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Reportage
09 marzo 2016 - Esteri - Slovenia - Panorama
Melania dalla Slovenia comunista sognando la Casa Bianca

Le idee di Donald Trump non mi piacciono, ma Melania sarebbe una grande first lady. È bella e ha classe, come Jackie Kennedy. Se arriverà alla Casa Bianca sarà una storia da favola». Non ha dubbi Diana Kosar, sorriso smagliante e boccoli d’oro, amica d’infanzia di Melania Trump, ex-modella e terza moglie del miliardario americano che vuole diventare il 45imo presidente degli Stati Uniti. Una storia stile Hollywood, che inizia nella Slovenia comunista, a Sevnica, un puntino sulla mappa di 6 mila anime, dove Melania Knavs è nata nel 1970. 

La casa di famiglia di metà anni Novanta è una delle più belle e costose nella frazione di Ribniki, la «Beverly Hills» della zona. Villetta su due piani, con la cassetta della posta in stile americano, è sprangata. Viktor, il papà di Melania e la mamma, Amalija, fanno la spola con gli Stati Uniti dove si occupano del nipote, Barron William Trump, che sta per compiere 10 anni. Un’anziana vicina, che sta buttando la  spazzatura, scappa via quando capisce che siamo giornalisti. Un’altra più giovane si fa coraggio e racconta: «I genitori li ho visti l’ultima volta tre mesi fa. Mi ha colpito il fatto che Viktor, il padre, è uguale a Trump sia fisicamente che nei modi aggressivi. Melania non arriverà mai alla Casa Bianca e comunque a Sevnica non si fa vedere da anni».

La battuta che circola nella cittadina della Slovenia orientale, lambita dalla Sava, è che Trump si sia sbagliato: doveva sposare la madre di Melania, sua coetanea sulla settantina, bella ed elegante, piuttosto che la figlia che ha 24 anni meno di lui. Il padre Viktor Knavs era iscritto al partito comunista ai tempi della Jugoslavia di Tito, anche se amava le belle macchine e gira ancora oggi in Mercedes nera. Lo dimostra senz’ombra di dubbio un documento d’archivio scovato da Igor Omerza e Bojan Pozar, gli autori sloveni della biografia non autorizzata di Melania Trump uscita a febbraio in formato elettronico su Amazon. Eppure lo staff dell’aspirante candidato alla presidenza degli Stati Uniti, che sta preparando la discesa in campo di Melania al fianco del marito, nega «che suo padre sia mai stato un membro del partito comunista».

Negli anni Settanta la futura moglie di Trump passa l’infanzia in una palazzina in stile socialista nella parte industriale di Sevnica, dove vivono molti iscritti al partito. Nena Bedek, capelli corti e corpo atletico, ricorda che «ci scambiavamo messaggi attraverso le corde tese fra i balconi. Ascoltavamo le cassette di Boy George, Africa ed Eros Ramazzotti». L’ex compagna di banco a scuola ammette: «Non avrei mai immaginato che arrivasse così in alto. Da adolescente era bella, attraente e sapeva bene quello che voleva, ma sognava di andare a Lubiana, non a New York o alla Casa Bianca». La prima sfilata di Melania è su una passerella dell’hotel Jugoslavia, a Belgrado, nel 1977, in pieno regime comunista, con i vestitini da bambini della ditta di stato Jutranika, dove lavora la madre di Melania e per un periodo anche il padre come autista. «Avevo sei anni ed ero terrorizzata dalle luci» ricorda l’amica Diana mostrando una foto d’epoca in bianco e nero. «Mi ero messa a piangere e non riuscivo a muovere un passo. Melania non solo era a suo agio, ma è venuta a prendermi per mano per farmi sfilare superando l’emozione». 

Mirjana Jelancic è la preside della scuola di Sevnica intitolata all’eroe partigiano Savo Kladnik. Una bella donna bionda che ha studiato sugli stessi banchi con l’aspirante First lady. «Non sono certa che il mondo sia pronto per un personaggio come Trump, ma Melania è sicuramente pronta per la Casa Bianca» sostiene l’ex compagna di scuola. Un album dei ricordi dell’istituto mostra la futura signora Trump da ragazzina vicino a Pola nel 1981, quando alle vacanze scolastiche si portava la bandiera jugoslava con la stella rossa. «Non sapevamo nulla dell’America. Gli insegnanti ci parlavano solo della Russia e quando è passato il treno con la salma di Tito siamo andati tutti in stazione con le bandierine per l’ultimo saluto fra le lacrime» ricorda la preside, che mostra con orgoglio la terza A, dove ha studiato Melania, eccellente in geografia. 

Nonostante l’immancabile monumento ai partigiani caduti, Sevnica è cambiata e guarda avanti puntando a turismo, industria, natura e progetti europei. «La nostra cittadina è una piccola perla anche senza Melania, ma in un mondo globalizzato la sua storia può essere attraente soprattutto se arriverà alla Casa Bianca» dice la preside. «Da piccole eravamo brave con l’uncinetto a confezionare maglioni o cappelli. Si potrebbe organizzare una mostra con i lavori a maglia di Melania, i nostri ricordi e la sua ascesa». Il sindaco, Srecko Ocvirk, è «orgoglioso che una donna della nostra città partecipi agli sviluppi della politica americana. Con Melania il nome di Sevnica è ogni giorno nell’opinione pubblica mondiale». 

Nel bar del borgo, dominato da un castello del dodicesimo secolo, i giovani non vanno tanto per il sottile. «Non sapevo neppure chi fosse prima del matrimonio con Trump» ammette Davor sorseggiando una birra. «Non è una medaglia per la Slovenia una giovane donna attratta da un vecchio, anche se aspira alla Casa Bianca». Molti sono indifferenti e altri la accusano di aver cancellato le sue origini. Da nubile si è cambiata il cognome in Knauss, che ha un suono più austriaco. Le amiche che la difendono sostengono, al contrario, «che il figlio Barron parla sloveno e la nonna gli prepara la putizza, dolce tipico delle nostre parti». 

L’unica certezza è che dopo l’adolescenza a Sevnica, Melania va a studiare a Lubiana dove viene scoperta come modella, a 17 anni, da Stane Jerko, un famoso fotografo di moda. Nel 1989 partecipa a un concorso a Cinecittà senza successo. Nel libro Melania Trump, Pozar e Omerza descrivono molti particolari inediti della scalata della giovane modella «da un villaggio comunista sloveno alla Casa Bianca». La svolta è il concorso «Look of the year» a Portorose nel 1982, che serve a Melania come trampolino verso Milano. Nella capitale della moda lavora con l’agenzia di Riccardo Gay e sfila per Gucci, Valentino e Pino Lancetti. «Era perfetta, ma ben lontana dai gradi di super modella» punzecchia nel libro una fonte milanese. Melania torna ben presto in Slovenia per puntare su Vienna e Parigi, ammettendo che a Milano «con i soldi come modella a malapena riuscivo a sopravvivere».   

Il capoluogo lombardo, però, è cruciale per il contatto con Paolo Zampolli, suo coetaneo, di buona famiglia, coinvolto nel business della moda. Anni dopo, a New York, sarà proprio Zampolli definito «il guru delle modelle» a presentare Melania a Donald Trump. Nel 2005 la ragazza di Sevnica, che è finita sulle copertine di Vogue, Harper’s Bazaar, New York Magazine, Vanity Fair, Glamour ed Elle, sposa il miliardario con un matrimonio da favola. L’anno dopo nasce Barron e per l’occasione la signora Trump dona un’ambulanza e un ecocardiografo (costo 25 mila dollari) all’ospedale della sua lontana città natale. La vita da modella viene sostituita con quella di dama della beneficienza e di prodotti glamour al fianco del marito, fino alla corsa verso Washington. Mitja Cander, autore, poeta e direttore di una nota casa editrice slovena, descrive perfettamente la saga di Melania: «È la storia di una donna che rinasce. Cambia nome, lingua, patria, stile di vita e pure il suo corpo è diverso. Solo l’ambizione rimane la stessa: essere qualcuno, la prima donna del mondo».