e non solo. Preconcetti, paure e pericoli


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04 luglio 2012 | Telefriuli | reportage
Conosciamoci
Giornalismo di guerra e altro.

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03 giugno 2019 | Radio Scarp | intervento
Italia
Professione Reporter di Guerra


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03 gennaio 2011 | Radio Capodistria - Storie di bipedi | intervento
Italia
Gli occhi della guerra
Le orbite rossastre di un bambino soldato, lo sguardo terrorizzato di un prigioniero che attende il plotone di esecuzione, l’ultimo rigagnolo di vita nelle pupille di un ferito sono gli occhi della guerra incrociati in tanti reportage di prima linea. Dopo l’esposizione in una dozzina di città la mostra fotografica “Gli occhi della guerra” è stata inaugurata a Trieste. Una collezione di immagini forti scattate in 25 anni di reportage da Fausto Biloslavo, Gian Micalessin e Almerigo Grilz, ucciso il 19 maggio 1987 in Mozambico, mentre filmava uno scontro a fuoco. La mostra, che rimarrà aperta al pubblico fino al 20 gennaio, è organizzata dall’associazione Hobbit e finanziata dalla regione Friuli-Venezia Giulia. L’esposizione è dedicata a Grilz e a tutti i giornalisti caduti in prima linea. Il prossimo marzo verrà ospitata a Bruxelles presso il parlamento europeo.Della storia dell'Albatross press agency,della mostra e del libro fotografico Gli occhi della guerra ne parlo a Radio Capodistria con Andro Merkù.

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25 maggio 2010 | Spazio Radio - Radio 1 | intervento
Italia
L'Islam nelle carceri italiane
In Italia su oltre 23mila detenuti stranieri, 9840 risultano musulmani, secondo i dati ufficiali. Almeno seimila, però, non si sono dichiarati. Il rapporto di 364 pagine, “La radicalizzazione jihadista nelle istituzioni penitenziarie europee”, realizzato dall’esperto di Islam nella carceri, Sergio Bianchi, ne indica 13mila.
In Italia ci sono circa 80 islamici dietro le sbarre per reati connessi al terrorismo. Dal 2009 li hanno concentrati in quattro istituti di pena: ad Asti, Macomer, Benevento e Rossano. Nel carcere di Opera, invece, sono arrivati Adel Ben Mabrouk, Nasri Riadh e Moez Abdel Qader Fezzani, ex prigionieri di Guantanamo. Chi li controlla ogni giorno racconta che parlano in italiano. La guerra santa in Afghanistan l’hanno abbracciata dopo aver vissuto come extracomunicatori nel nostro paese. Non si possono incontrare fra loro e vivono in celle singole. Pregano regolarmente con molta devozione e hanno mantenuto i barboni islamici.

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24 maggio 2010 | Radio Padania Libera | intervento
Italia
Proselitismo islamico dietro le sbarre
“Penso che sia giusto se alcuni musulmani combattono la guerra santa contro gli americani in paesi che non sono la loro terra”. Dopo un lungo girarci attorno Kamel Adid sorprende un po’ tutti, quando sputa il rospo. La domanda riguardava i mujaheddin, i musulmani pronti a morire per Allah, contro l’invasore infedele. Tre soldati della guerra santa, arrivati un paio di mesi fa da Guantanamo, sono rinchiusi poco più in là, nel reparto di massima sicurezza del carcere di Opera, alle porte di Milano.
Adid è un giovane marocchino di 31 anni con barbetta islamica d’ordinanza e tunica color noce. Nel carcere modello di Opera fa l’imam dei 44 musulmani detenuti, che frequentano una grande sala adibita a moschea. Un predicatore fai da te, che di solito parla un linguaggio moderato e ti guarda con occhioni apparentemente timidi.
Deve scontare ancora due mesi di pena per un reato legato alla droga e da pochi giorni è stato trasferito in un altro istituto. “Quelli che si fanno saltare in aria subiscono il lavaggio del cervello – si affretta a spiegare l’autonominato imam – Noi abbiamo riscoperto la fede in carcere. Pregare ci da conforto, ci aiuta ad avere speranza”.

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27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti. “Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale. I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria. Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa. In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo. “In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani. Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.

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