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12 luglio 2016 - Copertina - Bangladesh - Grazia
La meglio gioventù del Califfo
Tre figli di papà, un maestro d’asilo, lo studente di una scuola coranica, morti in azione, sono i boia islamici di Dacca, oltre a due sospetti terroristi catturati. Tutti fra i 18 ed i 25 anni, spariti da casa sei mesi fa. E riapparsi la sera del primo luglio per massacrare in un ristorante della capitale del Bangladesh 20 “kufar”, gli infedeli, compresi nove italiani. Le foto dei loro corpi dilaniati in laghi di sangue sono stati postati in Rete. Nelle immagini le donne erano oscurate perché i tagliagole islamici considerano “peccato” farle vedere, anche dopo averle sgozzate.
Ma chi erano questi macellai, che prima della mattanza, apparivano in foto sorridenti e armati di fucile kalashnikov con alle spalle la bandiera nera del Califfato?
I tre rampolli di famiglie agiate uccisi nel blitz dei corpi speciali si chiamavano Nibras Islam, Meer Saameh Mubasheer e Rohan Imtiaz. Quest’ultimo, secondo un suo compagno di classe hindù: «Divideva il mondo fra musulmani e non musulmani». Imtiaz, 18 anni, era il figlio di Khan Babul, un boss della Lega Awami, il partito al potere in Bangladesh. Ironia della sorte ha l’incarico di assessore allo sport e ai giovani nella capitale. La famiglia di Imtiaz è ricca e vive in una grande villa nel quartiere di Lalmatia. La madre, Zabeen, porta il velo e insegna all’istituto superiore Scholastica. Uno dei più prestigiosi di Dacca, dove la retta di 3.000 dollari all’anno possono permettersela in pochi. Alla scuola privata studiava il figlio terrorista e anche un altro membro del commando, Meer Saameh Mubasheer, 22 anni, era un ex allievo. Scholastica è a 500 metri dal luogo della strage.
Mir Hayat Kabir, il padre di Mubasheer, è top manager di una società straniera. Fra le lacrime ha spiegato: «Di dover chiedere perdono al mondo intero in nome di mio figlio». L’aspirante boia pregava cinque volte al giorno e frequentava la moschea vicino a casa. Secondo il genitore: «Aveva un animo umanitario. Non può aver compiuto atti così crudeli». L’unico segnale prima della scomparsa, per venir addestrato all’attacco, è l’abbandono della chitarra sostenendo che, per l’Islam, la musica è peccato.
Il terzo rampollo terrorista della buona società, come ai tempi delle Brigate Rosse in Italia, si chiamava Nibras Islam, 22 anni. Dopo aver studiato a una scuola superiore turca di Dacca si era iscritto all’università North South, l’ateneo migliore della città, grazie ai soldi di papà, uomo d’affari. I compagni di studi lo ricordano come un ragazzo di compagnia e ottimo giocatore di calcio.
Gli altri due terroristi kamikaze venivano, al contrario, da famiglie povere dell’entroterra. Shafiqul Islam Uzzal, 25 anni, era il figlio più giovane di un contadino. Prima di trasformarsi nel boia del Califfo aveva ottenuto il diploma e insegnava in un asilo nei sobborghi della capitale. Il quinto terrorista si chiamava Khairul Islam Payel e suo padre lavora a giornata. Il 20enne studiava in madrassa, una scuo
la coranica, e un suo sodale era stato arrestato in aprile con l’accusa di appartenere al Jamaat-ul Mujaheddin Bangladesh, gruppo del terrore che avrebbe pianificato il massacro.
L’organizzazione clandestina è stata fondata da ex mujaheddin, guerriglieri che hanno combattuto in Afghanistan. Le nuove leve avrebbero giurato fedeltà all’Isis. Ansar al Islam Bangladesh è l’altra formazione terroristica dominante, teoricamente affiliata ad Al Qaeda. Lo scorso novembre ha pubblicato una lista di 35 docenti, giornalisti, blogger, scrittori considerati anti islamici da ammazzare. «Devono morire. Il dovere di tutti i mujaheddin è di tagliare loro la testa», ha scritto con tanto di firma in Rete il portavoce di Ansar.
Almeno due terroristi di buona famiglia, Nibras Islam e Rohan Imtiaz, hanno subito il lavaggio del cervello via internet da tre cattivi maestri della “guerra santa”. Il primo è Anjem Choudary, 49 anni, inglese di origine pachistana. Un avvocato sotto processo a Londra per una serie di sermoni apparsi su You Tube. Gli aspiranti terroristi seguivano anche i tweet di Shami Witness, nome in codice di Mehdi Biswas, un indiano arrestato a fine 2014. L’accusa è di aver gestito “il più influente account pro Stato Islamico su Twitter” del mondo. Il terzo cattivo maestro, Zakir Naik, è una figura subdola. Predicatore indiano che risiede a Dubai, ha messo in piedi Peace Tv: vuole la pena di morte per i gay. Nel 2010 gli hanno vietato l’ingresso in Gran Bretagna e Canada, ma l’Arabia Saudita l’ha premiato per il suo proselitismo.
Se i cattivi maestri sono serviti alla radicalizzazione, la vera mente della strage potrebbe essere il misterioso sceicco Abu Ibrahim Al-Hanif. Un canadese di origini bengalesi che sarebbe riuscito ad arruolare esponenti della buona borghesia di Dacca. In un’intervista ha annunciato: «I nostri mujaheddin stanno affilando i coltelli per uccidere gli atei e ogni apostata che vive in questa regione». Come è accaduto ai nove italiani il venerdì di sangue del primo luglio.

QUEI 17MILA CROCIATI CHE ISIS VUOLE ELIMINARE
Manager, esperti informatici, ricercatori, docenti universitari individuati con tanto di nome, cognome, telefono, email, luogo di lavoro e indirizzo. Ci sono quasi 17 mila nomi nella lista di potenziali bersagli dell’Isis per i cosiddetti lupi solitari.
Nel mirino anche 32 italiani, tutti non famosi, e per questo facili prede senza scorta. Una dozzina di Milano e gli altri in diverse città, da Lecce a Bologna fino a Padova. La lista, diffusa in Rete, è opera dell’“unità cyber del Califfato”, i pirati informatici delle bandiere nere che hanno individuato gli obiettivi, 12 mila solo in Canada. Gli altri vivono negli Stati Uniti, in Inghilterra, ma pure in Messico e Vietnam. L’unico fattore comune è che sono tutti “crociati” o “infedeli” da abbattere.

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07 luglio 2016 | Rai Uno mattina | reportage
La strage di Dacca
I cattivi maestri e predicatori itineranti che fanno il lavaggiod del cervello ai musulmani

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